Fino agli anni Settanta circa del secolo scorso l’11
febbraio era festa nazionale. Oggi, l’evento
non solo non si celebra ma sembra esser caduto del tutto in oblìo. Si è trattato di un fatto storico assai
importante per il nostro Paese e, indirettamente, anche per il resto della
cattolicità. Finiva la grave tensione,
che durava dal 1870, tra la Chiesa e lo Stato unitario italiano, dopo che
quest’ultimo aveva tolto con la forza alla Chiesa il potere temporale e, pur
nel mantenimento della religione cattolica quale unica religione ufficiale
dello Stato, aveva introdotto leggi eversive dei beni ecclesiastici e il
matrimonio civile (fallì, invece, anche per l’opposizione del Re, il tentativo
di introdurre il divorzio). La Chiesa
cessava di rivendicare la restituzione del dominio temporale di un tempo,
mettendo una pietra sopra il passato e riconoscendo lo Stato italiano.
I. Per la composizione della “questione romana” e il
raggiungimento della desiderata “conciliazione” con la Chiesa, come tutti sanno
furono determinanti la volontà e l’impegno personale di Benito Mussolini,
l’ex-socialista rivoluzionario in gioventù romagnolo mangiapreti, da quasi
sette anni capo del governo, non ancora “duce” stivalato e osannato da
oceaniche e imperiali quanto effimere adunate.
[Vedi sul punto l’opera di colui che giustamente è
considerato il massimo storico del fascismo: Renzo De Felice, Mussolini il
fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Einaudi,
Torino, 1968, Cap. Quinto: La Conciliazione, pp. 382-436. “Con i patti del Laterano Mussolini conseguì
un successo – forse il più vero e importante di tutta la sua carriera
politica – che da un giorno all’altro ne aumentò il prestigio in tutto il
mondo…”, op. cit., p. 382. Corsivo mio].
II. Ma in cosa consistono quelli che vengono chiamati
i Patti Lateranensi, dal momento che furono firmati, appunto l’11 febbraio
del ’29, nel Palazzo del Laterano tra Mussolini e il cardinale Gasparri? Forse è utile rinfrescare la memoria.
Si tratta di due documenti, espressione di due
atti diversi, tra loro collegati e interdipendenti, stipulati tra la S. Sede e
lo Stato italiano: il Trattato e il
Concordato.
Col primo si è determinata e stabilita di comune
accordo la posizione e il regime giuridico speciale della S. Sede stessa quale
ente sovrano della Chiesa cattolica in Italia e nei confronti dell’ordinamento
statale e si è composta la cruciale Questione romana vertente fra le due
autorità. Con il secondo si è fissata e
disciplinata la posizione e il regime giuridico della religione e della Chiesa
cattolica in Italia.
Nel Trattato viene ricostituito il potere
temporale del Papa nella forma di un microstato (la Città del Vaticano),
con aggiunti vari immobili di proprietà della S. Sede dotati di
extra-territorialità e/o di esenzione dall’espropriazione forzata e dai
contributi. Si tratta di uno Stato a
tutti gli effetti, in modo da garantire al Pontefice la piena libertà di
soggetto giuridico indipendente e sovrano dal punto di vista del diritto
internazionale.
Con la Convenzione
finanziaria allegata, lo Stato italiano versava alla S. Sede, allo scambio
delle ratifiche del Trattato, la somma di 750 milioni di lire in contanti (al
potere d’acquisto del 1929) e di 1 miliardo in consolidato al 5%. Tale somma la S. Sede, che aveva inizialmente
richiesto circa 3 miliardi di lire, ha dichiarato di accettare “a definitiva
sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l’Italia in dipendenza degli
avvenimenti del 1870”. Essa accettava il
risarcimento con la seguente motivazione: a) per la perdita del Patrimonio di
S. Pietro costituito dagli antichi Stati pontifici; b) per la perdita dei beni
degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato con le leggi eversive. Il Papa, Pio XI, si accontentava di una somma
forfettaria, tenendo conto della difficile situazione economica mondiale e
italiana di quel periodo e mosso da benevolenza nei confronti del popolo
italiano.
[I dati esposti
nel § 2 li ho ripresi da: Pietro
Agostino D’Avack, Lezioni di diritto ecclesiastico italiano. Le fonti, Giuffrè editore, Milano, 1962,
cap. 6, Le fonti di origine pattizia II. I patti lateranensi, p. 147
ss.]
