martedì 23 giugno 2015

Clericalismo estremo, sedevacantismo e anti-Italia

 Confessiamo la nostra appartenenza alla Chiesa cattolica quando recitiamo il Credo niceno, un atto di fede che non è alterato né dai rumorosi documenti del Concilio ecumenico Vaticano II né dagli improvvisati/spericolati e talora grotteschi discorsi dell'autorità ecclesiastica.
 Il fastidioso rumore prodotto dai nuovi teologi, vanamente applauditi (da Scalfari, da Pannella e dalla Bonino e dal popolo della loro risma), urta contro la fortezza delle verità dichiarate dal Credo. Non si vuole qui sottovalutare la bruttezza delle improvvisazioni di liturgisti ispirati dal cabaret né misconoscere la desolata, raggelante fatuità dei predicatori orizzontali, che fanno girare intorno ai novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) il timore di scandalizzare i fedeli (nei quali sembra che essi vedano soltanto i piatti aspiranti a un mondo migliore, cioè politicamente/orizzontalmente corretto).
 Non si può dunque negare l'esistenza di cattive intenzione in corsa ridicola nella mente e nella parola di preti e vescovi rapiti dalla urgente convinzione di appartenere a una Chiesa rifondata e finalmente cristianizzata dal rivoluzionario Concilio di Giovanni XXIII e dei teologi renani.
 Se non che le fantasie del clero futurista vanno a sbattere contro il muro del Credo, atto di fede che i modernizzatori non osano abolire.
 Il Credo disperde il fumo in uscita dalle chiacchiere ronzanti sui pulpiti del novismo/buonismo. La vera e invincibile fede sta al di sopra del vuoto conformismo del clero. L'impazienza vandalica dei novatori, infatti, è trattenuta dalla paura di azzerare la già esile presenza dei fedeli.  
 Di qui i dubbi sul sedevacantismo, una drastica spiegazione degli orrori clericali che rischia di deragliare trasformandosi in teoria sulla vacanza dello Spirito Santo.
 Sia chiaro: lo Spirito Santo non produce il delirio di certo clero e di certa gerarchia e tuttavia è lecito credere che spinga nello sterile vuoto le loro improvvisate, conformistiche esternazioni.
 I seguaci del Vaticano II chiacchierano, la verità cattolica rimane imperterrita. La ragione cattolica impedisce il trapasso del fastidio causato dalla vana teologia modernizzante nella convinzione intorno alla sede vacante (convinzione che può rovesciarsi nella devastante paura intorno alla vacanza dello Spirito Santo).

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 Curiosamente la teologia sedevacantista si rovescia e si capovolge in uno storicismo clericalista, che drasticamente riconosce i sacri diritti del papato in situazioni storiche nelle quali la verità e la giustizia non coincidevano con la politica vaticana.  Un giovane studioso mi scrive al proposito: "secondo voi era legittimo il modo di agire del Papato, che si è inventato la donazione di Costantino per giustificare la sua politica in espansione al di fuori del Patrimonio di San Pietro?"
 La lettera del giovane amico costringe a riflettere sulle conseguenze della pretesa vaticana, non sostenuta da adeguate forze militari e perciò costretta a molestare di continue richieste re e imperatori, per ottenere territori che gli sarebbero appartenuti perché donati da Costantino.  
 Ora non è chi non veda che le infondate pretese territoriali della Santa sede abbiano attirato in Italia gli appetiti di quelle potenze straniere che produssero la frammentazione plurisecolare della nostra Patria.
 Di qui l'inconsistenza del vaticanismo, sogno antistorico che, trasportato nella presente situazione politica, diventerebbe desiderio di smembrare l'unità nazionale con il risultato di offrire opportunità a una temibile egemonia straniera (francese e tedesca).

 Il legittimo esercizio della critica storica intorno al risorgimento dovrebbe pertanto rimanere nell'ambito di un serio e non anacronistico dibattito sulla storia e arrestarsi davanti al rischio rappresentato dall'attuazione di un'utopia disunitaria che costituirebbe un beneficio incautamente donato ai nostri ingordi amici europei.

Piero Vassallo

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