lunedì 22 giugno 2015

UNO CHE AVEVA VISTO GIUSTO (di Piero Nicola)

Chi non avesse vissuto l'immediato dopoguerra penetrandone anche gli aspetti meno visibili o, per motivi anagrafici ed altri, fosse piuttosto all'oscuro dei fatti e delle condizioni di quel momento storico,  può farsene un'idea compiuta leggendo il romanzo Purgatorio (L'Arnia, Roma, 1949) di Concetto Pettinato (Catania 1886 - Este 1975).
  Giornalista, saggista e narratore, egli fu di certo un uomo di parte. Dopo l'8 settembre aderì alla RSI e ebbe la nomina a direttore de La Stampa di Torino. Nel giugno del  '44 scisse l'articolo di fondo Se ci sei, batti un colpo, rivolto a Mussolini per la condizione critica dello Stato del Nord in guerra contro gli Alleati. Nel febbraio del '45 tornò alla carica scrivendo L'assente, ovvero l'Italia in quella tempesta. Venne destituito dall'incarico e deferito alla commissione di disciplina del partito. Cessate le ostilità, andò sotto processo. Condannato a 14 anni di reclusione, beneficiò dell'amnistia del 1946. Iscrittosi al MSI nel 1947, ne uscì nel 1952, accusando il partito di conservatorismo e filoatlantismo. Diede vita a un movimento che non ebbe successo e che si ispirava alla Carta programmatica di Verona.
  Volenti o nolenti tutti, specie gli intellettuali, avevano un passato di appartenenza politica, nessuno era scevro di passioni civili, e pochi lo sono stati finora, almeno privatamente. Ciò non toglie in qualcuno la passione per il giudizio equanime e per lo sforzo di rendere il giusto.
  In tale impresa, il Nostro diede prova di coraggio, anzitutto morale. Coloro i quali disprezzano la coerenza che ne può sortire o, in generale, la costanza nelle idee, giustificando il cambio di casacca, farebbero bene a considerare se le mutate opinioni comportino un vantaggio, un profitto che getta su di esse un'ombra greve, tanto più allorché esse si confanno a idee e costumi irrimediabilmente guasti. Intellettuali, artefici della penna, del pennello e dello scalpello, se fossero stati uomini, avrebbero scartato il conformismo democratico, preferito cambiar mestiere, piuttosto che accettare il sospetto del vile rinnegamento o il sospetto d'essere stati insinceri e adulatori, piuttosto che voler celare la trascorsa carriera o giustificarsi con una conversione che non aveva niente di onorevole.
  Concetto Pettinato fu uomo di cultura e di esperienze maturate nel suo lavoro giornalistico svolto all'estero, messe a frutto con la padronanza dell'arte narrativa, in cui ebbe ad eccellere. La lettura del suo lavoro è sempre un godimento del primo strato. Andando a fondo nel seguito delle scene e dei significati, la giustezza è confermata dallo svolgimento della nostra storia fino ad ora.
  Naturalmente, non si riscontra una perfezione, che non è mai da pretendersi. L'intento di rappresentare un'intera società e di farne scaturire le verità da dibattiti del senso popolare o dell'intelligenza colta in varie gradazioni,  talvolta diminuisce la forma, ed anche il parametro della religione non è ben messo a fuoco. Però il documento resta un pietra miliare nel corso dell'illuminazione sulla nostra Storia patria.
   I filoni, giustamente intrecciati, sono quattro. Quello dei giovani popolani o studenti: una generazione già onestamente rappresentata, anche da antifascisti quali Pietro Germi (Gioventù perduta, 1947), arida ed agnostica, neppure disillusa, infognata nel materialismo, nella dissacrazione e nella sensualità. Il filone dei reduci fedeli alla loro militanza, cui si annette un giornalista che passò al Nord dopo l'abbandono di Roma alle truppe alleate. Quello di genitori borghesi legati al trascorso regime. Quello degli ufficiali della commissione interalleata: conquistatori sprezzanti e comunque abbassati, essendo asserviti agli spregiudicati fini economici delle potenze anglosassoni. A tutto questo si affiancano gli intermezzi occasionali che descrivono il parlamento scena di gazzarre e commedie, l'azione di un governo servile e minato dai dissidi, la politica dei partiti (seguita dalla gente per divertimento, interesse e passione, come una partita di calcio), le carceri, i processi irregolari e le condanne a morte, le maggiori città (Roma cinica, Milano incarognita, Napoli filosofa indecente), alcune alte sfere della Chiesa, la stampa non libera, le dame aristocratiche prostituite ai vincitori, gli aiuti del Piano Marshall (che mirano a rendere passiva l'Europa, a colonizzarla, anche sguarnendola delle barriere doganali), gli scioperi, l'eccesso di operai nelle fabbriche, che pesano sul bilancio statale, i manufatti con prezzi troppo elevati sul libero mercato, l'inflazione, il salotto mondano e il ceto degli artisti, l'umiliante e mutilante trattato di pace, il triste spettacolo dei camaleonti, di quelli che vantano il proprio tradimento, l'America che ha accondisceso al dimezzamento dell'Europa e chiude le porte agli emigranti, eccetera.
