Dice: "Vuoi affrontare un problema
di così grande portata con quattro parole che potrebbero venire dall'uomo della
strada?" Sicuro che non ho paura di farlo, perché il giudizio non viene di
certo da uno degli intervistati, a campione, dal giornalista televisivo. Io
scelgo un vero rappresentante del buon senso elementare.
A che proposito? A proposito del massimo tema del giorno: il
protezionismo. Già la parola protezionismo
è buona, comporta difesa dell'interesse nazionale. Al contrario viene
scioccamente ritenuta negativa, equivalente a un danno anacronistico; come se
le nazioni non fossero sempre una possente realtà e non continuassero a dover
badare, in qualche modo, al proprio tornaconto; come se la stessa autarchia, il
fare a meno di dipendenze e di costose importazioni, non avesse procurato
invenzioni e benefici. In Italia , per esempio, si inventò la plastica,
adottata da ogni paese. Ma i capi di stato dei maggiori paesi, compreso il
provvisorio capo del governo nostrano, si danno d'attorno per dimostrare che i
provvedimenti protezionistici non giovano né al mondialismo (e qui si potrebbe
essere d'accordo) né ai singoli stati. E qui cade l'asino.
Il
perché si dimostra facilmente. Basta stabilire la gerarchia dei valori. Occorre
chiedersi se sia più importante il risultato economico complessivo, il famoso
pil, o il benessere generale (materiale e morale) dei cittadini. Persino la
Merkel risponderà che le sta a cuore il bene comune. Sia lei che Gentiloni, che
Renzi, obbligati a parare le obiezioni e il malcontento, dichiarano di voler
provvedere all'occupazione, al lavoro per i giovani. Invece fanno derivare ciò
dalla complessiva prosperità, dalla ripresa in atto successiva alla crisi.
Intanto, mi permetto di dubitare delle statistiche. Persino quelle
tedesche non le fanno gli angeli... E tanto meno credo all'uso che ne fanno i
politici. Le statistiche assomigliano alle valutazioni delle agenzie che
assegnano le A ai dati economici dei vari paesi, secondo certe convenienze
politiche. Ma volendo ammettere un attuale miglioramento dell'economia, volendo
pure ammettere che esso sia generato, in certa misura, dai liberi scambi
commerciali, dall'abolizione di dazi doganali, la questione rimane la stessa: è
molto più importante il Bene comune dell'incremento del pil: aumento che
consiste nel maggior profitto di una minoranza privilegiata alquanto
internazionalista, e nella crescita di capitali vaganti sull'orbe terracqueo.
È
evidente che la salute sociale dipende dal lavoro e che il lavoro dipende dal
protezionismo, dalle industrie messe in grado di operare in loco, e che non
sono soggette a chiusura o trasferimento all'estero, che mantengono la vita di
città e villaggi, conservandone il patrimonio di creatività e di tradizioni. Il
mondialismo vantato è la negazione di questo valore inestimabile; esso produce
instabilità di multinazionali apolidi che obbediscono a centrali anonime, capitali
erranti che vanno alla busca, strapotere degli speculatori del libero mercato
finanziario e commerciale, morte e disordine in vaste aree civili, sfruttamento
delle maestranze e dei quadri (da tempo cominciato con la precarietà degli
impieghi e con l'aumento dell'età pensionabile). Le giustificazioni delle leggi
che hanno recato questo stato di cose sono penose, false e immorali. Inutile
dilungarsi. Tornano in ballo le statistiche opinabili e le pretestuose
necessità della concorrenza internazionale, della concorrenza delle paghe.
Anziché difendersi dagli stati esportatori di merci prodotte con salari molto bassi,
si preferisce mettersi al passo con essi danneggiando il patrio tessuto
sociale, svilendo la Patria. Nello stesso senso vanno la mafia, la droga e l'immigrazione,
l'importazione di manodopera sfruttata e di un disordine che snerva e
infrollisce il popolo originario, tendendo a renderlo senza Patria (almeno
nella mente), senza Famiglia e senza Dio; con il contributo di capi religiosi
inqualificabili.
Il disegno che antepone il prodotto interno lordo al Bene comune risulta
palese. Che poi esso riesca, che riesca a vincere i populismi sembra impossibile. L'UE, rappresentante eminente del
mondialismo non gode di buona salute. La metà dei cittadini non va a votare e
molti votano i partiti della protesta. Il malessere (tangibile nelle basse
retribuzioni, nella precarietà del lavoro e nella massa dei disoccupati e dei
male occupati) aspetta un ribaltamento, poco importa di quale colore e da quale
capopopolo provenga.
Per altro, veniamo a sapere che Trump ha rivendicato il diritto alle sue
misure protezionistiche nei confronti degli stati concorrenti, ma la tivù non
ci comunica quale esso sia. Il che fa presumere che sia piuttosto valido.
Piero Nicola
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