«Raguardami Pietro vergine e martire,
che col sangue suo die' lume nelle tenebre delle molte eresie; che tanto l'ebbe
in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l'exercizio
suo non er'altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare,
annunziando la verità e dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto
ch'egli la confessasse nella vita sua, ma infine a l'ultimo della vita. Unde,
nella extremità della morte, venendoli meno la voce e lo 'nchiostro, avendo
ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo
glorioso martire, e però s'inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè
il Credo in Deum. El cuore suo ardeva
nella fornace della mia carità, e però non allentò e' passi voltando il capo
adietro sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli
revelai la morte sua), ma come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce
fuore in sul campo della bactaglia.»
Sono queste parole di Dio, nella rivelazione privata che Egli fece a
Santa Caterina da Siena (1347-1380), la quale dettò quanto aveva appreso a chi
scrisse il Libro della Divina Dottrina o
Dialogo della Divina Provvidenza.
Il Pietro che il Signore ricorda - insieme ad altri santi difensori
della fede come Tommaso d'Aquino, Francesco e Domenico - alla grande suora domenicana
Caterina, nacque a Verona all'inizio del '200 in una famiglia di eretici. Sin
da fanciullo, testimoniò il credo cattolico ai suoi congiunti, che sperarono
invano in un suo ripensamento. Andato a Bologna per frequentare l'Università, entrò
nell'Ordine Domenicano, il cui Fondatore era ancora vivo. Dal 1232 Pietro divenne
inviato pontificio a Milano, dove fondò le Società
della Fede e le Confraternite Mariane per la difesa della dottrina contro
gli eretici. Sarà priore ad Asti e poi a Piacenza, sempre predicando per
confutare e condannare l'errore dei catari. Eserciterà il suo apostolato a
Firenze, a Roma, nelle Marche e nella Romagna. Nel 1251 fu nominato priore a
Como e inquisitore pontificio a Milano. Il dovere compiuto nell'esigere il
rispetto e l'applicazione dei decreti papali, e il successo della sua
predicazione accompagnata da miracoli, gli attirarono la feroce avversione dei
ghibellini e dei catari. Nella domenica delle Palme del 1252, predisse dal
pulpito la propria uccisione per mano degli eretici, rivelando bensì che li
avrebbe combattuti più da morto che da vivo.
Le sette di Milano e di altre città lombarde decisero di inviare due
sicari per sopprimere Pietro da Verona. Essi lo raggiunsero il 6 aprile mentre
era in viaggio da Como a Milano. Si conoscono i nomi degli incaricati
dell'omicidio: Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro da Lentate. Quest'ultimo
si ravvide per tempo e non prese parte all'assassinio. Il Carino spaccò la
testa del martire con una roncola e lo colpì nel petto con un coltellaccio.
Il corpo di Pietro, trasportato a Milano, ebbe esequie grandiose e fu
sepolto presso il convento di S. Eustorgio. Quel giorno avvennero diversi miracoli.
Il frate eretico Daniele da Giussano, che aveva contribuito a ordire la trama
omicida, e lo stesso Carino si convertirono; in seguito entrarono essi stessi nell'Ordine
Domenicano. Il 9 marzo 1253, Innocenzo IV canonizzò Pietro da Verona e ne istituì
la festa il 29 aprile.
Il culto di questo religioso, che si immolò per l'integrità della fede,
si diffuse in tutto il mondo. Molte città lo elessero loro protettore. Celebri
artisti quali il Beato Angelico e il Tiziano lo raffigurarono per la venerazione
dei fedeli. Le sue reliquie, racchiuse nel monumento sepolcrale dovuto a
Giovanni Balduccio da Pisa, si trovano nella Cappella Portinari intitolata al
Santo, la quale è compresa nella basilica di Sant'Eustorgio.
Nel
Libro della Divina Dottrina procurato
dalla Compatrona d'Italia, al punto della virtù dell'obbedienza il Signore tratta
degli ordini monastici, detti "navicelle", e mostra la bellezza delle
loro regole stabilite dai fondatori «che erano facti tempio di Spirito Sancto.»