  Insieme a tanti segni di un fosco avvenire più o meno lontano, anche la previsione d'un'Italia senza voce in capitolo e campo di battaglia tra i contendenti, è tornata di attualità con la rinnovata minaccia di conflitto tra le potenze dall'Est e dell'Ovest.
  Giacomino, figlio di un ex federale, studente di liceo, ha un amico proletario, Bruno, orfano d'un caduto in Libia, considerato alla stregua d'una semplice vittima. Bruno vende sigarette di contrabbando con la sua fidanzatina e imbastisce altri commerci. Giacomino prende lezioni da Fausto Martelli, un professore epurato, combattente a cominciare dalle campagne di Abissinia e di Spagna sino alla guerra perduta, decorato e fedele - dopo anni di persecutoria prigionia - agli ideali tramontati. Dora, la sua avvenente e ribelle sorella, è ora l'amante di un capitano statunitense della commissione alleata. Più corrivo che disonesto, egli si presta a varie illegalità, tra le quali l'espatrio clandestino di opere d'arte.  
   Alcuni potenti uomini d'affari provenienti dall'al di là della grande acqua, spingono per realizzare una speculazione azionaria che darà loro il controllo d'un complesso industriale nel milanese. Ma gli inglesi, in concorrenza con i cugini a stelle e strisce, ostacolano l'affare, sebbene il governo italiano sia supino di fronte alle mire dei capitalisti stranieri e gli scioperi favoriscano la discesa delle azioni.
  Alberto, l'autista comunista del capitano e suo manutengolo nelle faccende di alcova, procura la sottrazione di un documento compromettente. Ma l'agente che ha fatto il colpo, anziché essere al servizio di Mosca, ha servito gli inglesi. La notizia scabrosa è trapelata. La manovra finanziaria subisce un rinvio. Murray sarà deferito alla commissione di disciplina. Dora, innamorata dell'ufficiale, che le ha fatto sperare il matrimonio, spasima a Napoli, in attesa del passaporto e di imbarcarsi con l'amato. Il suo naufragio è completo: nessun visto e la scoperta d'una missiva che rivela come l'ufficiale abbia una moglie. Non le restano che un pacco di amlire e un vano dolore.
  Dallari, il giornalista amico di Martelli, ha aperto con lui e altri reduci un'agenzia di pubblicità dagli inizi incerti.
  L'allievo Giacomino, che possiede un discreto talento di disegnatore, vorrebbe lasciare gli studi, così come si allontana dall'insulsa e indegna compagnia di coetanei borghesi, le cui ragazze assumono atteggiamenti svergognati. Egli non ha più niente da spartire col mondo dei genitori, non lesina l'impietoso giudizio sulla loro stessa mancanza di convinzione, non accetta il paterno ammonimento circa l'oscurità in cui si sta inoltrando. Le sorelle più piccole di lui probabilmente si affrancheranno allo stesso modo.
  Quasi per paradosso, si presentano al direttore dell'agenzia  i capitalisti americani, offendo un contratto di pubblicità-propaganda dei benefici offerti dagli Stati Uniti. Essi, che si fidano soltanto di un'organizzazione di ex fascisti, hanno rinunciato al progetto di mettere le mani sull'industria padana: eliminando in tal modo la concorrenza, estenuerebbero il compratore dei loro prodotti. Il disegno è quello di controllare il mercato europeo in modo da renderlo proficuo per le esportazioni USA, assicurandone la prosperità.
  Dallari controbatte duramente soprattutto l'ideologia liberista ed egemonica adombrata dal piano esposto. Ma gli corre l'obbligo di sottoporre l'offerta ai soci, prima di rifiutarla. Essi adducono le ragioni per non gettar via tanta fortuna. Dallari rimette a Martelli la sottoscrizione dell'accordo con i committenti. Il professore crede che soltanto l'America possa soddisfare il bisogno di lavoro, e non sente che quel paese ha adottato iniquità, ospita sfruttamento e miseria: un paese da non prendere ad esempio. Egli persuade il resistente a soprassedere ad una decisione definitiva, prendendosi una vacanza. Si rechi a Napoli da sua sorella a prestarle il sostegno di cui ella abbisogna, la persuada a tornare in famiglia.
