Non dobbiamo
chiedere nessuna scusa per i bombardamenti di Barcellona nel 1938 né tantomeno
per il fondamentale contributo dell’Italia fascista alla vittoria della Spagna
cattolica.
Su Il Giornale del 22 novembre scorso campeggiava questa
singolare notizia, in un articolo a firma Daniele Bellocchio: “Barcellona vuole le scuse dell’Italia per i
bombardamenti dell’aviazione fascista”.
L’articolo spiegava che nel marzo del 1938 Mussolini ordinò di bombardare
Barcellona, in mano ai “Rossi”, cosa che procurò centinaia di morti fra i
civili. Si era nel pieno della Guerra civile spagnola. Ora, già nel 1999 i catalani avevano avanzato
all’Italia democratica la richiesta di fare un gesto di riparazione nei confronti
di quei (supposti) crimini di guerra, non ricevendo ovviamente alcuna risposta
da parte delle nostre autorità. Questo
l’articolo non lo dice. Ricorda invece
che “nel 2013 l’associazione Altritalia (non meglio identificata) aveva mosso denuncia contro 21 piloti dell’Aviazione
Legionaria per i bombardamenti in
Catalogna”. A due anni di distanza, “il
comune di Barcellona ha deciso di costituirsi parte civile in due processi e
uno riguarda proprio i bombardamenti italiani. Oggi Barcellona oltre che portare alla sbarra
franchisti e piloti a loro alleati, vuole anche le scuse dal governo italiano
per i crimini commessi dal suo esercito in una guerra che simboleggiò l’inizio
dell’orrore [etc., segue il consueto pistolotto antifascista di maniera, politicamente
correttissimo”].
Chi si costituisce “parte civile” in genere non si limita a richieste
di scuse, vuole anche cospicue compensazioni in denaro. Ma dove si svolge questo processo? E contro quali “piloti dell’Aviazione
Legionaria”, nome sotto il quale (per ragioni politiche) operava la Regia
Areonautica nel conflitto spagnolo, avendo come insegna la Croce di
sant’Andrea? Se ancora viventi, deve
trattarsi di centenari.
La questione non è nuova, per la stampa italiana. Infatti, nel 2013 il Corriere della Sera vi
dedicò ampia attenzione, ovviamente in senso antiitaliano, dando cioè ragione a
priori ai catalani, senza nemmeno tentare di verificare la fondatezza delle
loro pretese. Al tempo scrissi per il
sito Riscossa cristiana l’articolo che ora pubblico qui, sul blog
dell’amico Piero Vassallo. Lo ripropongo,
dopo averlo aggiornato, modificato in diversi punti e ampliato, dal momento che
mi sembra ancora perfettamente attuale.
Gli argomenti avanzati nel 2013 dai giornalisti italiani e catalani sono
sicuramente gli stessi ripetuti oggi. Come disse l’illustre storico tedesco Ernst
Nolte: siamo oppressi da un “ passato
che non passa”; è il passato che non deve passare mai, ma solo
per tedeschi, italiani e giapponesi, per quelli che hanno perso la seconda
guerra mondiale.
* * *
Due anni fa, il Corriere della Sera iniziò dunque una sorta
di campagna di stampa (sostanziatasi in un paginone ospitante anche un articolo
di Enric Juliana, condirettore del noto giornale di sinistra La Vanguardia
di Barcellona)[1]
a favore della richiesta di “scuse” avanzate dai catalani nei confronti dell’Italia
“democratica”, per alcuni bombardamenti compiuti “dagli aerei di Mussolini”
sulla popolazione civile durante la Guerra di Spagna, in particolare per quello
su Barcellona nel marzo del 1938. “A
Mussolini il progetto di trasformazione antropologica del popolo italiano [in
una dura razza guerriera] non riuscì ma il fascismo portò “la brava gente” a
macchiarsi di crimini di cui dobbiamo chiedere scusa”. Così terminava
l’articolo del giornalista Dino Messina nel medesimo paginone. Argomentare singolare il suo, poiché non si
capisce in base a quale logica l’Italia “democratica” debba chiedere scusa per “crimini”, veri o presunti
che siano, che in ogni caso non ha commesso.
La richiesta di scuse è un tristo rito del “politicamente corretto”. Da alcuni decenni è invalsa questa pratica del
“chieder scusa” in pubblico da parte di rappresentanti di istituzioni o di
popoli per misfatti veri o presunti non compiuti da coloro che chiedono scusa né da coloro che
essi al momento rappresentano. Il “chieder scusa” ha un senso se è fatto da
colui che ha compiuto l’azione incriminata o da chi (genitore, tutore,
superiore gerarchico) aveva istituzionalmente il dovere di impedire che il
misfatto avvenisse. Al di fuori di questi
casi, appare del tutto assurdo. Ma
tant’è. Questa pratica abnorme è diventata
una liturgia essenziale dell’ideologia dominante: il democraticismo anticristiano,
pacifista disarmista, libertario-libertino, femminista e omofilo, che trova
ovviamente nei riti stantíi dell’antifascismo sempiterno ed onnipresente la
vena iugulare che lo nutre. Le odierne,
inflazionate, “richieste di scuse” hanno in realtà lo scopo di umiliare e
mettere alla gogna un individuo o un’istituzione o addirittura un intero
popolo. Ma non sono mai prive di un risvolto mercantile, visto
che le pubbliche dichiarazioni di scusa vengono in genere intese quali
assunzioni di responsabilità anche in senso giuridico, obbligando chi si è scusato ad erogare somme
spesso notevoli a compensazione delle vittime o dei loro discendenti o di
intere comunità. Alcuni anni fa, il
presidente statunitense Bush jr. respinse la richiesta di scusarsi a nome del
popolo americano nei confronti degli afroamericani per via del periodo di
schiavitù da loro passato in quel paese. La sua dichiarazione avrebbe avuto
valore giuridico, significando esplicita assunzione di responsabilità per i
torti trascorsi [sic], autorizzando in
tal modo tutti i neri degli Stati Uniti, in quanto discendenti degli schiavi di
un tempo, a far causa al Governo Americano per ottenere individualmente un
risarcimento a titolo “morale” per i “diritti umani” violati dei loro antenati. Questa è l’aberrante prassi politico-giuridica
che si è oggi instaurata, a livello internazionale. La pretesa era palesemente assurda: la
schiavitù fu abolita negli Stati Uniti nel 1866 ed i neri oggi sono ben
inseriti nella società americana, checché ne dica la sinistra radicale.
Inoltre, va ricordato che la schiavitù era per i neri africani di un tempo istituzione
tradizionale e del tutto normale, sulla quale si basava in pratica l’economia
primitiva della loro società tribale.
Erano poi quasi sempre gli stessi capitribù a vendere i loro schiavi o
sudditi ai trafficanti arabi ed europei, ricavandone lauti guadagni.