III. Giova
ricordare, a questo punto, la Premessa ed alcuni articoli del Trattato.
“In nome della Santissima Trinità.
Premesso:
Che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la
convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con
l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia
conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando
alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale
Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione
nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo
definitivo ed irrevocabile la “questione romana”, sorta nel 1870 con
l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;
Che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede
l’assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur
nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con
particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla
Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione
sovrana;
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e Sua Maestà
Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, hanno risoluto di stipulare un Trattato […]
Hanno convenuto negli articoli seguenti:
1. L’Italia
riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del
Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la
sola religione dello Stato.
2. L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel
campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità
alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.
3. L’Italia
riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà
e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com’è attualmente costituito, con tutte
le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano per
gli speciali fini e con le modalità di cui al presente Trattato […].
4. La sovranità
e la giurisdizione esclusiva, che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla
Città del Vaticano, importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna
ingerenza da parte del Governo italiano e che non vi sia altra autorità che
quella della Santa Sede.
[Omissis]
8. L’Italia,
considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara
punibile l’attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le
stesse pene stabilite per l’attentato e la provocazione a commetterlo contro la
persona del Re del Presidente della Repubblica.
Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel
territorio italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con
fatti e con scritti, sono punite come le offese e le ingiurie alla persona del
Re del Presidente della
Repubblica”.
[Omissis]
Il Trattato constava di 27 articoli e Quattro
Allegati.
IV. Del Concordato
voglio solo ricordare una novità importantissima, che metteva fine al regime di
solo matrimonio civile riconosciuto dallo Stato, introdotto con il nuovo Codice
Civile, a partire dal 1° gennaio 1886, quando governava la c.d. Sinistra
storica. Ora lo Stato riconosceva il matrimonio religioso (secondo il
diritto canonico), concedendo al sacerdote celebrante anche la mansione di
ufficiale dello stato civile, dal momento che poteva egli stesso provvedere al
deposito dell’atto di matrimonio (regime di matrimonio concordatario,
ritoccato per alcuni aspetti dall’Accordo del 1984, art. 8).
V. L’art.
7.2 della Costituzione della
Repubblica Italiana ha confermato i Patti Lateranensi nella loro
qualità di strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Essi possono esser modificati con l’accordo
delle due parti senza che si debba ricorrere a revisione della Costituzione. Il
18 febbrario 1984 fu sottoscritto un Accordo in 14 articoli, con Protocollo
addizionale di 7 articoli, firmato in Roma (se non erro, dall’on. Bettino
Craxi e dal cardinale Casaroli, segretario di Stato) apportante modificazioni
al Concordato lateranense del ’29.
Con tale accordo la Chiesa ottenne determinati vantaggi, su questioni che
l’interessavano. Però fece alcune
importanti e gravi concessioni.
L’art. 1 di detto Accordo recita:
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano
che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei
loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il
bene del Paese”.
Tale articolo è preceduto da un breve preambolo
intessuto di citazioni del Concilio Vaticano II (art. 6 della Dichiarazione Dignitatis
humanae sulla libertà religiosa, che parla della tutela inviolabile dei
diritti dell’uomo; art. 76 della costituzione Gaudium et Spes, nel quale
la Chiesa rivendica il suo diritto ad esercitare la sua missione “a servizio
delle persone umane” in una “società pluralistica”; e del nuovo Codice di
Diritto Canonico del 1983, c. 3). Nel Protocollo
Addizionale si dà una sorta di intepretazione autentica di alcuni articoli
dell’Accordo. In relazione all’art.
1 appena citato si afferma:
“si considera non più in vigore il principio,
originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica
come sola religione dello Stato italiano”.
Nello spirito apertamente richiamato del Vaticano II,
la Chiesa affermava ora esser la sua missione quella di collaborare con lo
Stato “per il bene del paese e per la promozione dell’uomo”: con uno Stato laico che promuoveva “il bene
dell’uomo” in prospettiva apertamente antropocentrica e totalmente indifferente,
quando non ostile, alle finalità proprie della Chiesa cattolica. Coerentemente
a questa impostazione suicida, il Vaticano accettava, con piena sua
soddisfazione, che nel Protocollo Addizionale si cancellasse ogni
riferimento alla religione cattolica quale unica religione dello Stato italiano
(come stabilito dallo Statuto Albertino, mantenuto dallo Stato fascista,
per il quale le altre religioni erano culti tollerati o ammessi,
a seconda della dizione preferita).
