Questo saggio, Luce dal sepolcro. Indagine sull’autenticità della Sindone e dei Vangeli (Fede & Cultura, Verona 2015), scritto a due mani Emanuela Marinelli e Marco Fasol, si propone, con
pieno successo, di porre in evidenza non solo l’autenticità della preziosa
reliquia di Torino e dei Santi Vangeli, ma di mostrare come queste due fonti si
integrino a vicenda, e trovino conferma l’una nell’altra. Premetto che non ho
competenza specifica di studi sindonici, che mi sono limitato a seguire,
semplicemente documentandomi su quanto si veniva via via pubblicando, dopo
essere stato introdotto a questo tema affascinante dal mio venerato maestro, il
salesiano Prof. Pietro Scotti.
Emanuela Marinelli ha due lauree, in Scienze
Naturali e in Geologia, ed è forse la massima autorità al mondo in fatto di
studi sulla Sindone, sulla quale ha scritto una montagna di articoli e sedici
libri tradotti in varie lingue. Ricercata conferenziera, ha tenuto conferenze
sul Sacro Telo in tutto il mondo.
Marco Fasol, laureato in Filosofia alla Cattolica
di Milano e diplomato in Scienze religiose presso lo Studio Teologico “San
Pietro Martire” di Verona, è autore di vari saggi, ed è particolarmente esperto
di apocrifi gnostici, oltre ad aver approfondito il tema centrale dell’amore
cristiano a confronto con il concetto pagano di amore.
Nella suo studio sulla Sindone, la professoressa Marinelli
ripercorre dapprima la storia delle ricerche, iniziata nel 1898 con le foto
dell’avvocato Secondo Pia. Le indagini sui pollini compiute dal botanico Max
Frei hanno scoperto decine di specie provenienti da tutte le regioni in cui il
Sacro Telo si è trovato: di fondamentale importanza la scoperta dello Zygophillum dumosum, che cresce solo a
Gerusalemme e in zone finitime. Lo studio dei pollini permette pure di chiarire
il rituale della sepoltura, in pieno accordo con le descrizioni storiche delle
pratiche funerarie in uso al tempo di Gesù. Pierluigi Baima Bollone ha
identificato particelle di aloe e mirra, usate nel trattamento del cadavere, soprattutto
nelle zone macchiate di sangue. Di tale sangue, di indubbia origine umana, è
stato pure possibile determinare il gruppo, lo AB, che è molto raro ed è lo
stesso che si ritrova nei campioni ematici dal miracolo eucaristico di Lanciano
e sul sudario di Oviedo, ed è frequente solo tra gli Ebrei “babilonesi” e della
Palestina settentrionale.
Nonostante
il parere contrario di vari studiosi, la Curia torinese ha voluto sottoporre la
Sindone alla prova del radiocarbonio; tale parere contrario era ben motivato:
il Telo ha subìto troppe contaminazioni (funghi e batteri che coprono come una
patina le fibre del tessuto e non sono eliminabili coi normali metodi di pulizia
dei campioni), senza contare i rammendi, ed è stato più volte minacciato da
incendi che possono aver causato scambi di isotopi. Nonostante ciò, lo studio
al radiocarbonio del Sacro Telo è stato affidato alle “cure” di tre università in ambienti accademici massonici ultralaicisti: a Oxford,
a Tucson nell’Arizona, e a Ginevra. I risultati, annunciati con sorrisi di
soddisfazione da un orecchio all’altro in una solenne conferenza stampa di
fronte alle telecamere di tutto il mondo, attribuivano alla Sindone una data
tra il 1260 e il 1390 d.C. Sugli autori dell’“indagine” piovvero lodi
sperticate e finanziamenti di milioni di dollari da parte di ben noti circoli
massonici. Cominciarono ad apparire, specie nei paesi di lingua inglese,
libercoli blasfemi e pieni di insinuazioni, quanto scientificamente nulli, che
parlavano di “mafia della Sindone” e di “divino imbroglio”. Il “prestigioso”
Museo (massonico) della “Scienza” di Londra allestì una trionfale mostra sulla
Sindone, “falso medievale”. Tuttora il museo esibisce un’intera vetrina dedicata
alle datazioni al radiocarbonio che porta come unico esempio dei “successi” di
tale tecnica, la datazione “medievale” della Sindone, senza alcun accenno ad
altre contrastanti datazioni. Un mio tentativo di far osservare, per lettera,
alla direzione del museo e al Times,
che le norme di comportamento della ricerca scientifica impongono almeno di
riferire l’esistenza di datazioni diverse ottenute con altri metodi non ha
ottenuto alcuna risposta. Tanto meno il prestigioso museo londinese si è
preoccupato di informare i visitatori della scarsissima attendibilità che spesso
accompagna le datazioni al radiocarbonio.