I catalani ci provano dal 1999. Come si è detto, la pretesa dei catalani viene
da lontano, è stata messa sul tappeto ben 16 anni fa. “Prendendo spunto dalle scuse tedesche per
Guernica, il 19 marzo del ’99 la Commissione di Cultura del Parlamento
regionale catalano ha invitato le Camere italiane a chiedere ufficialmente
scusa per i bombardamenti di Barcellona da parte dell’aviazione di Mussolini. Alla mozione, presentata dall’estrema sinistra,
hanno aderito tutti i partiti ad eccezione dei popolari di Aznar, che si sono
astenuti: “Ora che faremo – ha domandato
il [loro] capogruppo Escartin – chiederemo le scuse dei francesi per i danni
inflitti da Napoleone?”[2]. Ma quale popolo non ha scheletri
nell’armadio? Se poi, viene da domandarsi, per esser “democratici” bisogna “chiedere
scusa” ed umiliarsi di fronte agli altri popoli per i misfatti del proprio, non dovrebbero farlo tutti e senza limitarsi
ad eventi recenti, scelti ad hoc in base all’ideologia dominante, che pretende
le scuse (con accluso assegno) sempre dalla stessa parte? Ma quando finirà questa prassi perversa del
“chieder scusa politicamente corretto”?
La “bufala” di Guernica. Perché i tedeschi odierni hanno dovuto
chieder scusa per Guernica? La vicenda è
più o meno nota. La nazista Legione
Condor fu accusata di aver scientemente sperimentato nuove micidiali
tecniche di bombardamento sulla pacifica cittadina di Guernica, di cinquemila abitanti,
città aperta, centro spirituale dei Baschi, lontana dal fronte, scegliendo un
lunedì giorno di mercato per far più strage.
A Norimberga, Göring
avrebbe pubblicamente ammesso l’esperimento delle nuove, micidiali tecniche, in
Ispagna. Quasi tutta l’antica cittadina
fu distrutta dalle “bombe incendiarie” e i morti si fecero ascendere a cifre
elevate che si stabilizzarono ufficiosamente (perché i Baschi non hanno mai
fornito dati ufficiali) sul numero (non si sa perché) di 1.654, più 889 feriti.
Picasso avrebbe poi dipinto il famoso “Guernica”,
su commissione dei Baschi stessi. Un
quadro per la verità singolare, visto che sembra rappresentare più una
tauromachia che le vittime di un bombardamento (ammesso che si possa dare un
senso alle demenziali tele del Picasso astratto, di sicuro un grande
pittore ma nel periodo iniziale, quello figurativo). Una trentina d’anni fa i Baschi chiesero un
semplice “gesto di riconciliazione” ai tedeschi. Si mobilitò la sinistra verde-rossa tedesca e
alla fine, dopo varie vicende e anni di tam tam mediatico, il Governo tedesco
dovette scucire gli immancabili quattrini, ossia 6 milioni di euro per
costruire un “moderno ed attrezzatissimo centro professionale a Guernica”. I Baschi e le sinistre tedesche lamentarono
che i soldi erano comunque pochi e il governo tedesco dovette prosternarsi in
scuse sempre più umilianti, sino alla formulazione che piaceva a Baschi e
sinistre udire[3]. Mensurati dimostra altresì, con accuratissima
ricostruzione, che il perfido massacro
intenzionale di Guernica è un mito, costruito dalle autorità basche
servendosi delle colossali deformazioni operate dalla stampa anglosassone, in
particolare dal giornalista inglese George L. Steer, morto nel 1944;
personaggio la cui disinvoltura e malafede (si inventò di sana pianta una clamorosa
e umiliante sconfitta italiana nella cittadina basca di Bermeo, mai avvenuta,)
è stata ampiamente provata già all’epoca[4].
I veri fatti di Guernica. Ma cosa successe effettivamente a
Guernica? Il bombardamento ci fu ma non
con le modalità inventate dalla leggenda. Ed è da respingere “l’altra
leggenda”, quella di fonte nazionalista, che negava il bombardamento stesso
incolpando della distruzione della cittadina i dinamiteros anarchici asturiani
in ritirata, che poco prima avevano effettivamente ridotto ad un cumulo di
rovine la vicina cittadina di Eibar.
Ecco i fatti: 1. Guernica non era “città aperta”: c’erano tre fabbriche di armi (bombe d’aereo,
spolette, pistole mitragliatrici) e vi erano acquartierati tre battaglioni
baschi, per circa duemila uomini. 2.
Non era nelle lontane retrovie. Il
fronte era ormai a 15 km. e si stava avvicinando rapidamente. I baschi in veloce ritirata incalzati da
navarresi (carlisti requetés) e da italiani e spagnoli (formazioni miste
“Frecce Nere” e reparti della “XXIII Marzo”, famosa divisione di Camicie Nere),
stavano transitando da alcuni giorni alla periferia nordest del paese, sul piccolo
ponte (19,5 per 9,5 m) posto sullo
stretto Rio Oca, diretti verso Bilbao, piazzaforte situata 34 km. ad ovest di Guernica e capitale della
regione. Per l’esercito basco minacciato di accerchiamento da sud, la strada
che passava per quel ponte era l’unica via d’uscita dalla sacca. Da qui il desiderio di distruggerlo con
l’aviazione da parte dei Nazionali, per intrappolare il nemico in fuga. Il ponte
di Guernica era improvvisamente diventato un obiettivo strategico di
primaria importanza assieme al crocevia di strade ad esso immediatamente
prospicente. 3. Era il 26 aprile, giorno di mercato, ma il
nuovo governatore, avendo capito la gravità della situazione, aveva vietato il
mercato e rimandato indietro i contadini.
Inoltre 400 uomini, su 5000
abitanti, erano al fronte. C’erano sette ottimi rifugi antiaerei, uno dei quali
però non ancora finito, con il tetto ancora debole (e per disgrazia fu colpito
proprio quello, con la morte delle 45 persone che vi stavano dentro). Quando arrivarono i primi aerei (uno tedesco
isolato e tre italiani) l’allarme fu dato con le campane. Parte della popolazione andò nei rifugi, parte
scappò sulle colline circostanti. 4. Si sono trovati gli ordini di volo con
le relative istruzioni alla squadriglia tedesca (16 o 17 aerei + 1) e a quella
italiana (3 aerei) che effettuarono l’operazione. Quello italiano dice: “ 26.4.37, XV, ore 12.30. Oggetto:
bombardamento ponte di Guernica […] Il paese per evidenti ragioni
politiche non deve esser bombardato […]
Bombardare la strada ed il ponte ad E di Guernica in modo da ostacolare
la ritirata del nemico […] Azione di sorpresa con provenienza dal mare”. Quello tedesco mostra un’impostazione simile. La fotocopia riprodotta dall’ottimo Mensurati
è sbiadita ma il testo si riesce comunque a decifrarlo . Si tratta di cinque righe e due parole. Dopo aver sinteticamente descritto la
situazione sul terreno (“truppe bianche” cioè i Nazionali che “serrano sotto”
etc.), nell’ultima riga indica
l’obiettivo degli aerei tedeschi:
“Angriff zur zurückgehenden Gegner auf Strassen nördlich
Monte Oiz und Brücke und Strassen ostwärts Guernike”: “Attacco
contro il nemico in ritirata sulle strade a nord del Monte Oiz [monte a sud-est
di Guernica] e sul ponte e le strade in direzione Est rispetto a Guernica”. Né
nei documenti italiani né in quelli tedeschi si trova dunque l’ordine di
bombardare la cittadina di Guernica: l’obiettivo era solo il ponte situato
nell’immediata periferia, a Nord-Est, poiché era solo per il ponte che stava
passando l’esercito basco in ritirata[5] .
