Non di rado, gli scienziati in materia di uomo civile, di cosa pubblica, di società
e di costituzioni, ne sanno molto, allegano autorevoli citazioni, elaborano
giudizi, ma il loro sapere li tradisce, li accompagna nella parzialità, contribuisce
alla fallacia delle somme tirate. Sicché essi vengono meno alle sintesi vere e
possibili.
Sembrerebbe oltraggioso attribuire loro delle
preferenze a priori, per cui i
giudizi divengono invalidi, eppure sovente è proprio così. Essi sono comuni
esseri umani, dotati per gli studi e per emergere, ma non sono esenti da
passioni, ambizioni, interessi.
Forse inconsapevolmente, essi commettono un
errore di principio e di metodo: prendono a modello, per la realtà politica,
una perfezione e non se ne discostano. Trovando necessariamente nella storia il
vulnus recato da un governante all'ineccepibile
perfezione, ne traggono la condanna, una condanna in effetti sommaria, in
accordo con le propensioni suddette, quindi immotivata.
Nessuno di noi nega il diritto alla giusta
libertà, i valori della famiglia, e forse la corretta libertà religiosa, l'equo
processo giudiziario, il rispetto dovuto all'individuo. Però la morale naturale
e cattolica non prescindono mai dalla giusta causa che autorizza, anzi comanda,
la necessaria deroga all'osservanza della legge naturale. La Chiesa prevede ed
applica la tolleranza: il diritto di valersi d'un male per evitare un male
certo e peggiore. Inoltre, essendo il governante uomo fallibile, i suoi errori,
quando non sono certi, sistematici e pervicaci, fanno parte della normale
fallibilità.
Per esempio, l'aver eliminato le case di
tolleranza, anziché essere stata un'opera di giustizia, è stata un'improvvida e
responsabile scelta del male maggiore, che sarebbe stato prevedibile. Per
esempio, fare una guerra creduta giusta e invece dubbia. Quando poi fosse
colpevole, occorrerebbe appurare se ci fu il ravvedimento dei rei e gli
eventuali rimedi attuati e attuabili.
Ad ogni modo, chi opera senza colpa? Non sarà
un sistema politico a rendere impeccabili i suoi agenti! Esso potrà suddividere
le responsabilità, e non per questo dev'essere più benefico. Tornerò, in
proposito, sull'iniquità, anche tirannica, della democrazia.
L'esimio studioso, l'esperto della materia, sistemato
nel mondo, sovente finisce per ignorare certe regole morali.
Il giudizio sull'autoritarismo. - Di per sé,
esso non è condannabile, se si vuol prestare fede al Magistero tradizionale
della Chiesa, che ammise ogni forma di Stato. Inoltre, per contestare il
sistema autoritario, bisognerebbe
contestare la società visibile e concreta della Chiesa, essenzialmente
monocratica e strettamente gerarchica, oppure cadere nell'errore storicistico,
evoluzionistico, ecc., oltretutto denunciato dai fatti: l'uomo odierno è più
incapace di prima a difendersi dall'errore e a produrre una degna conduzione
della società.
Uno Stato temporale costituito sul modello della
Chiesa, porge la facoltà di una guida retta e ortodossa. Le eventuali
limitazioni delle libertà potrebbero essere giustificate. I motivi contingenti addotti
per escludere tale soluzione, come quello della mentalità liberale radicata o
l'egemonia delle grandi potenze, sono inconsistenti: il popolo cambia
facilmente indirizzo, le potenze atlantiche non sono le sole al mondo e spesso
devono abbozzare.
Vediamo le cadute dell'autocrazia: il
cesarismo, la tirannia. Di nuovo, occorre prendere in esame la sostanza di tali
deviazioni alla luce delle circostanze più gravi. Per esse, si è disposti a concedere
a un Papa l'omissione della aperta condanna di un regime indubbiamente empio e
iniquo. Con lo stesso metro si dovrà ammettere che un dittatore, magari
sottoposto a un sovrano costituzionale, debba esaltare il suo prestigio o
bandire l'opposizione politica. I motivi saranno diversi: l'insufficienza dei
ministri, le trame di fautori d'un ordine civile seducente e cattivo, che
farebbe precipitare il paese nel precedente disordine, le insidie di nazioni
estere nemiche. D'altronde, nel rispetto di un unico complesso di valori tradizionali,
ovvero eterni, è dato ai cittadini di esprimere le proprie istanze, le proprie
idee e critiche costruttive e svolgere una libera attività. Essenziale è che il
regime non sia contrario alla Chiesa, alla sua etica, alla famiglia, al bene comune possibile. È incerto
se sia ingiusta la guerra dichiarata dal capo del governo, con il consenso del
sovrano e del popolo, contro nemici che hanno attuato ostilità, minacce e gravi
offese verso la Patria. Si pensi alle dittature di Spagna e Portogallo - con le
quali l'America intrattenne buoni rapporti. Si pensi, invece con molte riserve,
ai governi di militari voluti dagli USA.
