giovedì 5 novembre 2015

L'ESSENZA DELLA CITTÀ DEL PASSATO (di Piero Nicola)

  Andando in giro per la città, quante costruzioni imprimono nell'animo di Mario una sensazione della vita umana trascorsa, alla quale un poco partecipò o alla quale non avrebbe mai potuto essere presente. Con gli storici edifici egli ha ben poco da spartire. È nato in una regione confinante con questa; i suoi avi non abitarono qui, ed ebbero a che fare con queste strade da forestieri. Ma anche altrove in Italia gli entra dentro analoga impressione, un interesse a conoscere, a fare conoscenze attraverso le abitazioni, a prescindere dalle notizie particolari, da lui apprese solo per accidente.
  Ha sempre creduto di sapere i motivi di quell'interesse. Alcuni sono di carattere quasi archeologico, spesso mescolati a fattori estetici o ideali. Ma che cos'è l'amore per l'archeologia, per semplici reperti che appartennero a gente morta millenni or sono, a defunti di cui magari si ignora la storia del loro popolo? Il quesito lo spinge verso un mistero da svelare, verso un'incognita che gli sfuggiva.
  Gli altri motivi della grata passione per pietre e mattoni vecchi o antichi sono connessi alla bellezza pura, ai valori, alla storia lontana o prossima, a glorie esaltate dai misfatti che le avversarono, alcune tuttora vilipese. Tuttavia le spiegazioni non pervengono a chiarire la sua emozione profonda, anzi la ricoprono. I misfatti sono stranamente annullati e sconfitti da qualcosa che vale, qualcosa che le viltà tentarono invano di distruggere.
  Mario esce dal caseggiato degli anni '30, in cui occupa un appartamento al pianterreno. Non avrebbe difficoltà a confessare che le costruzioni di quell'epoca lo avvicinano ad essa nel modo più intimo, gliene fanno immaginare le esistenze e il meglio del consorzio civile che le pervase e le animò.
  Ora ha intorno altri palazzi stile Novecento. Rivà al dramma che lo spense; ripensa la prosecuzione novecentesca che non poté avvenire.
  Egli entra sulla via principale del quartiere. Il traffico, le motorette allineate nel posteggio al marciapiede, le vetrine e le insegne commerciali, il distributore di carburanti, la gente negli abbigliamenti odierni, gli dicono soltanto i segni di un presente assai ingrato, ed esprimono una diversa sostanza: sono il divenire d'un miscuglio immaturo.
  Guardando indietro agli ultimi decenni, Mario ci vede un flusso dello stesso genere, quasi che conclusioni, trapassi umani, cambiamenti non l'avessero interrotto e mutato. L'attaccamento a un certo passato gl'impedirebbe di andare oltre uno sviluppo della uguale materia recente. Se ne accorge notando qualche dettaglio. L'autobus che faceva capolinea in fondo al vialone, adesso prosegue sino ad una piazza di periferia. La pensilina della fermata, costruita circa vent'anni fa, è stata rimossa insieme alla cabina telefonica, collocata soltanto alla vigilia dell'avvento dei telefonini. Procedendo a ritroso mentalmente, giunge alla sostituzione dei tram con gli autobus, dell'aerea elettricità con i sordi scoppi del motore.
   Allora, il conseguente, omogeneo corso dei costumi, ha pure avuto arresti, ripartenze, novità, che per le generazioni successive alla sua hanno assunto un significato; morti e nascite hanno pure lasciato impronte. Nel frattempo, sono sorte case in luogo di case demolite. Come ignorarlo? Questa scoperta complessiva e ancora piccola, di cui  stenta a capacitarsi, si deve al desiderio di indagine che l'ha preso.
  Lungo la passeggiata, Mario passa in rivista i palazzi decorati di stucchi scialbi o pesanti, di pitture esterne sbiadite, come effimeri nacquero il loro motivi grotteschi o leziosi. E, di nuovo, gli scorrono accanto i palazzi solidi nelle loro forme di moderna classicità. Quindi, compaiono due facciate assai vecchie, spoglie, scabre, ma dignitose e severe.
  In ogni dove i cittadini compirono le loro parabole vitali. Molte loro spoglie forse ancora riposano al camposanto. Di essi una traccia rimane nelle cose visibili ed entro i muri, che ne sono le reliquie. Dev'essere così che dalle cose emana il senso riposto che gli perviene.
  Certo è differente se questa sorta di nostalgia concerne un'arte che egli apprezza oppure riguarda uno stile da lui vilipeso, un cancello liberty oppure un portone netto, ben inquadrato. Certo niente di buono gl'ispira, lì per lì, il bronzeo Garibaldi a cavallo, né il lugubre Mazzini di marmo in cima a un alto piedestallo, situati a breve distanza fra loro: presso il teatro dal portico neoclassico e all'ingresso del parco collinare. Ma quando, per magia, le dimore oggi ispiratrici contenessero gli abitatori ad esse coevi, viventi, intenti alle loro faccende, quale affezione ne proverrebbe?
  Egli leva lo sguardo in alto ai cornicioni degli edifici, e in basso sull'attuale movimento, e poi al cielo immutabile nei suoi ritorni stagionali, soprattutto nel sereno sempre sovrastante. La vita che muore e rende la città luogo della memoria, cimitero perennemente animato dalle presenze degli estinti, continuamente soggiorno di vivi che trapassano: è questo a suscitare dai manufatti la conciliazione con l'umanità, l'amore del suo passato, inclusi i suoi trascorsi vergognosi. Infine l'agente è la morte, la sua estrema giustizia per i giusti e per gli iniqui, nelle loro opere sussistenti buone e cattive, alcune distrutte e scomparse, altre ridotte a vestigia. La larvata, inconsapevole, cara pietà verso la fine di tutti, sta nel giudizio cui nessuno sfugge, appena oltrepassata la soglia del non ritorno.

Piero Nicola 

    

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