5. L’attacco al ponte non riuscì. I ponti sono notoriamente
un bersaglio difficile. Prima un isolato aereo tedesco, poi i tre italiani,
infine i 16 o 17 tedeschi a gruppetti di tre, in rapida successione,
mancarono tutti il ponte, anche a causa di un forte vento trasversale. Le bombe venivano sganciate da una quota di
quasi quattromila metri con i sistemi di puntamento approssimativi di allora e
si faceva un solo passaggio. Si è favoleggiato
di ore di bombardamento e di ordigni enormi di spaventosa potenza. Tutte fandonie. Gli aerei dell’epoca non avrebbero mai potuto
portarli. Ogni azione durò pochi minuti,
come avveniva per operazioni simili, anche da parte dei Repubblicani, con impiego
della caccia di scorta (qui cinque o dieci aerei) che si attardava brevemente a
mitragliare sull’obbiettivo, nella fattispecie rappresentato soprattutto dal
ponte e dalla strada, piena di soldati e mezzi nemici in fuga. E non dai civili di Guernica sopravvissuti. Nessuna testimonianza dei locali menziona
mitragliamenti diretti specificamente sul centro del paese, dove erano cadute
le otto bombe che lo colpirono. Questa
la successione degli eventi: Alle 16.30
arrivarono i tre Savoia-79, che videro un aereo tedesco isolato
allontanarsi. Mirarono al ponte tirando
36 bombe da 50 kg, senza colpirlo. Le
bombe caddero nei campi, tranne alcune che centrarono edifici posti ai lati
della stazione ferroviaria, posta a sud-ovest del ponte (la direttrice
dell’attacco era da nord-est a sud-ovest) ma non i binari, che rimasero intatti. I 16 o 18 apparecchi tedeschi sganciarono alle
18.30 in prevalenza bombe da 250 kg. e un certo numero di spezzoni incendiari
alla termite (e non bombe incendiarie al fosforo, come si è pure scritto, molto
più potenti). Gli spezzoni erano in
genere usati contro le fanterie. La
maggior parte del carico bellico finì nei campi, tiro troppo lungo o troppo corto,
da 3.800 metri di altezza. Si sono contate 39 buche di bombe da 250 kg. Otto bombe colpirono il centro del paese. 6.
Nelle vecchie case di Guernica si trovavano numerosi balconi, travature ed intelaiature
di legno. Dopo l’attacco risultavano in fiamme 51 di esse solamente. Però il
telefono era interrotto, i servizi locali di spegnimento insufficienti e i
pompieri arrivarono da Bilbao troppo tardi, verso le 22.00, quando l’incendio,
alimentato dal forte vento, era ormai incontrollabile. Così quasi tutto il paese andò distrutto, ma dall’incendio
sfuggito di mano non dalle bombe, presentando il giorno dopo la visione
spettrale delle foto note in tutto il mondo. Le case distrutte o lesionate in
modo irreparabile furono 721. Va notato
che la popolazione non colpita dal raid fu evacuata il giorno dopo con sette
treni giunti da Bilbao. Anche questo dettaglio, mi chiedo, non dimostra che la
“spaventosa ecatombe” non c’è stata? E difatti, i morti effettivi, accertati
nel 1981 con nome e cognome, furono, secondo le minuziose ricerche dello
studioso spagnolo indipendente J. M. Salas Larrazabál, 125 o 126.
Sempre tanti, anche per quei tempi, ma lontanissimi dai numeri della
supposta strage. Questa è la vera storia
del bombardamento di Guernica. Il resto
sono solo invenzioni. Dovrebbe esser
noto che in privato i capi baschi parlavano
di 200-250 morti mentre lasciavano che in pubblico si farneticasse di circa
duemila e anche di più. Il governo
tedesco è stato turlupinato, dovrebbe riavere i soldi: ha dovuto scusarsi e
pagare per le inesistenti “2000 vittime della barbarie nazista” a Guernica. Un episodio cruento come tanti altri di una
guerra cruenta. Ma non ci fu nessun
diabolico piano nazista per sperimentare non si sa quale nuova e micidiale tecnica
di bombardamento sugli indifesi abitanti della cittadina. È poi falso che a Norimberga Göring abbia fatto le dichiarazioni
su Guernica attribuitegli dai media. Nei
verbali di quel processo non ve n’è traccia[6].
Mi sono dilungato sul falso di Guernica perché il giornalista Enric Juliana ovviamente menziona l’episodio e
nei consueti termini retorici, citando ancora come fonte attendibile il
sunnominato Steer [sic] e lamentando che dei bombardamenti di Barcellona non si
sia mai parlato perché non hanno avuto la fortuna di esser celebrati da quadri
famosi come quello di Picasso. Chi non
sa come sono andate veramente le cose potrebbe allora credere (dato il
paragone) che l’Aviazione Legionaria abbia praticamente raso intenzionalmente al
suolo gran parte di Barcellona, emula di ciò che l’aviazione nazista
avrebbe fatto a Guernica. Nulla di più
errato. Come sono andate effettivamente
le cose a Barcellona?
L’ordine di bombardare Barcellona. Mussolini,
il 16 marzo, fece effettivamente dare, all’improvviso, l’ordine di “iniziare da
stanotte azione violenta su Barcellona con martellamento diluito nel tempo”[7]. E come mai?
Uno scatto d’ira? Un raptus di onnipotenza? Si sono date le interpretazioni più varie,
accusando il dittatore di spietato cinismo.
Tuttavia, Mussolini si era sempre adoperato, tramite Ciano,
l’ambasciatore Cantalupo e persino un “duro” come Farinacci, affinché Franco
limitasse il più possibile le fucilazioni di rappresaglia con le quali i suoi
tribunali militari punivano implacabilmente le sistematiche atrocità e le
barbare stragi dei “Rossi”, colpendo però nel mucchio, mandando al muro anche
persone per bene, colpevoli solo di trovarsi “dall’altra parte”. La documentazione sul punto è ampia[8]. E adesso all’improvviso se la prendeva con la
popolazione inerme di una grande città come Barcellona, ordinando di
bombardarla, per giunta all’insaputa di Franco?
Errati calcoli di prestigio o il desiderio di impressionare qualcuno
(Hitler, che si era appena incamerato l’Austria o la Francia che sembrava voler
riprendere in grande stile gli aiuti alla Repubblica, via Catalogna)? O voleva
forzare la mano a Franco, che procedeva sempre troppo lentamente, a detta di
italiani e tedeschi, ansiosi di chiudere al più presto la sanguinosa partita spagnola?
I generali tedeschi, pur mostrando
rispetto per il valore del soldato spagnolo, nei loro rapporti sottoponevano
alle critiche più roventi l’alto comando nazionalista[9].
Mussolini temeva in particolare che il conflitto spagnolo deflagrasse in uno europeo,
che egli come sappiamo non desiderava affatto.