Circa il Ventennio, l'Enciclopedia Cattolica
non lo condanna, pur accusandone alcuni difetti, per lo più rimediati. Analogo
atteggiamento tenne la Chiesa verso di esso, dopo una seconda riconciliazione. Le leggi razziali furono imperdonabili. Ma
a quale prezzo si sarebbe potuto emendare quella colpa revocandole? Nella
pratica, si cercò di attenuarne gli effetti.
Una nota merita il comportamento del re. Se
era prevedibile la bellica sconfitta, non agì egli forse per la disfatta e per
la caduta del fascismo, allontanatosi dalla massoneria e la cui idea aveva
conquistato svariate nazioni, minacciando la stessa egemonia anglosassone? Non
fu un tradimento che precedette quello commesso di nascosto a danno
dell'alleato germanico? I tradimenti avvenuti durante il conflitto in seno
all'esercito, ai comandi vicini alla monarchia, concorrerebbero ad accreditare
l'ipotesi.
Il regime alternativo, la democrazia. - I
delicati, coloro che, sorgesse un caudillo,
deposto l'orgoglio egocentrico, lo
applaudirebbero immedesimandosi in lui, finalmente liberati dall'angustia di
dover eleggere gente inetta, di dover sottostare alle peggiori miserie umane, i
delicati - dicevo - mettono le mani avanti alla Pangloss: "Questo è il
migliore dei sistemi possibile, pur con le sue magagne". E come può
essere? Come può essere che i saggi
concordino ancora con la fede democratica, dopo la prova che ha dato di sé questa
demagogia? Dipende da essa lo sfacelo della civiltà: che non fu democratica e
della cui rendita si visse, essendo dura da distruggere.
Basato sulla corruzione dell'elettore, sulla
losca e deleteria concorrenza dei partiti, delle fazioni e degli interessi
particolari, dei pubblici poteri, dominato da poteri forti e occulti, questo
disordine organizzato è l'habitat di un'oligarchia corrotta e corruttrice,
senza rimedio. La sua ingiustizia è radicale, assegnando gli stessi diritti
politici a buoni e cattivi, a competenti e sprovveduti, affidando legislazione
e governo a uomini d'ogni provenienza. Solo la pazza filosofia liberale, quella
d'un Benedetto Croce, può stabilire che da simile giungla sortisca il bene. Infatti
ha generato via via, in Italia, la droga, il divorzio, l'aborto, la
pornografia, la denatalità, le perversioni rese all'onor del mondo, i matrimoni
omosessuali, e chi più ne ha più ne metta.
Gli studiosi ci spieghino, se ci riescono,
come stia al di fuori del liberalismo la genesi del declino occidentale,
avvenuto sotto l'influenza da Oltre Oceano, donde da tempo proviene ogni
influsso e moda. Essi ne uscirebbero imputando il disastro al piano attuato da un
gruppo o da una società di padroni del pianeta? Costoro dove sono nati e
cresciuti? Sta di fatto che in quella patria umanitaria della terrena felicità promessa a ciascuno uguale, in
quella terra ricca e intraprendente, arata con le libertà, seminata d'illusioni
e che ha assorbito tante vittime dell'ingiustizia, la decadenza ha potuto
avvenire. Gli studiosi ci spiegheranno perché popoli relativamente
indipendenti, come Francia, Gran Bretagna o Svezia, hanno seguito la stessa
parabola discendente.
Siccome io non sono che un ragionatore,
chiamo a testimone un'autorità tra noi indiscussa e che deriva le sue sentenze
dalla predicazione dei suoi predecessori e dal dato rivelato: Pio XII. Con il
Radiomessaggio di Natale 1944, egli si ripromise di fissare i termini della sana
e proficua democrazia, egli definì quella viceversa cattiva e, in generale, le
condizioni necessarie allo Stato per essere degno e procacciatore del bene.