Il fatto che i risultati del radiocarbonio
fossero in totale contrasto con tutti i risultati delle ricerche precedenti non
fu neppure preso in considerazione, come pure nessuno dei tripudianti laicisti
riconobbe che il campione di tessuto era stato prelevato proprio nell’angolo
più inquinato da impurità e dall’esistenza di un rammendo. Analogamente non si
tenne in alcun conto la scarsa attendibilità della datazione al radiocarbonio,
che raggiunge livelli esilaranti. Una mummia egizia conservata nel Museo di
Manchester ha fornito date con uno scarto di mille anni tra le ossa e le bende,
risultate più “giovani”. Aggiungo che una chiocciola deceduta immediatamente
prima che la scienza ne prendesse in carico la salma è stata datata a ben
cinquemila anni fa. Un corno da bere vichingo, sicuramente antico di circa
mille anni, è stato datato nel futuro, all’inizio del terzo millennio.
Metodi alternativi di datazione, basati
sulla spettroscopia vibrazionale, sulla degradazione delle catene polimeriche
sottoposte a trazione meccanica, hanno dato risultati del tutto compatibili con
la datazione del Telo all’epoca di Cristo. Ulteriori analisi potrebbero farsi
basandosi sulle alterazioni della cellulosa (depolimerizzazione, carbossilazione,
metilazione).
Caratteristica peculiare della Sindone
è la presenza di informazioni tridimensionali, ottenute trasformando le diverse
intensità dei punti dell’immagine in rilievi verticali di distanza del corpo
dal tessuto: ciò ha permesso di ottenere un’immagine tridimensionale
proporzionata e senza distorsioni. Niente di simile è stato possibile ottenere
da tutti coloro che hanno cercato di ottenere immagini simil-sindoniche per
dimostrare la falsità del Sacro Telo: né la teoria della pittura, né quella
della camera oscura e del pirografo, né del bassorilievo strofinato o
riscaldato, né alcun altro fantasioso tentativo, hanno ottenuto risultati.
Appare invece assai promettente l’ipotesi della formazione dell’immagine in
seguito ad un intenso lampo di energia.
Nella
rivelazione a Maria Valtorta, il Divino Maestro conferma l’autenticità della
Sindone e ne spiega l’origine. Nel libro pubblicato insieme al giornalista
Saverio Gaeta nel 2013, il Professor Giulio Fanti propone un’interessante
correlazione con il “razzo di fuoco” descritto dalla mistica: “Tale meteora
potrebbe essere entrata nel sepolcro, per ridare vita al corpo esanime, agendo
dall’alto della cavità, secondo quanto ipotizzato dai modelli computerizzati
basati sull’effetto corona.” Tramite
la stessa veggente, è lo stesso Signore Gesù a fornire la spiegazione circa
l’agente chimico più potente nel miracolo sindonico. In seguito alle contusioni
feroci, le reni di Lui sono divenute incapaci di filtrare (blocco renale) e
l’urea si è accumulata e diffusa nel sangue provocando le atroci sofferenze
dell’intossicazione uremica: trasudando dal Cadavere l’urea ha fissato
l’impronta sulla tela in modo indelebile (L’Evangelo
come mi è stato rivelato, Cap. 613). Le cause della morte furono sicuramente
molteplici, e il Divino Maestro indicò alla Valtorta appunto l’intossicazione
uremica, ciò che non contrasta, naturalmente, con l’episodio terminale
dell’emopericardio che risulta dall’esame della Sindone.