Nemmeno Franco, che tuttavia aveva le sue ragioni per procedere senza
troppa fretta, desiderava un allargamento del conflitto. Ci sperava la Repubblica. Se fosse scoppiata una guerra europea, già da
tempo nell’aria grazie anche al conflitto spagnolo, la Francia “democratica”
avrebbe potuto intervenire massicciamente e allo scoperto in Ispagna, salvando
la Repubblica. La guerra di Spagna finì
l’1 aprile del 1939, solo cinque mesi prima dell’inizio della guerra in Europa
(1.9.39). Quale sia stato il motivo
dello sventurato quanto isolato ordine mussoliniano, va comunque ricordato, per
la necessaria obiettività storica, che Barcellona
non era affatto una città inerme ed indifesa, estranea alla guerra, come
vorrebbe far credere il sig. Juliana. E
come si vuol far credere con l’intentare il processo all’aviazione italiana.
Barcellona era un obiettivo militare, come altre città spagnole. Protetta da una forte
contraerea, la città si era dotata di numerose installazioni militari (caserme,
depositi, fabbriche di armi e munizioni) e nel suo porto erano alla fonda navi
da guerra della Repubblica. Il suo
centro urbano era intessuto di officine e laboratori attivamente
impegnati nella produzione bellica. C’erano
più di duecento siti militari in esso sparpagliati. Ciò lo rendeva un obiettivo militare
legittimo per attacchi di precisione, comunque difficili a farsi senza colpire
la popolazione. E difatti l’art. 24.3
della Convenzione sulla guerra aerea invitava i belligeranti a non
bombardare in queste circostanze, per non provocare un massacro tra i civili. Non proibiva di bombardare, esortava a non farlo, per ragioni umanitarie. Ma, in circostanze simili, i Repubblicani
avevano attaccato più volte e senza
problemi gli obiettivi militari[10]. Da
mesi le installazioni portuali di Barcellona e quelle di altri porti in mano ai
“Rossi” venivano bombardate dall’Aviazione Legionaria di stanza alle Baleari,
che mirava in particolare alle navi da guerra disseminate in essi. Il 7 marzo del 1938, a Cartagena, con bombe
da 250 Kg. a scoppio ritardato, l’Aviazione Legionaria danneggiò gravemente
l’incrociatore Libertad e affondò un cacciatorpediniere. Il 21 maggio 1937 fu centrata nel porto di
Almeria la vecchia corazzata Jaime I, che affondò per esplosione interna
dopo esser stata rimorchiata ai conseguenti lavori. Dal 15 gennaio al 10 marzo il porto di
Barcellona fu sottoposto a 16 incursioni, sulle navi alla fonda e sulle attrezzature
portuali. Erano tutti obiettivi
militari. Purtroppo, si verificavano sempre errori di mira, spesso a causa del
vento, e bombe isolate colpivano un quartiere prossimo al porto, chiamato
Barrio Gotico. Ma i bombardamenti erano,
al limite del possibile, di precisione.
Non si trattava di attacchi a città indifese, a scopi terroristici, come
si cerca di far credere oggi[11]. Riporto un episodio tipico, in questo senso (nel
senso della pratica del bombardamento di precisione) tratto dalla battaglia per
la conquista di Bilbao: “due Savoia-79
italiani, che erano riusciti a eludere i caccia sovietici, centrarono in pieno
un’aviorimessa dell’aeroporto di Bilbao distruggendo o mettendo fuori uso 7
caccia nemici e dimezzando così le difese aeree della base”[12].
Per tutta la guerra, da una parte e dall’altra, si usò colpire con
artiglieria ed aviazione città dove si combatteva, anche se ciò provocava l’ira
e le recriminazioni della popolazione civile, com’è ovvio, e le proteste
internazionali. Mensurati riporta in Appendice
i bollettini dei guerra dei Repubblicani, concernenti il loro assedio di
Oviedo, capitale delle Asturie passata ai Nazionali, dall’1.9.1936 al
5.10.1936: “la nostra artiglieria
bombarda senza sosta la città”; “la nostra aviazione ha incominciato il
bombardamento a tappeto della città di Oviedo, dopo aver lanciato nella
giornata di ieri esattamente 2.000 proiettili e producendo un panico enorme” e
così via[13]. Madrid, con il fronte addirittura alla sua
periferia, fu bombardata più volte dai Nazionali e la popolazione ne soffrì duramente.
Si effettuavano poi, a volte, bombardamenti aerei di pura rappresaglia su
obiettivi lontani dal fronte. Questi
bombardamenti terroristici furono “pratica corrente” presso i Repubblicani, che
alla fine del maggio del 1937 colpirono ripetutamente “città aperte, lontane
dal fronte, come Pamplona, Palencia, Zaragoza, Burgos, Valladolid, Palma de
Maiorca”[14].
Il giornalista Messina, che sembrava far da spalla al collega
catalano, aveva il coraggio di scrivere che noi italiani dovremmo chiedere
scusa per il bombardamento di Durango, in Biscaglia, “che il 31 marzo
1937 venne attaccata da squadriglie italiane che distrussero case e uccisero
289 persone” (articolo del Corriere della Sera, cit.). Il fatto viene presentato isolato dal
contesto, come se si fosse trattato per l’appunto di un bombardamento che
mirasse solo ad uccidere i civili e a distruggere centri abitati, seminando
così il terrore (alla maniera degli Alleati nella seconda guerra mondiale). Ma l’autore si dimentica di precisare che a
Durango c’era il fronte, che proprio contro questa cittadina, uno dei cardini
della linea difensiva dei baschi, si era aperta quel giorno la Campagna del
Nord, l’offensiva nazionalista che avrebbe portato alla conquista di Bilbao
(19.6.1937). “Al bombardamento di Durango
parteciparono anche due squadriglie di Savoia-81 italiani, che quel giorno
ricevettero precise istruzioni: ‘Bombardare reiteratamente Durango e Elorrio
nella giornata 31/3/37 allo scopo di distruggere i depositi e colpire le truppe
presenti negli abitati”[15]. Precise ricostruzioni effettuate incrociando
i registri parrocchiali ed elenchi di vittime pubblicate dai giornali baschi
dell’epoca danno una lista di 99 morti, compresi anche i feriti deceduti negli
ospedali, lista mai modificata da alcuno.
Sempre tanti i morti, anche per i mezzi di distruzione di allora. Ma lontanissima, questa cifra, dai 289 di
Messina, che evidentemente si affidava acriticamente alla vulgata diffusa dai
catalani[16].
Il bombardamento del centro di Barcellona. Solo un accenno ad
altre inaccettabili dichiarazioni del suddetto giornalista, tra le quali
l’immancabile riferimento alla “disfatta” di Guadalajara, che fu invece una
dignitosa e contenuta sconfitta (l’unica della guerra) con appena 650 morti,
1.994 feriti e 275 prigionieri, su circa 30.000 soldati impiegati e non
registrò il crollo del fronte ma solo la perdita di venti dei circa 35 km.
inizialmente conquistati (marzo 1937) .
La sconfitta tuttavia impedì l’accerchiamento di Madrid. “La mal concepita quanto ambiziosa offensiva
italiana contro Madrid era fallita, stroncata dalla tenace resistenza
repubblicana e dalle condizioni atmosferiche [che impedirono il consueto
appoggio dell’aviazione]. Era fallita
pure la controffensiva dei repubblicani che, come era stato clamorosamente
annunciato, aveva lo scopo di annientare il corpo legionario”[17].