  Tra l'uomo di mezza età che era stato Pio Dallari nel 1943 e la diciottenne Dora era nato un amore puro, poetico. La loro separazione, dovuta agli eventi bellici, avvenne con una promessa delusa dalla ragazza, che Pio non ardì portare con sé al Nord e che continua ad amare. Ella giaceva gravemente inferma in un alberghetto della Napoli miserabile, e si è rivota al vecchio innamorato per averne il soccorso. Egli l'ha assistita nella sua semi incoscienza. Richiamato a Roma dai suoi doveri, ha lasciato la ragazza alle cure di un buon maestro di musica alloggiato nella stessa locanda. Ripresasi alquanto, ella trascorre la convalescenza trasognata, volta a indebolire il suo sentimento per il fedifrago capitano. Prende lezioni di canto dal musicista Sacchini, che ha mantenuto i contatti con impresari e personale d'un teatro di second'ordine. Frequenta le chiese e si unisce alla recita delle litanie, alle preghiere per le anime del purgatorio, in un tempo in cui il purgatorio è già presente per molti. Le pare che l'attuale supplizio dei peccatori sia eccessivo. Pio vi aveva visto un'espiazione del tradimento della Patria. Egli le ha scritto e forse intende sposarla, ma ella non è pronta a compiere il passo. D'altra parte, l'attira l'indipendenza pratica e morale. Pur dubitando della giustizia divina, vorrebbe credere ai miracoli che si manifestano un po' dovunque nella Penisola.
  A Napoli, Pio la trova che si esibisce, applaudita, in una delle solite riviste scollacciate. Il vecchio Sacchini, che ve lo ha accompagnato, gli dice che un ricco milanese la corteggia, non corrisposto. Al termine dello spettacolo, a cena, Dora manifesta affetto e contentezza. Ritiene d'avere una carriera davanti a sé. Quando lui afferma di volerla sposare e ricondurre a Roma, si rifugia nel riso, rivelandogli di saper tutto del grosso affare combinato dall'agenzia. Suo fratello l'ha informata, le ha scritto di convincere l'amico a non ritirarsi. Al contrario, lei farà il possibile perché egli non accetti di farsi uno strumento degli americani. Rifiuterebbe che si sacrifichi così a pro del loro matrimonio.
  Usciti nella notte, Dora si offre di trascorrerla con lui. Quel coronamento dell'amore fa presentire all'uomo un principio di contaminazione. "No, Dora, non così. Non sciupiamo ogni cosa" egli resiste. "Dopo tanti bei sogni..." soggiunge.
  "Eh! i sogni. Poeta! La vita è quella che è. E viverla non vuol dire sciuparla".
  Il poeta, più saggio di un poeta, viene sopraffatto dalla commozione e finisce come ormai vuole il secolo.
  Non avrà l'animo di recriminare sui giorni vissuti insieme, dopo che la giovane sarà partita con la compagnia per un giro nelle città. La sua promessa di raggiungerlo a Roma non è scaduta, eppure è come se lo fosse. La storia rimane senza seguito, come le altre storie dei personaggi principali. Tuttavia non può ritenersi questo il difetto d'un canone narrativo.
  Date le premesse, il futuro appare segnato per tutti. Pur avendo rinunciato ad essere l'agente di un mondo indegno, Dallari subirà il dubbio di un distacco dalla realtà, che lo porta a risuscitare fantasmi, in una sera di ubriacatura presa al pasto consumato in trattoria. Ma, giunto sulla soglia della piazza fatidica, contenuta dal dall'Altare della Patria e dal palazzo deserto, accade qualcosa di consolante. L'area vuota e spenta si allarga davanti a lui, adesso sgombrata dagli automezzi degli eserciti occupanti. In una finestra dello storico edificio balena ai suoi occhi soltanto una larva d'essere umano, ma un questurino viene a intimargli di lasciare il posto. Alle sue sensate obiezioni, la guardia risponde: "Non si sa mai..." Dunque non tutto è precipitato nel rifiuto e nella dimenticanza. L'ombra d'un ricordo fa ancora paura; è una scomparsa realtà che, contrapposta al mondo che la teme, ha per Dallari un potere riconfortante.
 

Piero Nicola

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