Chi non
avesse vissuto l'immediato dopoguerra penetrandone anche gli aspetti meno
visibili o, per motivi anagrafici ed altri, fosse piuttosto all'oscuro dei
fatti e delle condizioni di quel momento storico, può farsene un'idea compiuta leggendo il
romanzo Purgatorio (L'Arnia, Roma,
1949) di Concetto Pettinato (Catania 1886 - Este 1975).
Giornalista,
saggista e narratore, egli fu di certo un uomo di parte. Dopo l'8 settembre
aderì alla RSI e ebbe la nomina a direttore de La Stampa di Torino. Nel giugno del '44 scisse l'articolo di fondo Se ci sei, batti un colpo, rivolto a
Mussolini per la condizione critica dello Stato del Nord in guerra contro gli
Alleati. Nel febbraio del '45 tornò alla carica scrivendo L'assente, ovvero l'Italia in quella tempesta. Venne destituito
dall'incarico e deferito alla commissione di disciplina del partito. Cessate le
ostilità, andò sotto processo. Condannato a 14 anni di reclusione, beneficiò
dell'amnistia del 1946. Iscrittosi al MSI nel 1947, ne uscì nel 1952, accusando
il partito di conservatorismo e filoatlantismo. Diede vita a un movimento che
non ebbe successo e che si ispirava alla Carta programmatica di Verona.
Volenti o nolenti tutti, specie gli
intellettuali, avevano un passato di appartenenza politica, nessuno era scevro
di passioni civili, e pochi lo sono stati finora, almeno privatamente. Ciò non
toglie in qualcuno la passione per il giudizio equanime e per lo sforzo di
rendere il giusto.
In tale impresa, il Nostro diede prova di coraggio,
anzitutto morale. Coloro i quali disprezzano la coerenza che ne può sortire o,
in generale, la costanza nelle idee, giustificando il cambio di casacca,
farebbero bene a considerare se le mutate opinioni comportino un vantaggio, un
profitto che getta su di esse un'ombra greve, tanto più allorché esse si confanno
a idee e costumi irrimediabilmente guasti. Intellettuali, artefici della penna,
del pennello e dello scalpello, se fossero stati uomini, avrebbero scartato il
conformismo democratico, preferito cambiar mestiere, piuttosto che accettare il
sospetto del vile rinnegamento o il sospetto d'essere stati insinceri e
adulatori, piuttosto che voler celare la trascorsa carriera o giustificarsi con
una conversione che non aveva niente di onorevole.
Concetto Pettinato fu uomo di cultura e di
esperienze maturate nel suo lavoro giornalistico svolto all'estero, messe a
frutto con la padronanza dell'arte narrativa, in cui ebbe ad eccellere. La
lettura del suo lavoro è sempre un godimento del primo strato. Andando a fondo
nel seguito delle scene e dei significati, la giustezza è confermata dallo
svolgimento della nostra storia fino ad ora.
Naturalmente, non si riscontra una
perfezione, che non è mai da pretendersi. L'intento di rappresentare un'intera
società e di farne scaturire le verità da dibattiti del senso popolare o
dell'intelligenza colta in varie gradazioni, talvolta diminuisce la forma, ed anche il
parametro della religione non è ben messo a fuoco. Però il documento resta un
pietra miliare nel corso dell'illuminazione sulla nostra Storia patria.
I filoni, giustamente intrecciati, sono
quattro. Quello dei giovani popolani o studenti: una generazione già
onestamente rappresentata, anche da antifascisti quali Pietro Germi (Gioventù perduta, 1947), arida ed
agnostica, neppure disillusa, infognata nel materialismo, nella dissacrazione e
nella sensualità. Il filone dei reduci fedeli alla loro militanza, cui si
annette un giornalista che passò al Nord dopo l'abbandono di Roma alle truppe
alleate. Quello di genitori borghesi legati al trascorso regime. Quello degli
ufficiali della commissione interalleata: conquistatori sprezzanti e comunque
abbassati, essendo asserviti agli spregiudicati fini economici delle potenze
anglosassoni. A tutto questo si affiancano gli intermezzi occasionali che
descrivono il parlamento scena di gazzarre e commedie, l'azione di un governo
servile e minato dai dissidi, la politica dei partiti (seguita dalla gente per
divertimento, interesse e passione, come una partita di calcio), le carceri, i
processi irregolari e le condanne a morte, le maggiori città (Roma cinica,
Milano incarognita, Napoli filosofa indecente), alcune alte sfere della Chiesa,
la stampa non libera, le dame aristocratiche prostituite ai vincitori, gli
aiuti del Piano Marshall (che mirano a rendere passiva l'Europa, a colonizzarla,
anche sguarnendola delle barriere doganali), gli scioperi, l'eccesso di operai
nelle fabbriche, che pesano sul bilancio statale, i manufatti con prezzi troppo
elevati sul libero mercato, l'inflazione, il salotto mondano e il ceto degli
artisti, l'umiliante e mutilante trattato di pace, il triste spettacolo dei
camaleonti, di quelli che vantano il proprio tradimento, l'America che ha
accondisceso al dimezzamento dell'Europa e chiude le porte agli emigranti, eccetera.