Per il bombardamento di Barcellona resta fondamentale lo studio del
citato Prediali. In ottemperanza agli
ordini mussoliniani, la sera stessa del del 16 marzo Barcellona fu bombardata
da quattro Savoia-81. Durante la
notte altri sei S-81 colpirono il centro
della città. Il giorno dopo, con inizio
alle 7.30, attacco diurno in tre fasi, rispettivamente di sei, cinque e infine altri
cinque S-79. Durante il terzo attacco diurno,
iniziato alle 12.45 da Maiorca, ebbe luogo una fortuita quanto tragica coincidenza. Il comando repubblicano aveva ordinato ad un
camion militare di andare a prelevare un carico di tritolo alla polveriera del
Castello del Montjuich. Stipato il
camion con cassette di tritolo di 40 kg. l’una, il mezzo, con diversi soldati
seduti sull’esplosivo, stava ritornando per la via più breve alla caserma di
partenza ossia attraversando (in modo del tutto insolito ed irresponsabile, da
corte marziale) il centro di Barcellona.
Si trovava sulla larga Avenida de las Cortes Catalanas. Mancavano pochi minuti alle due e proprio in
quel momento cominciarono ad arrivare le bombe degli aerei italiani sull’Avenida
suddetta. All’incrocio con Calle Balmes
il camion fu colpito e saltò in aria con una tremenda esplosione che scosse
l’intera città. Si alzò un’enorme
colonna di fumo dalla forma di fungo, alta circa 250 metri e larga 100. I piloti italiani in volo di disimpegno pensarono
che fosse esploso un deposito di munizioni.
L’esplosione aveva fatto crollare un certo numero di palazzi alti sei
piani, sventrandone altri, uccidendo tutti i militari del camion (all’andata
erano 23) e un numero presumibilmente alto di civili nelle abitazioni. I
bombardamenti continuarono, sempre con pattuglie di pochi aerei, la notte dello
stesso giorno e il giorno dopo, con l’ultimo di essi sulla stazione
ferroviaria, alle 15.10. La notte stessa
del 18 furono sospesi d’ordine del Generale Franco, irritatissimo per tutta la
vicenda.
La colossale ed insolita quanto casuale esplosione di Calle Balmes
aveva terrorizzato l’intera città, provocando un fuggi fuggi generale dalla
città stessa. La stampa internazionale
si lanciò nelle speculazioni più azzardate. Questa volta, bisogna ammettere,
non del tutto a torto, data l’eccezionalità dell’esplosione verificatasi e
l’ignoranza della sua vera causa: ora
erano gli italiani che avevano “sperimentato” nuove e straordinarie bombe sulla
popolazione civile indifesa. Il governo
catalano, tacendo per ovvie ragioni il fatto del camion di tritolo,
lasciò accreditare la tesi dell’inesistente “superbomba”. Nel suo articolo il signor Juliana accenna al
camion ma senza dargli il dovuto rilievo.
Osserva Prediali: “secondo
informazioni ufficiali repubblicane, i tre giorni di bombardamento avevano
causato 670 morti e 1.200 feriti, 48 edifici distrutti e 71 danneggiati. In seguito il numero delle perdite umane fu aumentato
per ragioni politiche [nel suo articolo Juliana parla di oltre 900 morti e
1.500 feriti][…] Resta comunque il fatto
– continua Prediali – che molti civili furono uccisi nel corso delle dodici
azioni aeree fra il 16 ed il 18 marzo, tuttavia le vittime avrebbero potuto
essere molte di più se tutte le bombe fossero state deliberatamente lanciate in
pieno centro abitato secondo le istruzioni ricevute dal comando dell’Aviazione
Baleari [in ottemperanza all’inconsulto ordine di Mussolini]. In realtà le squadriglie avevano mirato di
preferenza alla zona portuale ed alla stazione ferroviaria, cosicché le
distruzioni non uscivano di molto dalla abituale rosa di obiettivi strategici,
più volte battuti in precedenza”[18]. Mettendo in rapporto il tonnellaggio di bombe
scaricato in quei tre giorni (44 tonnellate in 41 ore), il numero relativamente
basso delle case distrutte, nonostante l’esplosione fortuita del camion di
tritolo, che ha fatto sicuramente aumentare di non poco il numero delle vittime,
se ne dovrebbe concludere, direi, che l’applicazione dell’infelice ordine di Mussolini da parte dei
piloti italiani sia stata, nei limiti del possibile, piuttosto contenuta.
“Sull’estrema correttezza degli aviatori italiani, di gran lunga più
sensibili dei colleghi tedeschi della Legione Condor alle raccomandazioni di
Franco [di risparmiare il più possibile le infrastrutture e i civili], esiste
comunque una vasta letteratura. Se si
esclude il caso di Barcellona, dove l’aviazione di parte nazionale colpì
duramente la città – peraltro zeppa di obiettivi militari (depositi di armi e munizioni,
caserme, fabbriche di armamenti) criminalmente sparpagliati in pieno centro –
può essere tranquillamente sottoscritto il giudizio dello studioso spagnolo
Alcofar Nassaes: ‘ Gli aviatori italiani effettuarono i loro bombardamenti con
moderazione, cercando di colpire unicamente obiettivi militari e tentando di
danneggiare il meno possibile le città e
le popolazioni civili’”[19].
Gli strani ragionamenti del Signor Juliana, giornalista
“catalanista”.
Alla fine del suo articolo, il Signor Juliana, così concludeva: “Oggi [2013] ricorrono 75 anni da
quell’evento. La Repubblica italiana,
nata dalla vittoria sul fascismo, non ha colpe per un attacco tanto crudele. E Mussolini, il dittatore, è stato
giustiziato. E non si può dimenticare
che nel 1946 il nuovo governo italiano, su proposta del leader comunista
Palmiro Togliatti, varò un’amnistia generale.
Barcellona e le altre città catalane bombardate, però, aspettano ancora
un gesto dall’Italia democratica”. Prima
stranezza: il giornalista afferma
che il dittatore è stato “giustiziato”.
