Chi oggi considerasse l'istruzione, l'educazione,
la preparazione specifica per le attività, la cultura, che include il civismo e
il criterio del bene e del male, e volesse che rivivessero insieme alle nobili
tradizioni, ovvero al risorgere della nobiltà, abbraccerebbe una sfera troppo
grande non solo per questi giorni.
Ci si
potrebbe accontentare dell'ampio riconoscimento e del rispetto tributato alla
legge veritiera, già scritta, pronta e, in concreto, deturpata. D'altronde, senza
il suo fondamento non vi è civiltà che tenga. Le riforme, i raddrizzamenti, i
loro sostegni ideali, ottenuti con mezzi più o meno retorici e propagandistici,
bisogna che comincino ripristinando una base di giustizia, di ragione vergine.
L'ausilio della cultura, un rinnovamento della maturità culturale, penderebbe
dalla parte dell'umanesimo bisognoso di depurazione. Ciò che poteva ancora
permettersi una società condizionata da principi onorevoli, sorretta da un
bastante ossequio agli integri costumi, nella presente situazione di
imbarbarimento pagano farebbe prendere subito una brutta piega ad ogni cosa.
Le virtù
naturali dell'antica cavalleria (onore nell'abnegazione, nel sacrificio
generoso, spoglio di albagia), quali sopravvissero nel meglio dell'esercito e
brillarono in guerra, sarebbero giovevoli e scevre di inconvenienti. Perciò la
riforma delle milizie (che dovrebbero tornare anzitutto alla separazione di
uomini e donne, riservando a queste alcuni corpi ausiliari) sarebbe certamente
utile e assai attuabile, essendo i militari sensibili alle proprie tradizioni e
disposti a inchinarsi anche alla tradizione cattolica. Potrebbe partire di lì,
il riscatto nazionale che si sbarazza del modernismo, di tutte le lucciole
scambiate per lanterne, di tutte le ubriacature, di tutti i letamai frequentati
come serre olezzanti? Sembra difficile.
Per non
indulgere alle teorie, si pondera prendendo ad esempio le civiltà ritenute
illustri. Ci si rifà da quella romana (repubblicana?), alquanto religiosa, o da
quella medievale (feudale?), e si
confrontano con l'epoca corrente le altre precedenti, le parentesi
costituite dal dominio di autocrati, spesso accomunandoli in modo arbitrario,
mostrandosi un attaccamento democratico, altrimenti aristocratico, pregiudizievoli
entrambi per l'obbiettività. Non vanno trascurate le inettitudini radicali delle
repubbliche in balia delle fazioni, oppure una nobiltà ormai degenere, quale fu
quella che ebbe a dare cattiva prova negli ultimi secoli. Alla stessa stregua,
c'è chi, guardando ai mali della guerra, ne ha gettato via, con essi, quegli
sprazzi di luce che sarebbero mancati nelle costanti tenebre della pace, e che
sarebbero stati un'ispirazione per una normalità nei successivi, pacifici tempi
normali.
Se
occorre riconoscere che anche la borghesia diede esempi di nobiltà
(segnatamente sui campi di battaglia), sarebbe stolto negare che lo Stato
borghese risulti liberale, individualista, ignobile e decadente, con la sua
cultura più o meno umanistica e più o meno tecnicistica, insomma, egoista e utilitaristica.
Se mai fosse possibile rimettersi sulla strada dell'operosa e colta classe
dirigente di una volta, la sentinella della Chiesa ortodossa è svanita da un
pezzo e niente la rimpiazza.
Ricominciare con il Regno di Dio sarebbe di certo augurabile. Il suo
potere è enorme. Ma chiediamoci se un movimento politico di laici abbia i mezzi
per rimettere in ordine una Chiesa, che non sono riusciti a rianimare i
sussistenti sacerdoti dalla schiena diritta e i consacrati dediti all'ortodossia.
Guardando
le conduzioni dei vari paesi cattolici salta all'occhio come la loro
separazione dall'autorità ecclesiastica li abbia condannati. Furono sottratti
per qualche tempo alla malasorte le nazioni in cui la separazione venne
interrotta o attenuata. Avvenne pure che, contemporaneamente, si richiamassero
i cittadini ai modelli delle virtù romane o delle posteriori glorie della
propria storia. Benché resti incerto se fosse stato un contributo preservato da
contaminazioni pagane.
America,
Gran Bretagna e altre plutocrazie acattoliche vanno pure schiacciate dagli
inveterati tradimenti della verità. La
loro passata fortuna, i loro fasti - concessi dall'Onnipotente - sono trascorsi
nel regno dell'ingiustizia. E come potrebbero essere degni di imitazione? Esse
hanno il riscontro individuale in quei soggetti capaci e favoriti dalla sorte,
che possono anche morire nel proprio apogeo, ma trapassano andando a
raggiungere il ricco Epulone.
Allora,
da dove prendere le mosse? Ma dalle circostanze favorevoli: per esempio da
quelli cui è consentito di prevalere nell'agone e da quelli che possono
esercitare su loro il proficuo influsso, porgendo il lievito delle virtù
naturali e la convenienza, il rimedio universale della giustizia eterna, la
quale invita alle virtù soprannaturali.
Piero Nicola
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