Tutti, a partire da Benedetto, diedero un particolare indirizzo sorretto dalla
carità, e «la navicella del padre tuo Domenico, dilecto figliuolo mio, egli
l'ordinò con ordine perfecto, ché volse che attendessero solo a l'onore di me e
salute de l'anime col lume della scienzia [...] per più proprio suo obiecto
prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano
levati. Egli prese l'officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drictamente
nel mondo pareva uno apostolo: con tanta verità e lume seminava la parola mia,
levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo
col mezzo di Maria, messo nel Corpo mistico della sancta Chiesa come stirpatore
de l'eresie.»
«... nel principio suo [l'ordine] era uno fiore: anco c'erano uomini di
grande perfectione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume che a l'occhio
loro non si parava tenebre d'errore che non si dissolvesse.
«Raguarda il glorioso Tommaso [...] Questi che fu una luce ardentissima,
che rende lume ne l'ordine suo e del Corpo mistico della sancta Chiesa,
spegnendo le tenebre de l'eresia.»
Dopodiché, nessuno può mettere in dubbio la divina condanna dell'errore
e il dovere di confutare e contrastare gli eretici, avvelenatori di anime. Ma
il Concilio Vaticano II, in particolare nella Dichiarazione Nostra Aetate, dichiara:
«Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi
enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il
cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della vita, il bene e
il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera
felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e
ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra
origine e verso cui tendiamo.»
Nessuna incertezza sulla falsità dell'osservazione, poiché la dottrina
cattolica risponde con chiarezza a tali "enigmi", a differenza delle
altre religioni, sprovviste dell'unica Verità tratta dal sacro Deposito.
Lo stesso documento prosegue, andando di male in peggio: «La Chiesa
cattolica [...] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere,
quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano
[perciò con errore] da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non
raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.»
Così non può essere la «Chiesa cattolica»: essa combatte ogni errore e
non commette la falsità obbrobriosa di considerare rispettabile e riflettente
la verità una dottrina che è guasta.
«La
Chiesa esecra [...] qualsiasi discriminazione tra gli uomini [...] per motivi
di [...] religione.»
Siffatta condanna, insieme alla professione di laicismo della
Dichiarazione Dignitatis Humanae: «Questo
diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e
sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società,» rigetta
l'inimicizia voluta, per principio, dal Signore nei confronti delle eresie e
dei rimanenti culti estranei alla Sposa di Cristo.
Ora, dopo la conciliare negazione (inequivocabile) della necessaria difesa
dagli eretici, dopo la conciliare messa al bando della predicazione intesa a
distruggere con la Verità gli errori diffusi dalle dottrine erronee, è stupefacente
come, nel 1970, Paolo VI, a cinque anni dal suo aver approvato il Concilio (mai
da lui smentito in alcuna sua parte), abbia fatto dottore della Chiesa Santa
Caterina da Siena. Invero, le contraddizioni di Paolo VI ebbero a fioccare in
vari modi. In questo caso però, appare scandaloso l'aver ignorato il santo
insegnamento sull'eresia (del resto, ben definito nella Rivelazione),
palesemente esposto nel Dialogo della
Divina Provvidenza. In altri termini, Paolo VI non poté onorare il sapere
teologico di Caterina, senza smentirsi riguardo a certa teologia sostenuta dal
Concilio. Tuttavia egli non la emendò, non si ricredette.
«Caterina ritornava a Siena [...] per proseguire il suo colloquio con
l'Eterno, dettando il meraviglioso Dialogo
della Divina Provvidenza, frutto del suo continuo insegnamento attraverso
le lettere e di tutte le sue esperienze mistiche; il Dialogo è il vero "libro" di Caterina.» Enciclopedia
Cattolica, vol. III, col. 1154.
Piero Nicola
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