Egli non sembrava ben informato dei fatti. “Giustiziato” è chi viene condannato a morte
in un regolare processo (da giudizi imparziali) e poi messo pubblicamente a
morte in esecuzione della sentenza, emessa ed eseguita con tutti i crismi di
legge. Non vi fu alcun processo per
Mussolini. Egli fu ucciso di nascosto,
in una stradetta di campagna, sembra con una raffica a bruciapelo, apparentemente
da partigiani comunisti non si sa ancora se da soli o se accompagnati e da
chi. Fu uccisa anche la signora Petacci,
che non c’entrava niente. Si trattò di
un’esecuzione di tipo criminale, come fanno i gangsters quando vogliono
eliminare testimoni scomodi. Chi è che
aveva interesse a che non vi fosse una “Norimberga italiana” nei confronti del
“Duce del fascismo”? Seconda
stranezza: il riferimento
all’amnistia Togliatti. Il suo senso sembra
esser il seguente: ma come, l’Italia
democratica ha amnistiato i fascisti e non è capace di fare “un gesto” verso la
Catalogna “martire”? Ma concedere un’amnistia significa condonare pene e perdonare;
chiedere scusa, invece, significa riconoscere delle colpe per esser perdonati. L’accostamento sfugge, pertanto, ad ogni
logica. Inoltre, il sig. Juliana sembrava
ignorare che quella famosa amnistia, oltre a tirar fuori dalle carceri i
fascisti condannati come criminali di guerra secondo la giustizia dei
vincitori, impedì anche che vi finissero a decine i partigiani, soprattutto
comunisti, denunciati dai parenti delle vittime delle loro efferatezze. È vero che il pesante clima di allora rendeva
molto difficile un esercizio imparziale della giustizia. Tuttavia, sarebbe stato politicamente
deleterio, per il PCI, se, grazie ai processi, si fosse mantenuto aperto il
discorso sui gravi e numerosi fatti di sangue provocati dalla Resistenza. I grandi massacri perpetrati dai partigiani,
soprattutto da quelli comunisti, appena terminata la seconda guerra mondiale in
Italia, dovevano esser rimossi dall’attualità e rinchiusi al più presto nella
memoria collettiva. La “lezione” da essi
impartita era stata perfettamente recepita.
Bisognava quindi chiudere ogni indagine giudiziaria su di essi con
un’amnistia generalizzata, le cui norme vennero in effetti sempre invocate nei
tribunali per procedere ad assoluzioni o a condanne pro forma di partigiani
accusati delle peggiori atrocità. L’ultima
stranezza dell’esimio giornalista era la seguente: farci credere che la Catalogna tutta non
dormisse la notte al pensiero di non aver avuto soddisfazione dagli italiani, che
vivesse nell’attesa di “un gesto” di scuse che l’Italia democratica non aveva
ancora avuto il coraggo di fare! Via,
non siamo così ingenui. Le richieste del
sig. Juliana grondavano retorica "catalanista". Il “catalanismo”, abbiamo imparato, è
l’ideologia indipendentista e secessionista catalana, sostenuta soprattutto dai
partiti di sinistra ed estrema sinistra.
I “catalanisti” cercano evidentemente visibilità internazionale
affidandosi ai riti e alla retorica del politicamente corretto più smaccato,
con la complicità di giornali come il Corriere della Sera attuale, che
di italiano non ha più nemmeno la lingua, imbastardita da una continua
profluvie di termini tratti dall’inglese “digitale” e da anglicismi avventurosi
(basti pensare che ancora vi si traduce a volte “conspiracy” con
“cospirazione”, anche quando è termine giuridico di origine medievale che va tradotto con “associazione a delinquere”).
Una questione di civiltà, oltre che di sopravvivenza nazionale. Inoltre, l’affermazione
del Sig. Juliana, secondo la quale “la base di Maiorca, istituita nel 1936 dal
leader fascista Arconovaldo Bonaccorsi, il “conde Rossi”, rappresentava
l’ambizione di creare un impero mediterraneo”, è del tutto ridicola. Il “conde Rossi” fu mandato da Mussolini con
il maggiore Gallo, abile stratega, e pochi aerei a galvanizzare le
demoralizzate forze nazionaliste locali. Sotto la sua energica e coraggiosa guida
e grazie agli aerei italiani, esse riconquistarono tutte le Baleari in poco
tempo, tranne Minorca (causa veto inglese).
Ebbe però il torto di non opporsi alle fucilazioni nei confronti dei prigionieri repubblicani, effettuate
per rappresaglia dai Nazionalisti vincitori.
O addirittura di approvarle, come sostengono gli antifascisti. La storiografia più seria, ad esempio quella
del prof. Coverdale, americano, ha comunque messo in rilievo da tempo,
documenti alla mano, che Mussolini non ne voleva sapere, all’inizio, di
impegnarsi seriamente in Ispagna. Cominciò
ad intervenire per gradi solo dopo che la Francia del Fronte Popolare aveva
iniziato a mandare aerei e altri mezzi alla Repubblica spagnola e in seguito a
numerose pressioni di vario tipo, soprattutto cattoliche. Poi dovette
impegnarsi a fondo di fronte ai massicci aiuti forniti da Stalin, che avrebbero
potuto far vincere la Repubblica. Ed
infine per riuscire a chiudere la sanguinosa guerra. Non andò in Ispagna per costruirsi alcun
“impero mediterraneo”. Vi andò perché
non poteva giustamente consentire la formazione di una Spagna “rossa” e antiitaliana
che avrebbe fatto blocco con la Francia “rossa” e antiitaliana del Fronte
Popolare. Una Spagna comunista non
piaceva nemmeno agli inglesi, tramite essa Stalin avrebbe potuto minacciare per
interposta persona Gibilterra.
Nonostante il formale non-intervento e periodiche proteste per l’azione
italiana, gli inglesi fecero robusti prestiti sottobanco a Franco e lasciarono
sostanzialmente fare Mussolini, avendo del resto ottenuto le necessarie
assicurazioni per le Baleari[20].
Combattere per la Spagna cattolica era poi una questione di
civiltà, per quanto giustamente odiosi potessero essere a Mussolini i
latifondisti spagnoli (che gli toccava nei fatti difendere) e poco simpatico
Franco, “l’astuto galiziano”, che voleva solo crediti, aerei e cannoni e, in
quanto agli uomini, o nessuno o solo volontari sotto il suo comando, magari da
usare come carne da cannone. Non c’era
scelta. Bisognava battersi a fondo contro
la Repubblica spagnola, dominata sin dall’inizio dalla follia sanguinaria ed
antireligiosa di massoni ed anarchici, comunisti e socialisti, i quali si
vantavano proprio dalle pagine de La Vanguardia di allora di aver
distrutto la religione cattolica chiesa per chiesa, altare per altare, convento
per convento (6832 furono alla fine i religiosi di ambo i sessi trucidati dai
“Rossi”, spesso nel modo più barbaro). Il
famoso leader anarchico Andrés Nin, poi assassinato dai comunisti, proprio su La
Vanguardia, il 2 agosto 1936 scriveva:
“La classe operaia ha risolto il problema della Chiesa semplicemente,
non lasciandone in piedi neppure una”. E
in un comizio dell’8 agosto successivo ribadiva il concetto: “Il problema
della Chiesa…noi lo abbiamo risolto completamente, andando alla radice;
abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto”. Il 20 luglio 1936, tre giorni dopo lo alzamiento
dei generali nazionali, Radio Barcellona (la città era dominata dai “Rossi”)
enunciava questo programma come soluzione finale della questione
religiosa: “È necessario distruggere la
Chiesa e tutto ciò che ha un rapporto con essa.
Che importa che le chiese siano monumenti dell’arte? Il buon miliziano non si fermerà di fronte ad
esse”[21].
