La nozione di partigiano/patriota,
conservata nella severa tasca del potere quirinalizio, insieme con il venerato
metro di legno, che misura la gloriosa entità della vittoria antifascista nella
seconda guerra mondiale, è purtroppo messa in dubbio dalla teoria elaborata da
un autorevole filosofo del diritto, il tedesco Carl Schmitt (Plettenburg 1888 - Plettenburg 1984) [1].
Lo
studioso tedesco, dopo aver attribuito alla rivolta antigiacobina dei vandeani
il carattere di ribellione contro la tirannia instaurata da compatrioti, ha
fissato l'autentica, imbarazzante data di nascita del partigiano zarista,
obbediente al potere costituito: "Nell'estate del 1812 partigiani russi
guidati da militari ostacolarono con azioni di disturbo l'avanzata
dell'esercito francese verso Mosca: nell'autunno e nell'inverno dello stesso
anno i contadini russi decimarono i francesi in fuga".
Schmitt rammenta che
Lev Tolstoj ha elevato il partigiano russo del 1812 "a portatore delle
energie primordiali della terra russa, che si scrolla di dosso il celebre
imperatore Napoleone insieme alla sua fulgida armata".
L'essenza originaria
del partigiano è il patriottismo russo insorgente contro le baionette francesi,
strumenti della liberazione illuminata. Alla luce del fatto storico è lecito
affermare che la radice del movimento partigiano è la fedeltà alla tradizione
minacciata dall'esercito radunato intorno al vessillo della rivoluzione illuminata.
Nel
solco della cultura controrivoluzionaria si colloca anche l'editto prussiano
dell'aprile 1813 , un documento che legalizza la milizia territoriale: "In
quell'effimero editto prussiano ... è documentato l'attimo in cui il partigiano
appare per la prima volta in un ruolo nuovo e decisivo, quale figura sino
allora non riconosciuta dallo spirito universale. Non già la volontà di
resistenza di un popolo ardito e bellicoso, ma cultura e intelligenza han no
aperto le porte al partigiano e gli hanno conferito una legittimazione su basi
filosofiche".
La dottrina della
guerra partigiana fu riveduta e aggiornata da Lenin "che considerò
inevitabile il ricorso alla violenza e a sanguinarie guerre rivoluzionarie, sia
civili che internazionali, e perciò approvò anche la guerra partigiana come un
momento necessario dell'intero processo rivoluzionario".
Nel
pensiero leninista la guerra partigiana è inseparabile dalla guerra civile:
"la guerra partigiana è una forma di lotta inevitabile, della quale ci
si serve, senza dogmatismi e senza preconcetti, così come ci si deve servire, a
seconda delle circostanze, di altri mezzi e metodi legali o illegali. pacifici
o violenti, regolari o irregolari. Lo scopo è la rivoluzione comunista in tutti
i paesi del mondo".
Riconosciuta, grazie
alla lettura del fondamentale teso di Schmitt, l'esistenza di due irriducibili
dottrine contemplanti la guerra partigiana si afferma l'obbligo di riconoscere
l'esistenza di una doppia identità della resistenza italiana: la figura di una
guerra contro l'occupante tedesco e la figura di una guerra rivoluzionaria.
Di qui
la necessità di sdoppiare il metro storico nella tasca dell'illustre apologeta
della resistenza, e di riconoscere finalmente che vi fu una resistenza
obbediente al Regno d'Italia e una resistenza conforme all'ideologia
marxista-leninista.
Il
rispetto dovuto alla Resistenza in generale, non contempla il
nascondimento della doppia ispirazione, sabauda e leninista, legalitaria e
rivoluzionaria, patriottica e birichina.
La
resistenza del partigiano monarchico Piero Operti, ad esempio, non può essere
confusa con la resistenza di Pietro Longo.
Solo
un'acrobazia vertiginosa e temeraria può associare i resistenti responsabili
delle stragi consumate nella non radiosa primavera del 1945 (quarantamila
fascisti e/o presunti tali sveltamente massacrati) al patriottismo del
partigiano monarchico Operti o a quello del partigiano cattolico Aldo Gastaldi.
Due
resistenze, due metri di legno sono insinuati, al seguito dello scritto di
Schmitt, nell'autorevole tasca storica del signor presidente Mattarella.
L'antitesi fascismo malvagio - resistenza sacra, si rovescia in un balletto a
tre. Come nello storie d'amore infelice, nella squillante dialettica del signor
Presidente, lo scritto di Schmitt inserisce un terzo incomodo.
Piero Vassallo
[1] Cfr. Carl Schmitt, Teoria del partigiano, Adelphi,
Milano 20123. Schmitt, dopo
aver tratto dal pensiero di Thomas Hobbes (1588-1679) la teoria decisionista,
["la legge non è norma di giustizia, bensì imperio, mandatum di
colui che detiene il potere supremo e si propone con esso di determinare le
azioni future dei cittadini"], fu tentato dal
pensiero controrivoluzionario cattolico di Juan Donoso Cortès (1809-1853).
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