Mi metto
nei panni del cittadino qualunque. Non mi costa troppa fatica giacché, in
materia, sono poco documentato, le mie fonti principali sono la tivù e i
giornali letti qua e là. Tuttavia riconosco d'essere un tantino presuntuoso:
presumo di approfondire le notizie, di farne una critica autonoma e oggettiva,
di andare oltre la sensazione che qualcosa non quadri, insomma di scoprire
altarini ben mimetizzati.
La materia è l'immigrazione nelle sue
entità e nelle quote di extracomunitari che certi paesi europei, avendone di
meno, dovrebbero prendersi levando il di più d'Italia e Grecia, che ne hanno in
sovrabbondanza. Lasciamo stare le ragioni per cui ci sono Stati dell'UE i quali
non accettano la ripartizione prevista, e il perdurante disaccordo sulle varie condizioni
da osservare.
Per inciso,
è curioso come resti oscuro se la Germania, e forse anche la Svezia - penetrate
da una fiumana di genti estranee all'Europa e risalenti dai Balcani - chiedano
o no di liberarsi del loro eccesso d'emigranti. Visto che costoro devono essere
nell'ordine numerico del milione.
Quanto a
noi, si parla di assegnarne ai soci comunitari decine di migliaia, per un
totale che non arriva alle duecentomila. Ma negli ultimi anni ne abbiamo
ricevuto oltre mezzo milione. La sproporzione dipende forse dal fatto che non abbiamo
identificato una quantità di sopraggiunti abitanti del Vicino Oriente e
dell'Africa, essendo presumibile che molti non avranno diritto all'asilo e
dovranno essere rimpatriati? A occhio e croce, la sproporzione rimane,
quand'anche si ammetta che i patti di Dublino restino valevoli circa il
ricadere dell'onere di tale identificazione sui paesi di prima accoglienza, e
quand'anche si presuma che, diventato efficiente il governo italiano, i
rimpatri debbano avvenire per benino. Tuttavia la capacità di rimandare a casa
i clandestini rimane affar nostro.
La
sproporzione si giustifica anzitutto perché chi vuole rimanere apolide,
rifiutando con qualche scusa d'essere censito, ha agio di farlo (prendergli le impronte
digitali e attribuirgli un nome non servirà a nulla), e perché chi ha interesse
ad avere un'identità ma non risulta essere un rifugiato, difficilmente può
essere rispedito al mittente (p.e. in Siria, in Eritrea, in Somalia). Infatti,
per molti giovani e uomini validi di quelle regioni, come dimostrare che siano
perseguitati al rientro in patria e che non siano tenuti a militarvi in uno
schieramento?
C'è poi
la questione temporale. Il conteggio non dovrebbe partire da molti anni in qua,
cioè da quando cominciò l'arrivo di quegli stranieri, che ancora non hanno i
requisiti per avere un permesso di soggiorno?
Perciò si
è posta solo la coda del problema concernente i disperati e/o temerari del viaggio della speranza, così definito in
un modo che suona beffardo (quale speranza
per gente imbarcata su natanti quanto mai insicuri, gente caduta in potere di
trafficanti criminali, gente in maggioranza senza arte né parte, destinata a restare
estranea o ostile, essendo di cultura e religione che stridono con quelle della
nazione ospite, gente privata delle sue radici?).
L'Italia
è piena di immigrati provenienti via terra e anche dall'Est europeo e oltre (ucraini,
romeni, albanesi, cinesi, ecc.), nonché dal Centro e Sud America. Si vuol fare
la differenza tra gli sbarcati o soccorsi in mare e gli altri, che possono ugualmente
essere clandestini?
Il
problema posto è affatto inadeguato considerando che, nell'insieme, tali
stranieri qui sono molti milioni e circa il dieci per cento della popolazione
italiana.
Si dirà
che le badanti e gli altri lavoratori provenienti dall'estero, messi in regola
e aventi un regolare permesso di soggiorno, non costituiscono un danno
economico. Invece - a prescindere dal danno morale e spirituale dovuto all'introduzione
di costumi, di etiche e credenze religiose incompatibili con le nostre - il danno
lo subiamo: sia all'occupazione e alle attività economiche, sia alla finanza
nazionale, sia per un aumento delle percentuali di delinquenza e criminalità. Senza
manodopera, commercianti e imprenditori così importati, i nostri connazionali
sarebbero quasi costretti, o potrebbero esserlo, a occupare i posti ceduti in
tal guisa, e sarebbe un bene per la nostra società. Inoltre una grossa fetta dei
risparmi degli immigrati finisce nelle loro terre di origine. Né la loro
prolificità genera cittadini italiani e, qualora si dovesse giungere al
disgraziato ius soli, supplendo malamente
a un nostro difetto, ciò non farebbe che incrementarlo.
Allora
bisogna partire da questi dati numerici e da queste realtà, per ridistribuire
gli immigrati nei paesi dell'UE, se l'UE è la comunità o unione che pretende di
essere, per esempio con la moneta unica.
Ma la
soluzione vera sarebbe tornare al concreto delle nazioni, alla loro adeguata
sovranità, alle loro proprie monete e banche indipendenti.
Piero Nicola
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