La realtà della dissoluzione del mondo,
profetata da Daniele, con la congiunta persecuzione degli uomini santi,
riguarda, come è noto ai credenti, l’avvento dell’Anticristo, portatore di
avversità, qui adversatur, e di
discordie, l’antikeimenoV, di cui parla Paolo nella Seconda Lettera ai
Tessalonicesi.
Il primo portatore di discordie, nel mondo
antico, fu Socrate, il quale inaugurò quel metodo dialettico che Platone, suo
discepolo, lo teorizzerà in senso universale e non solo più relativo alla sfera
etica. Nel mondo cristiano, portatore di discordie e di divisioni fu lo stesso
Cristo, che, contestando la tradizione legalistica custodita dai Farisei,
inaugura quella libertà ermeneutica della verità custodita dal Vecchio
Testamento che verrà canonizzata nei Vangeli e quindi nella tradizione
esegetica patristica.
Mutato il paradigma interpretativo della Verità,
muta anche il senso della sua annunciazione. La verità mitica, attraverso la mediazione
della lettura filosofica, sposta il baricentro della credenza razionale dalla
dimensione puramente politica dell’ossequio al Potere costituito alla
dimensione antropologica dello homo
rationalis, interprete di valori etici superiori alla stessa legge positiva
perché ideali.
Parimenti, la verità biblica, attraverso la
mediazione della lettura evangelica, sposta il baricentro della fede dalla
dimensione puramente legale dell’ossequio al Padre alla dimensione
antropologica della divino-umanità del Figlio. Una stessa fede dunque si
dispiega col Cristianesimo in termini di apostolato e di messianismo storico, e
non solo più come destinazione etnico-nazionale a un popolo privilegiato e
depositario unico di essa.
In questa esigenza cattolica del Cristianesimo storico e universalistica della ragione dialettica, si trova il punto di
raccordo della sapienza antica e di quella nuova che ricuce in una novella
sintesi teo-logica la frattura culturale apertasi dalla follia della predicazione del Cristo entro il cosmo naturalistico
greco. Dall’incontro della fede escatologica evangelica con il Logos filosofico nasce la tradizione
intellettuale e teologico-politica romano-alessandrina ereditata storicamente
dalla universale civiltà europea.
Orbene, questa millenaria sintesi
etico-teoretica della civiltà cristiana erede di quella antica è sopravvissuta
ai due grandi scismi cristiani, d’Oriente e d’Occidente, e si è infranta con la
nascita della cultura moderna e dell’umanesimo razionalistico
neo-fisicalistico. Con lo scientismo moderno, la fede cristiana è diventata una
questione puramente religiosa, distinta e separata dal sapere e dalle teorie
razionalistiche della conoscenza della realtà naturale e storica.
Dal punto di vista della fede, la svolta
umanistica l’ha ridotta a religione, surrettiziamente riconsiderata all’interno
della sua funzionalità politica dalla quale la predicazione di Cristo come fede
nella Verità l’aveva in origine voluta emancipare.
Dal punto di vista culturale, lo scientismo
umanistico, riabilitando il sapere antico distinto dalla sintesi teologica
cristiana, riportava in auge le categorie di pensiero pagane liberandole da
ogni mediazione morale ed escatologica, riconsiderando la storia spirituale
dell’umanità in termini puramente biologico-politici, rispetto ai quali ogni
rappresentazione spiritualistica rivestiva il valore di una superfetazione
mitica e fantasiosa. La verità cristianamente pensata diventava per la ragione
moderna un Mito, rispetto al quale il sapere scientifico operava come già la
filosofia greca aveva operato sulla mitologia pagana.
Il germe della
dissoluzione era già interno al Cristianesimo, ed era appunto costituito da
quell’universalismo razionalismo che era stato il portato del pensiero
dialettico greco, la cui tecnica,
liberata da ogni finalismo teoretico, diventava il metodo scientifico di
considerare ogni ordine della realtà in senso razionalistico. Ciò che
tratteneva (kateicon ) la deriva ateistica e l’apostasia (descessio) dello scientismo
razionalistico dalla Verità trascendente ogni naturalistica certezza empirica,
è stata nella Cristianità considerata la Chiesa (ekklesia), e non già quella fides senza la quale la pagana ratio diventava una mera tecnica (tecnh), confondendosi la
creatura divina di Dio, il Suo strumento storico, con il suo Creatore, verso il
Quale il credente era chiamato appunto a credere. Rispetto alla antica fede
giudaica in Dio, la fede in Cristo assumeva un valore di rinnovamento
spirituale in senso non più etnico-culturale ma trans-nazionale e antropologico
universale, e quindi inclusivo dell’antico nel nuovo credo. Ma questa rinnovata
fede in Dio attraverso la fede nel Cristo, non poteva né può confondersi con la
fede nella Chiesa come istituzione storica e struttura mondana di
organizzazione religiosa internazionale. Ma proprio questa indebita confusione
della creatura col Creatore ha umanizzato lo stesso oggetto della fede,
riferendola a una realtà umanamente imperfetta, al pari della struttura sociale
e dello Stato. L’idolatria ecclesiale, non soltanto è stata fomite di divisioni
interne al Cristianesimo, ma ha contribuito non poco alla determinazione della
Verità di fede come un oggetto di pensiero, suscettibile di una definizione
teoretica di carattere logico-filosfico, e quindi dialettico, al pari di ogni
ente ideale. E infatti lo stesso processo culturale che ha condotto la Chiesa , comunità di fede e
strumento divino, a trasformarsi storicamente in una umana istituzione di
Potere religioso, in grado di competere sul piano politico con le altre potenze
secolari mondane, ha condotto al culto fideistico dello strumento razionale (Lògos) privato di ogni télos trascendente il suo stesso metodo,
e dunque alla rimozione superstiziosa della Verità dall’orizzonte di coscienza
dell’epistemologia moderna, che l’ha confinata alla dimensione privata del foro interiore ma come una
rappresentazione non razionalmente sostenibile della realtà. Il motivo protestanico
della sola fides, astratto dal suo
fine escatologico divino, è anch’essa superstiziosa credenza nella realtà
dell’ente come speculum Dei, e va
considerato opposto ma omologo al motivo istituzionalistico cattolico, che fa
dell’ente ecclesiale l’idolum tribus ecclesiastico,
rappresentando i due volti storici della rispettiva apostasia
dalla fede comune nella carità fraterna in Cristo, l’unica Verità.