Insieme a tanti segni di un fosco avvenire
più o meno lontano, anche la previsione d'un'Italia senza voce in capitolo e
campo di battaglia tra i contendenti, è tornata di attualità con la rinnovata
minaccia di conflitto tra le potenze dall'Est e dell'Ovest.
Giacomino, figlio di un ex federale, studente
di liceo, ha un amico proletario, Bruno, orfano d'un caduto in Libia,
considerato alla stregua d'una semplice vittima. Bruno vende sigarette di
contrabbando con la sua fidanzatina e imbastisce altri commerci. Giacomino
prende lezioni da Fausto Martelli, un professore epurato, combattente a
cominciare dalle campagne di Abissinia e di Spagna sino alla guerra perduta,
decorato e fedele - dopo anni di persecutoria prigionia - agli ideali
tramontati. Dora, la sua avvenente e ribelle sorella, è ora l'amante di un
capitano statunitense della commissione alleata. Più corrivo che disonesto, egli
si presta a varie illegalità, tra le quali l'espatrio clandestino di opere
d'arte.
Alcuni potenti uomini d'affari provenienti
dall'al di là della grande acqua, spingono per realizzare una speculazione azionaria
che darà loro il controllo d'un complesso industriale nel milanese. Ma gli
inglesi, in concorrenza con i cugini a stelle e strisce, ostacolano l'affare,
sebbene il governo italiano sia supino di fronte alle mire dei capitalisti
stranieri e gli scioperi favoriscano la discesa delle azioni.
Alberto, l'autista comunista del capitano e
suo manutengolo nelle faccende di alcova, procura la sottrazione di un
documento compromettente. Ma l'agente che ha fatto il colpo, anziché essere al
servizio di Mosca, ha servito gli inglesi. La notizia scabrosa è trapelata. La
manovra finanziaria subisce un rinvio. Murray sarà deferito alla commissione di
disciplina. Dora, innamorata dell'ufficiale, che le ha fatto sperare il
matrimonio, spasima a Napoli, in attesa del passaporto e di imbarcarsi con
l'amato. Il suo naufragio è completo: nessun visto e la scoperta d'una missiva che
rivela come l'ufficiale abbia una moglie. Non le restano che un pacco di amlire
e un vano dolore.
Dallari, il giornalista amico di Martelli, ha
aperto con lui e altri reduci un'agenzia di pubblicità dagli inizi incerti.
L'allievo Giacomino, che possiede un discreto
talento di disegnatore, vorrebbe lasciare gli studi, così come si allontana dall'insulsa
e indegna compagnia di coetanei borghesi, le cui ragazze assumono atteggiamenti
svergognati. Egli non ha più niente da spartire col mondo dei genitori, non
lesina l'impietoso giudizio sulla loro stessa mancanza di convinzione, non accetta
il paterno ammonimento circa l'oscurità in cui si sta inoltrando. Le sorelle
più piccole di lui probabilmente si affrancheranno allo stesso modo.
Quasi per paradosso, si presentano al direttore
dell'agenzia i capitalisti americani,
offendo un contratto di pubblicità-propaganda dei benefici offerti dagli Stati
Uniti. Essi, che si fidano soltanto di un'organizzazione di ex fascisti, hanno
rinunciato al progetto di mettere le mani sull'industria padana: eliminando in
tal modo la concorrenza, estenuerebbero il compratore dei loro prodotti. Il
disegno è quello di controllare il mercato europeo in modo da renderlo proficuo
per le esportazioni USA, assicurandone la prosperità.
Dallari controbatte duramente soprattutto l'ideologia
liberista ed egemonica adombrata dal piano esposto. Ma gli corre l'obbligo di
sottoporre l'offerta ai soci, prima di rifiutarla. Essi adducono le ragioni per
non gettar via tanta fortuna. Dallari rimette a Martelli la sottoscrizione
dell'accordo con i committenti. Il professore crede che soltanto l'America
possa soddisfare il bisogno di lavoro, e non sente che quel paese ha adottato
iniquità, ospita sfruttamento e miseria: un paese da non prendere ad esempio.