Impossibile, nel breve spazio di una recensione, dar
conto di tutte le ulteriori prove sull’autenticità del Sacro Telo. Basti
aggiungere che la forte coincidenza del volto sindonico con rappresentazioni
artistiche antiche, rilevata mediante la tecnica della sovrapposizione in luce
polarizzata, rivela chiaramente che la Sindone era conosciuta fin dal III-IV
secolo. La mancanza di rappresentazioni ancor più antiche si spiega con la
necessità di tener nascosta la preziosissima reliquia a causa delle
persecuzioni.
L’autrice ricostruisce poi la storia degli spostamenti
della Santa Sindone e analizza dettagliatamente le tracce delle tremende
sofferenze della Vittima quali appaiono dall’impronta, ponendo a confronto gli
atroci dettagli delle immagini con le descrizioni dei Vangeli e con le
dettagliate profezie della Passione nell’Antico Testamento. La corrispondenza
appare perfetta e indiscutibile.
Entra a questo punto in scena il prof. Fasol, il
quale svolge una serrata analisi che dimostra l’autenticità dei Vangeli, e
fornisce quindi il supporto storico all’evidenza archeologica della Sindone:
entrambi si confermano e chiariscono a vicenda. Vi è anzitutto il problema se
il testo evangelico a noi giunto sia conforme all’originale. La risposta è
senz’altro positiva. Nella Palestina dell’epoca di Gesù meno del 10% della
popolazione sapeva leggere e scrivere, e l’apprendimento mnemonico era
fondamentale, ed avveniva sotto il controllo dei maestri, il cui insegnamento
consisteva in una continua ripetizione a memoria del patrimonio di conoscenza
ereditato. Ciò non riguardava solo la cultura giudaica, ma era prassi comune di
tutte le civiltà antiche, come testimoniato anche a Cicerone. Questo impediva
qualsiasi modifica o invenzione, garantendo un’omogeneità della tradizione
orale sostanzialmente concordante in tutte le comunità del Mediterraneo, che
ritroviamo nei testi canonici riguardo alla predicazione e agli eventi
principali.
Sulla base di questa solida e concorde tradizione
orale, i quattro evangelisti stesero, entro il primo secolo, i loro testi, poi
trasmessi per copiatura a mano da parte degli amanuensi. E costoro manipolarono
e alterarono forse il testo? No. Esistono, dei quattro Vangeli, oltre 15.000
manoscritti, sicuramente concordanti, pur copiati in epoche diverse e nei più
diversi centri mediterranei, sia pure con gli inevitabili errori ortografici e
di trascrizione, dei quali tuttavia nessuno intacca minimamente la dottrina. E
certo gli amanuensi non avevano a disposizione le moderne tecniche di
comunicazione per accordarsi su eventuali aggiunte e manipolazioni. A ciò va
aggiunto l’immenso numero di citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre
secoli, oltre 20.000, che permetterebbero addirittura di ricostruire quasi
tutto il Nuovo Testamento solo raccogliendo queste citazioni.
