lunedì 23 novembre 2015

Sulla sindrome post aborto (di Ezio Minerva)

Da molti anni ormai si susseguono gli eminenti studi che sottolineano non solo la rilevante frequenza della sindrome post-aborto volontario, ma anche i suoi effetti spesso drammatici, eppure i mass media continuano ad alzare vertiginosi steccati su una realtà altrimenti non facile da sopportare per la gran maggioranza degli occidentali educati a bearsi del “diritto di scelta”, senza nemmeno comprendere il profondo significato del “diritto di vita”.
Nel XIX secolo le primissime femministe cercarono di affermare soprattutto le libertà della madre nella nuova società industriale, oggi la tipica femminista, se non tutte le militanti, non prendono nemmeno in considerazione d'informare le donne sulle autentiche conseguenze non solo psicologiche di un aborto, navigando nelle acque oziose del politicamente corretto, del laicismo, della cultura dominante e dell'informazione imperante. Così, irrigate da queste, la nostra società occidentale ci presenta circa il 90% di donne che dichiarano, dopo l'operazione, di essere state all'oscuro dei possibili, anzi probabili traumi; sono i traumi psicologici responsabili di aumentare sino a sette volte i casi di suicidio, ultimo atto al quale approda una minoranza di quelle numerose donne precipitate in una inquietante realtà di abuso di farmaci, alcolismo, tossicodipendenza, depressione, disturbi di ansia e persino infertilità.
Non voglio inquinare questa pagina riferendo di personaggi e riviste che non contenti della censura prima citata sostengono, sicuramente in male fede, l'inesistenza della sindrome, tacendo che negli USA è studiata sin dagli anni '60, che in tutto il mondo occidentale, come accennato, vi sono sociologi, medici e psichiatri che vi si dedicano, pubblicando articoli in prestigiose riviste scientifiche, come quella apparsa nel British Journal of Psychiatry nel 2011, capace di prendere in considerazione centinaia di migliaia di donne.
Qualche terapia potrà forse attenuare la sofferenza, ma l'unica vera cura è la Misericordia di Dio, elargita nel pianto e nell'umiltà del confessionale; il progresso scientifico non arriverà mai a far dimenticare ad una madre di essere madre, anzi, a ben vedere, tanto più si muovono le nuove frontiere della cosiddetta scienza e del laicismo tanto più si approfondiscono i drammi umani, così che nel nuovo millennio, sempre a detta del medesimo giornale, il 10% di tutti problemi mentali deriva dall'aborto*.
I vantaggi della relativamente nuova soppressione chimica sono infatti un'esclusiva delle case farmaceutiche, mentre la donna, afferma la psicologa e psicoterapeuta Cinzia Baccaglini - a parte il vomito, le perdite di sangue, le sedute in bagno - vede addirittura il suo embrione espulso, andando comprensibilmente incontro ad “un aumento della ideazione suicidaria e tentativi di suicidio perché a differenza dell'operazione chirurgica che è stata compiuta direttamente da altri su cui riversare rabbia, quelle pastiglie le hanno messe in bocca loro”**.
La realtà non migliora certo con le nuove tecniche di fecondazione artificiale, dove è chiara la cosificazione degli embrioni e la strumentalizzazione delle donne; nella società della tecnologia e del profitto l'essere umano, oltre a produttore e consumatore, è diventato macchinario, strumento. La nostra civiltà, più anti che post-cristiana, ci regala anche questo abominio; il risveglio sarà amaro.

Ezio Minerva


* Una panoramica dei vari studi si può trovare nell'articolo Studi scientifici dimostrano la Sindrome Post Aborto in www.uccronline.it
**in 50 domande e risposte sul post-aborto – Generazione Voglio Vivere

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