Coerentemente con questa impostazione, l’art. 4 dell’Accordo
annacqua il carattere sacro della città di Roma, sede del Papato,
ampiamente riconosciuto e tutelato dallo Stato fascista.
Recita infatti l’art. 4 dell’Accordo :
“La Repubblica italiana riconosce il particolare
significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la
cattolicità”.
L’art. 1.2 del Concordato lateranense del ’29,
diceva invece, in modo molto più forte ed incisivo:
“In considerazione del carattere sacro della Città
Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta
di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò
che possa essere in contrasto col detto carattere”.
E questa “cura”, come sappiamo, fu messa
scrupolosamente in atto. Del resto, sino
alla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, nel centro di Roma i
night-clubs, sorti tutti nel dopoguerra nella zona di via Veneto, erano
pochissimi e, credo, alquanto castigati.
[I testi dei Patti Lateranensi e del successivo
Accordo con Protocollo Aggiuntivo, li ho citati da: Giovanni Barberini (a cura di), Raccolta
di fonti normative di diritto ecclesiastico, 4a ediz. riveduta e
ampliata, G. Giappichelli Editore, Torino, 1997, pp. 31-59].
VI. Voglio
concludere questa breve rievocazione con
alcune citazioni dal menzionato capitolo di Renzo De Felice sulla Conciliazione.
Pio XI si era giustamente opposto alla ventilata
revisione della legislazione ecclesiastica esistente da parte del governo
italiano, mai accettata dai Papi: si trattava della legislazione detta delle
Guarentigie, stabilita dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, a
garanzia della libertà e indipendenza economica del Pontefice; però stabilita
unilateralmente dallo Stato italiano e senza riconoscere alcun potere temporale
al Papa, come se potesse esser concepito quale sovrano senza Stato.
Mussolini prese posizione contro le polemiche che
l’atteggiamento del Papa aveva provocato, con una celebre lettera al
Guardasigilli Alfredo Rocco, il 4 maggio 1926.
Egli mostrava di comprendere e
giustificare appieno il punto di vista del Pontefice.
“La Santa Sede, scriveva egli, pur apprezzando il
profondo mutamento di indirizzo, che il trionfo del Fascismo ha segnato nella
politica religiosa dello Stato italiano, reputa che una sistemazione soddisfacente
dei rapporti tra la Chiesa Cattolica e lo Stato in Italia non possa
conseguirsi, se non per via di accordo bilaterale, e che un accordo di tal
fatta presuppone risoluto, d’intesa tra le due Potestà, il problema della
sistemazione giuridica della Santa Sede, come organo centrale, e pertanto, di
sua natura supernazionale, della Chiesa, il quale, per decreto della
Provvidenza divina ha sede in Italia.
Il regime fascista, superando in questo, come in ogni
altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato così il principio
dell’agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra
Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e
materia…È logico pertanto che il Governo Fascista giudichi con piena serenità
le attuali manifestazioni della Santa Sede, e le reputi degne della più attenta
considerazione…Giunte le cose al punto, in cui il tempo e il procedere della
storia, e l’evoluzione spirituale e politica del popolo italiano le hanno
condotte, reputo non inutile che tu, coi mezzi di informazione di cui disponi,
prenda riservatamente notizia del punto di vista odierno della Santa Sede,
intorno alle forme che potrebbe assumere una soddisfacente sistemazione
giuridica dei suoi rapporti con lo Stato italiano”. [ De Felice, op. cit., pp.
389-390].
Con questa lettera, che mise immediatamente in moto
Alfredo Rocco, si iniziò il processo che quasi tre anni dopo si sarebbe
concluso con i Patti Lateranensi.
Nella fase finale, le trattative, sempre riservate, furono condotte
personalmente da Mussolini.
Com’è noto, i Patti furono occasione immediata
di accese polemiche, anche nell’ambito della schieramento fascista, nel quale
era presente da sempre una robusta componente anticlericale. Ci furono successivamente incomprensioni e conflitti,
anche seri, con la Santa Sede a proposito delle organizzazioni giovanili
cattoliche. Tra i cattolici, se la
maggioranza gioì, ci fu tuttavia chi pensò che la Chiesa avesse concesso troppo
al regime o, addirittura, avesse “capitolato” nei suoi confronti. Quest’opinione fu espressa da ambienti del
cattolicesimo francese, per i quali la Chiesa, appunto “capitolando” nei
confronti del regime, si era messa sotto “la protezione italiana”, come scrisse
Maurras su ‘L’Action Française’ del 14 febbraio 1929 [De Felice, op. cit., p.