Egli persuade il resistente a soprassedere ad una decisione definitiva,
prendendosi una vacanza. Si rechi a Napoli da sua sorella a prestarle il
sostegno di cui ella abbisogna, la persuada a tornare in famiglia.
Tra l'uomo di mezza età che era stato Pio
Dallari nel 1943 e la diciottenne Dora era nato un amore puro, poetico. La loro
separazione, dovuta agli eventi bellici, avvenne con una promessa delusa dalla
ragazza, che Pio non ardì portare con sé al Nord e che continua ad amare. Ella
giaceva gravemente inferma in un alberghetto della Napoli miserabile, e si è
rivota al vecchio innamorato per averne il soccorso. Egli l'ha assistita nella
sua semi incoscienza. Richiamato a Roma dai suoi doveri, ha lasciato la ragazza
alle cure di un buon maestro di musica alloggiato nella stessa locanda.
Ripresasi alquanto, ella trascorre la convalescenza trasognata, volta a
indebolire il suo sentimento per il fedifrago capitano. Prende lezioni di canto
dal musicista Sacchini, che ha mantenuto i contatti con impresari e personale
d'un teatro di second'ordine. Frequenta le chiese e si unisce alla recita delle
litanie, alle preghiere per le anime del purgatorio, in un tempo in cui il
purgatorio è già presente per molti. Le pare che l'attuale supplizio dei
peccatori sia eccessivo. Pio vi aveva visto un'espiazione del tradimento della
Patria. Egli le ha scritto e forse intende sposarla, ma ella non è pronta a
compiere il passo. D'altra parte, l'attira l'indipendenza pratica e morale. Pur
dubitando della giustizia divina, vorrebbe credere ai miracoli che si
manifestano un po' dovunque nella Penisola.
A Napoli, Pio la trova che si esibisce,
applaudita, in una delle solite riviste scollacciate. Il vecchio Sacchini, che
ve lo ha accompagnato, gli dice che un ricco milanese la corteggia, non corrisposto.
Al termine dello spettacolo, a cena, Dora manifesta affetto e contentezza.
Ritiene d'avere una carriera davanti a sé. Quando lui afferma di volerla
sposare e ricondurre a Roma, si rifugia nel riso, rivelandogli di saper tutto
del grosso affare combinato dall'agenzia. Suo fratello l'ha informata, le ha
scritto di convincere l'amico a non ritirarsi. Al contrario, lei farà il
possibile perché egli non accetti di farsi uno strumento degli americani.
Rifiuterebbe che si sacrifichi così a pro del loro matrimonio.
Usciti nella notte, Dora si offre di
trascorrerla con lui. Quel coronamento dell'amore fa presentire all'uomo un
principio di contaminazione. "No, Dora, non così. Non sciupiamo ogni
cosa" egli resiste. "Dopo tanti bei sogni..." soggiunge.
"Eh! i sogni. Poeta! La vita è quella che
è. E viverla non vuol dire sciuparla".
Il poeta, più saggio di un poeta, viene
sopraffatto dalla commozione e finisce come ormai vuole il secolo.
Non avrà l'animo di recriminare sui giorni
vissuti insieme, dopo che la giovane sarà partita con la compagnia per un giro
nelle città. La sua promessa di raggiungerlo a Roma non è scaduta, eppure è
come se lo fosse. La storia rimane senza seguito, come le altre storie dei
personaggi principali. Tuttavia non può ritenersi questo il difetto d'un canone
narrativo.
Date le premesse, il futuro appare segnato
per tutti. Pur avendo rinunciato ad essere l'agente di un mondo indegno,
Dallari subirà il dubbio di un distacco dalla realtà, che lo porta a
risuscitare fantasmi, in una sera di ubriacatura presa al pasto consumato in
trattoria. Ma, giunto sulla soglia della piazza fatidica, contenuta dal dall'Altare
della Patria e dal palazzo deserto, accade qualcosa di consolante. L'area vuota
e spenta si allarga davanti a lui, adesso sgombrata dagli automezzi degli
eserciti occupanti. In una finestra dello storico edificio balena ai suoi occhi
soltanto una larva d'essere umano, ma un questurino viene a intimargli di
lasciare il posto. Alle sue sensate obiezioni, la guardia risponde: "Non
si sa mai..." Dunque non tutto è precipitato nel rifiuto e nella
dimenticanza. L'ombra d'un ricordo fa ancora paura; è una scomparsa realtà che,
contrapposta al mondo che la teme, ha per Dallari un potere riconfortante.
Piero
Nicola
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