Il “buon miliziano”, oltre che assassino, doveva essere, per i suoi
capi, nemico dell’arte, della cultura, insomma della civiltà. La “democrazia” della seconda Repubblica
spagnola, usando come alibi le ingiustizie sociali da riformare, lavorava alacremente
all’edificazione di una società materialista, senza Dio e senza famiglia,
che esaltava l’uguaglianza dei sessi, il divorzio, il “libero amore” in ogni
direzione, il libero aborto; ovvero quella Rivoluzione Sessuale che le forze
anticristiane, in una singolare simbiosi di sfrenato edonismo capitalista e sinistrismo
libertario e nichilista, stanno imponendo oggi alle nostre nazioni: ieri in
Ispagna, oggi in Italia ed anzi in tutta Europa e nelle Americhe. Mussolini
garantì sempre lo statu quo delle nazioni mediterranee agli spagnoli prima e
agli inglesi poi (preoccupati per la
presenza italiana a Maiorca, che durò solo finché durò la guerra) con il Gentlemen’s
Agreement del 2.1.1937, tra l’altro richiamando in patria il Conde Rossi a
conquista di Maiorca ultimata[22]. Non chiese mai contropartite territoriali a
Franco, checché ne dicesse la stampa “democratica”, soprattutto francese. Il Sig. Juliana ha voluto ricordare il noto quanto infruttuoso intervento di Mussolini (la lettera sopra citata) a
favore degli ufficiali baschi presi prigionieri dagli italiani a Bilbao, affinché
fossero trattati con moderazione dai tribunali del Caudillo, cercando tuttavia
di svalutarlo affermando che il dittatore lo fece solo “per far cosa gradita
alla Santa Sede”, a Pio XI (art. cit. del CdS). Invece, come si è ricordato, interventi di
quel tipo furono una costante da parte delle autorità fasciste italiane in Ispagna,
militari e civili. Il giornalista
catalano, a questo punto, avrebbe anche potuto rammentare che Mussolini si era
attivamente impegnato, unitamente alla S. Sede, nelle trattative segrete tra
Franco e i Baschi per giungere ad una loro onorevole pace separata, gradita
anche all’Inghilterra, che nei paesi baschi aveva enormi interessi. Trattative
che fallirono anche per colpa dell’atteggiamento dilatorio dei Baschi.
L’intervento in Ispagna ci
costò notevoli sacrifici: quasi 6000
caduti, 16.000 feriti e mutilati, grandi quantità di materiale militare in
perfetto stato lasciate alla fine in dono agli spagnoli, una spesa di 12 e
forse più miliardi di lire di allora (equivalenti in potere d’acquisto – credo
– a non pochi miliardi di euro), miliardi per metà condonati da Mussolini agli
spagnoli e per metà pagati da Franco dopo la II guerra mondiale, con moneta
fortemente svalutata[23]. Ciò ebbe il sapore di una beffa ma è anche
vero che l’Italia “democratica”e “antifascista” lanciava contro la Spagna
franchista ogni sorta di contumelie e si batteva per il suo isolamento
internazionale. C’è poi da chiedersi se
la Spagna immiserita di allora ce li avesse i soldi per pagare quel
debito. I nazisti si fecero pagare da
Franco subito in materie prime preziosissime per la loro industria bellica; la
Russia di Stalin si prese in pegno gran parte dell’oro della Banca di Spagna, e
non mi sembra l’abbia mai restituito; i piloti stranieri “volontari” che combattevano
per la Repubblica, si facevano pagare ricchi stipendi in dollari; l’Italia
fascista nulla chiese e nulla prese.
Oggi, la sua partecipazione a quella guerra si suol casualmente
ricordare, anche da parte nazionalista, principalmente per la “disfatta” di
Guadalajara, lasciando nell’oblio le tante vittorie cui essa contribuì
attivamente e a volte in modo determinante:
la presa di Màlaga, di Bilbao, di Santander, le avanzate travolgenti in
Aragona, nel Levante, la conquista della Catalogna. La verità è una sola: piaccia o no,
l’Italia fascista ha dato un apporto fondamentale alla vittoria
della Spagna cattolica nella sua durissima lotta per sopravvivere
all’attacco terrificante dell’Avversario.
Questo suo merito storico nessun “politicamente corretto” può
cancellarlo.
Paolo Pasqualucci
[1] Corriere della Sera, 17 marzo 2013, p. 17.
[2] Stefano Mensurati, Il bombardamento di Guernica. La verità tra
due leggende, Ideazione Editrice, Roma, 2004, p. 388. Si tratta di un ottimo studio che, con
documentazione inoppugnabile, smonta il mito della distruzione di Guernica pianificata
ad arte dall’aviazione tedesca per sperimentare nuovi sistemi di bombardamento.
[3] Mensurati, op. cit., pp. 375-389.
[4] Mensurati, op. cit., cap. IV, Come nascono le favole, pp.
153-224.
[5] Le fotocopie degli ordini di volo si trovano nell’inserto fotografico
presente nel libro di Mensurati. Esso consta
di XXII pagine: il documento tedesco è a p. II, quello italiano a p. IV. A p. VI si ha la fotocopia del libretto di
volo di un pilota italiano (l’allora tenente Paolo Moci) nel quale, tra altre
azioni della giornata, si elenca: “bombaramento ponte ferroviario di
Guernica”.
[6] Per tutta questa ricostruzione:
Mensurati, op. cit., cap. III: Il
bombardamento, pp. 95-126. A titolo
di campione delle numerose ricostruzioni di fantasia sui fatti di Guernica,
l’autore cita un articolo a tutta pagina apparso su L’Unità, allora
notissimo e seguito quotidiano del Partito Comunista Italiano, in data 18
luglio 1956, a firma Riccardo Longone, nel quale si legge che i nazisti
uccisero 4000 abitanti su 6000 approfittando del fatto che si stava celebrando
una festa popolare (che invece non ebbe mai luogo). In un articolo de L’Unità del 26
aprile 1987 si ribadiva che quel giorno “la gente si stava preparando alla
festa serale intorno all’albero [di Guernica, luogo carismatico dei baschi]”,
festa però mai esistita, ignota da quelle parti (Mensurati, op. cit., pp.
101-102, nota n. 4).
[7] Ferdinando Prediali, Guerra di Spagna e aviazione italiana, Società
storica pinerolese, Pinerolo, 1989, p. 335 ss.
Il libro, opera fondamentale in materia, è stato ristampato
dall’Areonautica Militare Italiana nel 1992.
[8] Dopo la presa di Bilbao, Mussolini scrisse una lettera a Franco,
invitandolo alla moderazione. A Bilbao,
le truppe italiane avevano catturato diecimila soldati baschi e concesso a
ufficiali ed esponenti politici di fuggire su navi inglesi presenti nella zona. Il generale Bastico, comandante italiano,
voleva evidentemente sottrarre costoro ai plotoni di esecuzione di Franco. Il quale, però, andò su tutte le furie e pretese,
nel rispetto degli accordi e reciproche competenze, la consegna di questi
ufficiali e politici, cosa che Bastico dovette fare. Vi fu in proposito un violento alterco tra Franco e Bastico, che
dovette poco dopo esser sostituito su richiesta spagnola (vedi: Sandro Attanasio, Gli italiani e la guerra
di Spagna, Mursia, Milanno, 1974, p. 244, p. 170).
[9] Mensurati, op. cit., pp. 74-82.
[10] Mensurati, op. cit., pp. 70-71.
[11] Per tutti questi dati e valutazioni vedi: Ferdinando Prediali, op. cit., p. 332 ss.