423, nota n. 1].
Ma si poteva davvero ritenere, aggiungo io, che il
mettersi sotto “la protezione” temporale dell’Italia (se si vuole usare quest’immagine)
comportasse una diminuzione
dell’universalità della Chiesa cattolica e di Roma, in quanto capitale del
cattolicesimo? Poteva sembrare, superficialmente, che la Chiesa si fosse messa
ora sotto la “protezione” dello Stato italiano.
In realtà, da un punto di vista superiore, era vero il contrario: era lo Stato italiano che ora, riconoscendo e
riparando certi suoi errori e venendo perdonato dalla Chiesa per le offese e
malefatte risorgimentali e postrisorgimentali, ritornava ad esser
spiritualmente “protetto” (se così vogliamo dire) dal caritatevole e materno
benvolere della Chiesa.
A proposito delle summenzionate polemiche, si veda
quest’ultima citazione, sempre dall’opera di De Felice.
“Non meno soddisfatto e conciliante si era mostrato
Mussolini quando – il 10 marzo [1929], in occasione della prima ‘assemblea
quinquennale del regime’- aveva per la prima volta pubblicamente parlato dei
patti. Questi, aveva detto , erano “equi
e precisi” e avevano creato tra l’Italia e la Santa Sede una situazione “di
differenziazione e di lealtà”:
“Io penso, disse, e non sembri assurdo, che solo in
regime di concordato si realizza la logica, normale, benefica separazione tra
Chiesa e Stato, la distinzione, cioè, tra i compiti, le attribuzioni dell’una e
dell’altro. Ognuno coi suoi diritti, coi
suoi doveri, con la sua potestà, coi suoi confini. Solo con questa premessa si può, in taluni
campi, praticare una collaborazione da sovranità a sovranità.
Parlare di vincitori o di vinti è puerile: si parli di assoluta equità dell’accordo che
sana reciprocamente de jure un’ormai definitiva, ma sempre pericolosa e
comunque penosa situazione di fatto.
L’accordo è sempre meglio del dissidio; il buon vicinato è sempre da
preferirsi alla guerra”.
E, pur mettendo in chiaro che il riconoscimento alla
Chiesa cattolica di “un posto preminente nella vita religiosa del popolo
italiano”non significava persecuzione, soppressione o anche solo vessazione
degli altri culti, aveva annunciato che lo Stato fascista non era tenuto –
“come si pretenderebbe dalle vaghe superstiti cellule demomassoniche”- a
conservare tutte le misure di una legislazione “che fu il prodotto di un
determinato periodo storico”e che spesso erano col tempo diventate delle semplici
finzioni”. [De Felice, op. cit., pp.
427-428].
Il giorno dopo, 11 marzo, ‘L’Osservatore Romano’ definì
le parole del “duce””obbiettive ed esaurienti”[De Felice, op. cit., p. 427,
nota n. 2].
La valutazione mussoliniana del significato autentico
dei Patti, condivisa dal Vaticano, mostrava che il loro spirito non era
affatto quello di fornire alla Chiesa una semplice “protezione” nel temporale,
quasi la Chiesa fosse un soggetto inferiore a quello statale e bisognoso
pertanto della sua protezione. Anche se,
dal punto di vista materiale e organizzativo, lo Stato italiano veniva a
“proteggere” la Chiesa in quanto piccolissimo Stato enclave al suo interno (la
polizia italiana poteva entrare nella Città del Vaticano ma solo su
richiesta della stessa autorità vaticana, art. 3.2 del Trattato), lo
spirito e la finalità dei Patti era quello di riconoscere nella Chiesa, in conformità alla sua natura,
la più completa autonomia, libertà e sovranità temporale; cioè la realtà insopprimibile
di un’istituzione che, nella sua assoluta indipendenza di compiuto ordinamento
giuridico, non aveva bisogno di alcuna “protezione” né da parte dello Stato
italiano né di altri.
Paolo Pasqualucci, domenica 11 febbraio 2018
[fonte:
iterpaolopasqualucci.blogspot.ie]
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