“Quando piango sulla rottura di una tradizione è
soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice ho pietà dei
fiori che seccheranno per mancanza di linfa.
Gustave Thibon, L'uomo maschera di Dio.
L'Occidente
postmoderno è agitato e tormentato da due convergenti e associati vizi di
pensiero: un'oscura, sotterranea e implacabile avversione alla verità
cristiana e una ecumenica indulgenza nei confronti delle più abbaglianti
adorazioni del progresso e/o del regresso.
In altre parole: la religione cattolica,
alterata e stordita dal tuffo conciliare nel vuoto soggiacente alla
finestra buonista, risorge davanti alla porta di una modernità sfondata dai
contrari segnali della storia.
I progressisti rinculano nascondendo la
sterilità del loro pregiudizio, puntualmente ridicolizzato da Gustave Thibon: “tutto
ciò che non appartiene all'eternità appartiene al tempo perduto”.
Il progresso meccanico dell'Europa corre in
direzione dei vicoli ciechi tracciati dall'impotenza laicista al cospetto
dell'islam e affumicati dal fuoco crepuscolare alimentato dalla tradizionale
stupidità dei politicanti americani.
Di qui la ritornante attualità degli impavidi
pensatori cattolici e/o reazionari [1],
che hanno tentato di arrestare la forsennata corsa della Francia, motrice
laica, democratica e progressiva dell'Occidente, verso il traguardo dal
gauchismo e/o dalla neo-destra: il patibolo costruito dai laicisti in vista
della decapitazione della civiltà cristiana.
Alla intrepida/irriducibile aristocrazia reazionaria
appartiene Gustave Thibon (1903-2001), il filosofo contadino, al
quale il molisano Nicola Tomasso ha dedicato un dotto e pregevole saggio, Il
realismo dell'incarnazione, pubblicato in questi giorni nella collana della
teatina Tabula Fati.
L'autore sostiene che Thibon è attuale perché
dimostra che la fede cattolica è capace di risolvere, senza compromettersi con
le suggestioni emanate dal falso ecumenismo, il dilemma che tormenta la
Cristianità contemporanea: “Non abbiamo che la scelta tra i due termini di
questa alternativa: restaurare, mediante l'armonia un ordine vivente o
lasciarci imporre un ordine morto o mortale da una forza senz'anima che
annichilirà tutte le altre!”
Nell'euforia
ronzante nel vaniloquio dei nuovi teologi, nella patetica convinzione di poter
battere l'ateismo e addomesticare l'invasione islamica, Thibon vede il
risultato “delle virtù allo sciroppo, alla salamoia o al bagnomaria,
che uccidono la fecondità al fine di ritardare un poco la corruzione”.
Intorno
alle tenerezze mentale dei teologi aggiornati si squadernano
puntualmente gli effetti della nevrosi moderna: “non si sa più aspettare, ci
si precipita fino all'estremo limite di tutte le possibilità di godimento. …
Una tale fretta è indizio di un profondo esaurimento del carattere”. In
sintonia con Thibon, Tomasso sostiene che tutti gli orrori totalitari
discendono dalle dolci illusioni a monte della sanguinaria rivoluzione
giacobina.
Al seguito delle tragedie al seguito della
farsa del 1789, sta l'odio degli immoralisti conto il paterno principio di
autorità, e con esso la rovente avversione al senso comune: “da un lato si
diffonde una incapacità nel classificare razionalmente Dio, dall'altro si mette
in discussione l'esistenza di princìpi universalmente validi e quindi
inevitabilmente di valori universalmente validi”.
Puntualmente Tomasso rammenta che tale
diagnosi svela la necessità “di una riappropriazione da parte dell'uomo
delle radici spirituali e terrestri, di un recupero dei legami tradizionali e
del rapporto tipico tra uomo e terra”.
Il
ritorno al realismo della terra “questo perpetuo controllo del fatto
sull'idea”, è la via d'uscita dal vicolo cieco battuto dalla ideologia
schizofrenica, infatti “il panorama che la modernità ci offre è una
separazione arida: da un lato una corsa sfrenata verso la novità, una
agitazione ansimante verso il cambiamento, l'adesione a ideologie mortifere e
luciferine; dall'altro una schiera di sepolcri imbiancati, che credono di
realizzare il regno di Dio su questa terra”.
Piero Vassallo
[1] Maurice
Bardèche, Charles Maurras, Georges Bernanos, Etienne Gilson, Réginald
Garrigou-Lagrange, Paul Claudel, Gabriel Marcel, il primo Jacques Maritain ecc.
In Italia le idee del cattolicesimo antimoderno furono interpretate dal
filosofo Cornelio Fabro e dagli scrittori Giovanni Papini, Domenico Giuliotti,
Piero Bargellini, Guido Pallotta e Niccolò Giani.
Nessun commento:
Posta un commento