Sulla vecchia corazzata Jaime I furono portati e sottoposti a
maltrattamenti per due giorni, nell’agosto del 1936, per indurli (invano) a
bestemmiare, il vescovo di Guadix e quello di Almería (mons. Manuel Medina Olmos e mons. Diego
Ventaja Milán, proclamati beati nel 1993), prima di esser fucilati sulla terra
ferma assieme ad altri quindici religiosi. Vedi: Bruno Lima, La Crociata nazionale di
liberazione spagnola (1936-1939), Due Emme, Cosenza, 1999, p.92, nel
capitolo II, Martirologio, pp. 83-102.
[12] Stefano Mensurati, op. cit., p. 76; p. 320.
[13] Op. cit., pp. 396-400.
[14] Op. cit., p. 72.
[15] Op. cit., p. 58, nota n. 14.
[16] Su Durango, che comunque fu bombardata anche dalla Legione Condor,
vedi: Stefano Mensurati, op. cit., pp. 58-72.
[17] Sandro Attanasio, op. cit., p. 139.
Quest’autore si basa ampiamente sulla storia ufficiale di quella guerra
da parte spagnola, dell’autorevole M. Aznar, Historia Militar de la Guerra
de España, in più volumi, non privo di elogi alle truppe italiane.
Circa Guadalajara, quest’autore mette in
rilievo alcuni difetti nell’ impostazione e nella conduzione della famosa
battaglia: un’offensiva montata troppo
in fretta, in condizioni atmosferiche difficili, con eccessiva concentrazione
di truppe in prima linea, artiglieria in posizione troppo avanzata, eccessiva
fiducia nelle proprie forze [dopo il decisivo contributo alla presa di Màlaga],
l’errore di non aver richiesto in prima linea anche l’apporto di truppe
spagnole, più esperte del terreno. Contro le bugie della propaganda
repubblicana, che, con il supporto dell’immancabile stampa anglosassone, si era
inventata una rotta apocalittica degli italiani (7000 morti mentre il resto dei
“fascisti” fuggiva gettando le armi), egli scrive: “Le operazioni di ritirata furono portate a
buon fine con buon ordine generale, sebbene le circostanze di tempo e di esperienza
favorissero i contrattaccanti. Il valore
con il quale si batterono le forze legionarie di assalto [cioè gli italiani]
corrisponde a quanto i comandanti avevano sperato da esse”. Attanasio rileva, tuttavia, che, secondo gli
italiani, la causa principale della sconfitta fu costituita dal fatto che i Nazionali,
che avrebbero dovuto attaccare dal lato opposto, dal fronte dello Jarama, per
chiudere in una morsa i Repubblicani, o comunque tenere inchiodate le loro
riserve, restarono del tutto passivi, nonostante le ripetute
assicurazioni di Franco dell’imminenza del loro attacco por la mañana, lasciando che gli italiani
continuassero in un’offensiva che appariva ormai senza speranza di vittoria,
contro forze diventate nettamente superiori grazie all’accorrere delle riserve,
dalle quali dovettero subire poi la controffensiva che li ricacciò indietro.
Senza l’autorizzazione di Franco, il C.T.V. (Corpo di Truppe Volontarie,
come erano denominati gli italiani) non poteva ritirarsi. E Franco la diede in ritardo. Il fatto è che i Nazionali erano esausti e in
difficoltà. Perciò: “Il C.T.V. a Guadalajra un risultato l’aveva
ottenuto, e determinante ai fini della guerra:
impegnando e fiaccando le forze repubblicane [che subirono perdite
considerevoli, ben superiori a quelle italiane] nel momento della grave crisi
dell’esercito nazionalista sullo Jarama.
Per Franco ne era valsa la pena” (Ferdinando Prediali, op. cit., p. 211;
p. 209). Per Attanasio, vedi: op. cit., pp. 139-142; p. 143.
[18] Ferdinando Prediali, op. cit., pp. 334-339, con le fonti ivi
citate, compreso il libro di un ex aviatore repubblicano, piuttosto critico nei
confronti delle autorità militari catalane:
J.J. Malaquer Wahl, El enigma del camion de trilita, Barcelona,
s.d.
[19] Stefano Mensurati, op. cit., p. 112. L’opera dello studioso spagnolo è del 1972.
[20] Stefano Mensurati, op. cit., p. 362 ss.
[21] Per queste citazioni:
Vitaliano Mattioli, Massoneria e comunismo contro la Chiesa in Spagna
(1931-1939), Effedieffe, Milano, 2000, pp. 116-117; 119-120. Alcuni esempi della follia criminale
anticattolica dei Repubblicani, che in genere lasciavano stare i
Protestanti: a Barbastro, il gitano
Ceferino Giménez Malla, fu arrestato
perché difendeva un sacedote ingiustamente portato via dalle guardie. Gli trovarono in tasca un Rosario e questo fu
sufficiente per metterlo al muro. Il 2 agosto 1936 fu fucilato al cimitero,
“mentre teneva stretta la corona del Rosario, simbolo della sua fede, e
gridava: “Viva Cristo Re!”. Il suo corpo
venne gettato nella calce viva” (Bruno Lima, op. cit., p. 94). Giovanni Paolo II l’ha beatificato. Mons. Eustaquio Nieto Martin, di 80 anni, “fu
dato in mano alle prostitute, le quali lo portarono nudo per le strade,
sputandogli in viso, colpendolo per poi bruciarlo vivo” (op. cit., p. 92). In un paese presso Ciudad Real, “gli
anarchici legarono insieme 47 preti e suore, tutti nudi. Dai paesi vicini capitarono tutti i
mascalzoni, uomini e prostitute, i quali cavarono alle vittime gli occhi e
tagliarono loro le orecchie, il naso, prima di ucciderli con i fucili da
caccia. La necrofilia unita al sacrilegio
fu una consuetudine assai praticata da queste bande di assassini e così non si
contano le profanazioni di tombe e le esposizioni di cadaveri, specialmente di
religiosi, offerti al pubblico disprezzo con ogni sorta di oscenità
improvvisate sulle salme” (ivi, p. 95).
Sono noti i “processi” e le “fucilazioni” dei “Rossi” alle statue della
Madonna e di Nostro Signore. Il calvario
della Chiesa era cominciato anni prima della ribellione dei militari
nazionalisti. La difesa e la
restaurazione del cattolicesimo fu una delle cause della loro rivolta.
[22] Renzo De Felice, Mussolini il Duce, Einaudi, Torino, 1981,
II, p. 356; p. 362.
[23] La valutazione del costo della guerra è dello stesso
Mussolini. Il quale si rendeva conto (a
prescindere da certi atteggiamenti poco simpatici di Franco) delle oggettive
difficoltà nelle quali si trovava la Spagna, dopo quella devastante
guerra. Ad Hitler che, nell’incontro di Salisburgo
dell’aprile del ’42, si lamentava con lui dell’atteggiamento sfuggente del Caudillo
(che giustamente non voleva esser coinvolto nella guerra mondiale), Mussolini
rispose: “È bene che la Spagna abbia
simpatia per l’Asse ma non si può chiederle quello che non può dare” (Stefano
Mensurati, op. cit., p. 367, nota n. 65, con l’indicazione delle fonti).
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