Rimossa la fede nella Verità cristiana, e
considerato il suo credo alla stregua di una qualunque credenza mitica
dell’attempato e metafisico homo
religiosus, e quindi oggetto culturale transeunte e destinato a essere
superato come ogni altra similare credenza religiosa nel processo del
nichilismo storico, i termini esistenziali della realtà umana sono stati
razionalisticamente omologati metodologicamente a quelli naturalistici di ogni
altro essere vivente, ritenendosi un errore la separatezza metafisica tra res cogitans e res extensa, ma non la considerazione dell’uomo come una res astrattamente oggettivabile alla
pari di ogni contenuto di pensiero razionale, facendo così della umanità un’Idea e della salvezza
dell’uomo un ideale storico, e come tali affrontabili con gli strumenti offerti
dalla ragione umana e dalla sua tecnologia. Sul piano della realtà sociale,
l’ideologia umanitaria assume le forme istituzionali della democrazia, mentre
lo strumento della salvezza biologica dell’umanità viene fatto consistere nel
sistema capitalistico.
L’Anticristo non è, come potrebbe pensarsi, un qualcuno in senso singolare, come
potrebbe essere un dittatore, ma è l’ente mondano venerato come l’Essere,
ovvero, nei rapporti politici, il Popolo idolatrato come il Sovrano, e nei
rapporti economici la
Ricchezza idolatrata come lo stesso benessere dell’umanità,
fuori di ogni tensione finalistica verso l’affermazione spiritualistica
dell’uomo, in cui consiste la salvezza cristiana. La salvezza celeste è la affermazione dell’uomo
spirituale sull’animale sociale pagano.
Allorquando Tertulliano
afferma che “l’imperatore è grande proprio perché è subordinato al cielo:
infatti, anche egli appartiene a Colui al quale appartiene il cielo e qualsiasi
altra creatura”, e che “egli è imperatore grazie a colui in ragione del quale è
anche uomo, prima che imperatore; provenendo il suo potere dalla stessa origine
del suo spirito” (Apologeticus Adversus Gentes pro Christianis, XXX,
1-4), esprime in linguaggio arcaico la natura stessa della questione politica
moderna, che fonda sulla superstiziosa fede nella sovranità popolare la
legittimazione del Potere, che pone al posto della volontà di Dio la volontà
dell’elettorato, così come al posto della Verità pone la credenza nell’ipotesi
epistemologica della comunità scientifica.
La crisi di valori attuale, in un mondo dominato
dalla superstizione idolatrica nel benessere materiale a garanzia del quale si
confida nelle risorse infinite della scienza, non può essere affrontata con
espedienti dottrinali o con politiche di piccoli passi diplomatici, ma deve
partire dalla consapevolezza che le categorie di pensiero che hanno retto il
cosmo culturale cristiano erano tarate da sincretismi razionalistici di
retaggio naturalistico pagano che si sono rivelati funzionali alla
conservazione del mondo antico sotto mentite spoglie cristiane, ma che non sono
serviti a cambiarlo in senso spiritualistico.