Tutti gli altri testi antichi dispongono di una
documentazione di gran lunga inferiore: dell’Iliade e dell’Odissea sono rimasti
circa 600 manoscritti, ed è un record; per altri autori antichi le cifre sono
assai più basse: Virgilio ha poco più di 100 codici, Platone e Cesare solo una
decina, Tacito per alcune opere solo uno e incompleto. Eppure nessuno ha mai
dubitato della loro esistenza. Inoltre la distanza fra il testo originale,
perduto, e i primi codici conservati, è solitamente di vari secoli. Ma nel caso
dei Vangeli, i primi manoscritti distano dall’originale non più di qualche
decennio. Il gigantesco lavoro di generazioni di studiosi di filologia
garantisce che il testo dei Vangeli a noi pervenuto è quello di gran lunga più
controllato e documentato del mondo antico.
Fondamentale è poi lo studio linguistico dei
Vangeli: furono scritti in greco per facilitarne la diffusione, ma recano
tracce rivelatrici di un forte substrato ebraico-aramaico, la lingua di Gesù.
La lingua madre del Redentore era la variazione galilaica dell’aramaico
occidentale. I testi evangelici contengono numerose parole aramaiche o
ebraiche, evidentemente rimaste impresse in modo indelebile nella memoria dei
discepoli, e riportate quindi senza traduzione, come Abbà, Amen, e molte altre.
Notevole l’uso verbale del passivo che lascia intendere che l’agente è Dio
stesso, il cui Nome sacro non poteva essere esplicitamente pronunciato: quindi
un passivo teologico che testimonia una predicazione unica, diversa da tutta la
letteratura antica. La costruzione della frase, paratattica (basata su
coordinate) invece che ipotattica (a base di subordinate), l’anticipazione del
predicato rispetto al soggetto (“In principio era il Verbo”, invece di “Il
Verbo era in principio”, come avrebbe scritto un greco), la ripetizione dei
termini, sono tutti elementi caratteristici della tradizione orale semitica e
del tutto estranei alla cultura greca.
Le parabole, a loro volta, rappresentano qualcosa
di unico in tutta la letteratura, sovrabbondano di aramaismi e di parallelismi
antitetici che dovevano aiutare gli ascoltatori a ritenere a memoria
l’insegnamento ricevuto. L’attendibilità degli autori è avvalorata dal fatto
che molti di loro e dei discepoli non esitarono ad affrontare il martirio pur
di non rinnegare l’insegnamento ricevuto. Inoltre un popolo intero aveva
assistito agli eventi narrati dai Vangeli, e non ci è pervenuto alcun testo
contemporaneo che tenti di smentire i fatti che i sacri testi narrano.
Ma quello che i Vangeli raccontano è realmente
accaduto? L’autore esamina le diverse ipotesi avanzate da illuministi e
razionalisti per demolire la storicità dei Vangeli, dimostrandone
l’inconsistenza. Il racconto evangelico soddisfa tutti i criteri di autenticità
storica: attestazione multipla (conferme da più fonti indipendenti, anche
pagane), discontinuità/continuità (evento in continuità con la tradizione
storica e culturale dell’epoca, ma che rivela al tempo stesso elementi di
novità e originalità), spiegazione necessaria (quando a un complesso di fatti
viene offerta una spiegazione illuminante e armonica). Questa spiegazione
chiave è data dai miracoli, senza i quali non si comprenderebbe la fede degli
apostoli e dei discepoli; e senza il più grande miracolo, quello della
Resurrezione, risulterebbe del tutto inspiegabile il radicale, repentino
cambiamento degli apostoli, increduli, depressi, terrorizzati dopo la Passione;
e di colpo, grazie alle apparizioni del Risorto, divenuti impavidi
evangelizzatori, pronti a sfidare il martirio.