Premessa, "secondo gli insegnamenti
della Chiesa": "Non è vietato di preferire governi temperati di forma
popolare, salva però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere
pubblico".
Basta questa avvertenza per mettere fuori
gioco, ossia nell'iniqua ed empia autonomia, le democrazie che stabiliscono
l'indipendente sovranità popolare, l'indipendente legislazione e azione di governo,
cioè tutti i regimi vigenti.
Seconda premessa: "La Chiesa non riprova
nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene
dei cittadini" (Leone XIII, Enc. Libertas).
Entrando nel merito, il Pontefice precisa
"i caratteri propri dei cittadini in regime democratico". L'uomo non
dev'essere un "oggetto e un elemento passivo della vita sociale", ma
"il soggetto, il fondamento e il fine". "Dalla solidità,
dall'armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo
dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed
equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo". Si metta
"il cittadino in condizione di avere la propria opinione personale, e di
esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune".
Questo si avrà se il popolo contenuto nello
Stato resti popolo e non "massa", se lo Stato sia realmente
"l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo". "Il
popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno
dei quali - al proprio posto e nel proprio modo - è una persona consapevole
delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni". Allora "la
vita" "di un vero popolo" "si effonde, abbondante, ricca,
nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore
incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il
vero senso del bene comune".
Questa vita ideale è mai possibile? Di certo
è impossibile in un mondo affetto da peccato originale e da laicismo. Per
giunta, alla democrazia che rispetta il popolo organico, s'impone di
distinguere il valore specifico degli elettori: da non considerarsi uguali
nell'adempimento del loro dovere politico.
"Della forza elementare della massa,
abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose
d'un solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente
raggruppati, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa, ridotta a non
essere più che una semplice macchina, imporre
il suo arbitrio alla parte migliore
del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo
colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile".
Qui si descrive il fatale ed effettivo essere
della democrazia, laica e pluralista come l'attuale Vaticano pretende che debba
essere.
"In contrasto con questo quadro
dell'ideale democratico di libertà e d'uguaglianza in un popolo governato da
mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato
all'arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si
trasforma in una pretensione tirannica
di dare libero sfogo agl'impulsi e agli appetiti umani a danno degli
altri. L'uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità
monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della
tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a
poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le
vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente
con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l'uguaglianza; e,
dall'altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante
la forza del denaro o quella dell'organizzazione, assicurarsi sugli altri una
condizione privilegiata e lo stesso potere".
Quanto ai "caratteri degli uomini che
nella democrazia tengono il pubblico potere", se i reggitori devono essere
riconosciuti e ubbiditi assolutamente, "alla luce della sana ragione, e segnatamente
della fede cristiana", quell'ordine "non può avere altra origine che
in un Dio personale, nostro Creatore"e "la dignità dello Stato è la
dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell'autorità politica,
la dignità della sua partecipazione all'autorità di Dio".
"Soltanto la chiara intelligenza dei
fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo
dei sublimi doveri dell'opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il
potere, in condizione di adempiere i propri obblighi di ordine legislativo, sia
giudiziario od esecutivo, con quella coscienza della propria responsabilità,
con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella lealtà, con quella
generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico
difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l'adesione
della parte migliore del popolo".
"La questione della elevatezza morale,
della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento,
è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di
prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere".
"Una sana democrazia, fondata
sugl'immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà
risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione
dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime
democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice
sistema di assolutismo.
"L'assolutismo di Stato (da non
confondersi, in quanto tale, con la monarchico assoluta, di cui non si tratta)
consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata
e che di fronte ad essa - anche quando dà libero corso a mire dispotiche,
oltrepassando i confini del bene e del male - non è ammesso alcun appello ad
una legge superiore e moralmente obbligante".
"Questa maestà del diritto positivo
umano allora soltanto è inappellabile, se si conforma - o almeno non si oppone
- all'ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in una nuova luce dalla
rivelazione del Vangelo. Essa non può sussistere se non in quanto rispetta il
fondamento sul quale si appoggia la persona umana, non meno che lo Stato e il
pubblico potere".
Il buon intenditor non avrà bisogno di
commento.
Piero
Nicola
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