L’intento di cambiare il mondo in senso
spiritualistico non può conseguirsi come un obiettivo politico, facendo della fede cristiana una ideologia da zeloti o
da feddain o da talebani. Al
contrario, la fede cristiana consiste esattamente nel superare la dimensione
politica della vita sociale a favore della dimensione singolare in senso di
Kierkegaard della esistenza spirituale, trascendendo quella figura personale dell’uomo che a tanti equivoci
concettuali si è prestata per la polisemicità del suo uso promiscuamente
giuridico e teologico. La salvezza dell’Uomo non equivale alla salvezza di un
popolo, di una razza, di una nazione, di uno Stato o di una classe sociale. Ma
neppure alla salvezza di un Impero o di una astratta Umanità, sia pure
religiosamente connotata come Chiesa universale. Così come la salvezza
dell’Uomo non può essere fatta coincidere con un sistema economico, sia pure
globalizzato. Questi sono ideali mondani e storici in senso empirico, e
costituiscono oggetto di credenza alla stregua di una teoria scientifica, che è
valida fino a prova contraria, per cui basterebbe far tacere ogni prova
confutatrice per salvaguardarne la presuntiva fondatezza dell’ipotesi. E così
sta avvenendo verso le ideologie politiche, viepiù uniformate al modello
storicamente vincente dell’american style
of life.
Come ogni modello ideale, anche quello
storicamente vincente che vi si ispira può essere universalizzato senza perdere
la sua natura empirica e transeunte di ente finito, e perciò imperfetto e
diveniente, ma neppure mai veramente realizzarlo sul piano dei rapporti
concreti. Ciò vuol dire che la sua espansione geo-politica sarà ostacolata
dalla concretezza dei fenomeni locali, significativi secondo la loro natura
ideale e il loro fondamento ontologico, ossia la loro fede metafisica. La
globalizzazione capitalistica troverà nelle tradizioni religiose locali una
resistenza simile a quella che fu il cristianesimo alla espansione
dell’ideologia romana. La forza del cristianesimo non fu certamente politica,
come quella della Chiesa, ma fideistica. Infatti la forza politico-militare
romana si fermò davanti alla dichiarazione di Gesù circa la esistenza della
verità, di cui Pilato ignorava il significato. Lo stesso accade oggi
all’imperialismo americano, che può esportare efficienza tecnologica e
rappresentazioni mitizzate del loro modello di vita capitalistico e
democratico, ma non può confutare le verità che sostengono l’esistenza concreta
dei popoli che lo subiscono. Ed è questa sostanziale ragione che obbliga il
Potere imperialistico occidentale a cercare di neutralizzare le fonti locali
della verità facendo direttamente appello ai bisogni vitali dei popoli e alla
loro legittimazione politica attraverso il consenso elettorale, senza passare
attraverso la mediazione culturale delle tradizionali élites intellettuali e religiose. In questo senso esso opera come
una potenza anti-spirituale e anti-storica, che ribalta l’origine della
sovranità dal cielo dei princìpi alla potenza delle forze terrene, secondando
la previsione profetica di Paolo di 2 Ts,
che prevedeva l’apostasia
o discessio della potestà politica,
che riceve autorevolezza dalla rappresentanza popolare, dalla autorità morale
del Cristo generato da Dio, cioè del Potere mondano, legato alla mediazione
della forza sociale, dal Governo assoluto, divinamente ispirato dalla fede.
Questa separazione, conseguente a quella intervenuta nel corso razionalistico
del pensiero moderno, dove il Logos antikeimenos si è scisso dal suo
fondamento ontologico di verità di fede, è foriera della anomia dilagante nella attuale società liquida.
La fede cristiana, rivedendo i fondamenti della
propria teologia politica, deve proporsi di riconsiderare le ragioni teologiche
di tale scissione metafisica che ha riconsegnato la civiltà alla teoresi
naturalistica neo-pagana, per riproporsi come fonte spirituale di una
concezione impolitica della storia umana, e pertanto, rispetto al corso
politico moderno, non già come ispirazione di una politica
contro-rivoluzionaria ma bensì di una cultura contraria alla mera rivoluzione
politica, per riprendere la celebre espressione di de Maistre,. Posizione che
fu quella assunta da Gesù, che si oppose all’ideologizzazione religiosa della
fede da parte degli zeloti, negando col martirio che la politica potesse avere
il posto di Governo che spetta solo a Dio.
Oggi lo zelotismo, che ha interessato anche
alcune correnti teologiche libertarie, si diffonde nell’Islam, e perciò il cristianesimo
può vantare verso quella tradizione monoteistica una superiorità morale e
teologica non sottacibile dietro contingenti prospettive ecumeniche o alleanze
tattiche contro l’ateismo tecnocratico. A questo scopo, le stesse Chiese
cristiane devono dismettere ogni politica conciliatoria con il Potere secolare
per concentrare la loro azione pastorale nella predicazione contro il falso
idolo tecnocratico e a favore di una storicità dell’Uomo spirituale,
promuovendo la ricerca di una rinnovata rappresentazione dei nostri tempi
avente per oggetto la loro dimensione apocalittica. Solo infatti abbandonando
le false illusioni del catechon democratico,
si potrà pervenire al completo disvelamento della natura anti-cristica del
Potere tecnocratico dilagante col capitalismo confutando il suo carisma
edonistico presso le masse, e attraverso questo rinnovamento spirituale della
tradizione culturale cristiana si potrà uscire dalle paludi ormai mefitiche
dell’ultimo scorcio dell’età del Logos
politikos e inaugurare un nuovo eone
storico, dello Spirito di carità.
Costantino Marco
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