L’autore demolisce facilmente le obiezioni più
frequenti. Gli evangelisti erano testimoni “di parte”? Ma dove si troverà un
testimone “neutrale”? Dovrebbe tacere perché, come apre bocca, prende posizione
e non è più “neutrale”? Come potremmo uscire da noi stessi per inseguire una
fantomatica “neutralità”? Pretenderla è assurdo. Il drastico e fulmineo
cambiamento dei discepoli dopo aver visto e ascoltato il Risorto, come pure lo
stile comunicativo, scarno, disincantato e critico dei testi evangelici, rivela
che la fede nel Risorto non era certo un pregiudizio dei discepoli stessi, ma
il risultato di un’esperienza vissuta, e non da poche persone. Né bisogna
dimenticare, quale criterio di veridicità, l’imbarazzo: i Vangeli non esitano a
riferire anche i fatti più imbarazzanti, che avrebbero potuto tacere per
rendere più accettabile il racconto: il concepimento di Gesù dallo Spirito
Santo (cosa assolutamente inaudita), il pianto di Gesù e la Sua umiliazione, le
colpe degli Apostoli come la disputa su chi fosse il più grande, il
rinnegamento di Pietro, la mancanza di Fede durante la Passione e la fuga di
tutti gli Apostoli meno uno, mentre le donne coraggiosamente rimasero e furono
le prime testimoni della Resurrezione, e questo benché la testimonianza
femminile non fosse accettata all’epoca.
La storicità di Gesù viene pure confermata da
documenti pagani. Di Cristo e del cristianesimo hanno parlato Plinio il
Giovane, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio (in modo particolarmente esplicito e
dettagliato), ed altri. Né vi è alcun motivo per escludere le testimonianze
paleocristiane, del I e II secolo, come la Didaché (ca. 70 d.C.), la Lettera di
Clemente Romano ai Corinzi, ed altre.
Totalmente diverso è il caso dei cosiddetti
“vangeli apocrifi”, opere di tardi falsari che ignorano le istituzioni
ebraiche, non citano l’Antico Testamento, usano un linguaggio chiaramente non
semitico e (nel caso dei cosiddetti “vangeli gnostici”) sono basati su un
impianto cosmologico mitico estremamente confusionario in cui si incontrato
strani spiriti e “divinità”. Basarsi su simili fantasticherie per conoscere
Gesù non può che essere quanto mai fuorviante. Solo chi legge acriticamente Dan
Brown può essere tratto in inganno da simili fantasticherie.
A questo punto l’autore, nell’ultimo capitolo,
intitolato come il libro stesso Luce dal
sepolcro, conclude approfondendo il significato del messaggio cristiano,
che è un messaggio di amore che dà un senso alla nostra vita e ha rivoluzionato
il mondo. I pagani conoscevano l’eros, il Vangelo ha annunziato l’agape o
charitas. La donna, il bambino, lo schiavo, il malato cronico, il disabile,
sono divenuti esseri da amare e da proteggere, mentre per il pagano erano da
disprezzare, da sfruttare, talora da uccidere impunemente. Così la Chiesa è
venuta in soccorso dei malati, inventando gli ospedali. Così il Vangelo ci ha
rivelato che l’autorità è al servizio dei cittadini, specie dei più deboli e
bisognosi. L’amore è entrato nel mondo, e solo l’amore è credibile
Questo prezioso libro, che è tutt’altro che
un’anacronistica apologia ma piuttosto una serrata analisi scientifica, si
distingue anche per il vasto apparato bibliografico e di note, oltre che per un
ricco corredo iconografico a colori, e reca una presentazione del Card.
Agostino Vallini, Vicario Generale per la Diocesi di Roma.
È un grave segno degli infausti tempi in cui ci è
toccato di vivere, il fatto che, mentre prima che divampassero i fuochi fatui
dell’Illuminismo la gente credeva senza affaticarsi in elucubrazioni, mentre
oggi non crede e resta immersa nell’ignoranza, pur disponendo di formidabili
prove scientifiche a sostegno della Verità evangelica. Non meno grave il fatto
che l’odierno dilagare del relativismo e del neopaganesimo oscurino sempre più
la credibilità dell’amore e la luce che emana dal sepolcro. Sappiamo però, per
fede certa, che alla fine il Risorto vincerà.
Emilio Biagini
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