mercoledì 3 marzo 2010

Fare futuro, il passato di un abbaglio

Preambolo delle avventurose rivoluzioni culturali a destra fu il fulminante abbaglio sessantottino, che si abbatté sugli scolari di Evola, già sconcertati dalle teorie deprimenti e confusionarie esposte in “Cavalcare la tigre” .
Infatuati da un tradizionalismo ateo e vulnerabile a sinistra [1], gli evoliani travisarono il senso di una paradossale battuta di Giano Accame, che paragonava Evola a Marcuse, e di conseguenza credettero che le espressioni del pensiero ultramoderno (il nichilismo francofortese e il libertinismo californiano) fossero manifestazioni di un antagonismo sano e riconducibile alla rivolta della vera destra contro il mondo moderno.
La superficiale conoscenza e la disgraziata infatuazione per le idee diffuse da Marcuse, superato un cordone sanitario labile, diedero inizio all’indiavolato movimento dei tradizionalisti a cavallo di tigri ultramoderne, e all'inseguimento dell'imperdibile tram della storia che era passato attraverso la caciara anarcoide di Valle Giulia.
Movimento binario e confusionario, il tradizional-sinistrismo diede un importante contributo alla trasformazione della destra tradizionale, nell'orchestra babelica che ultimamente ha il nome di “Fare futuro”.
Franz Maria D’Asaro ha descritto puntualmente il malinteso che eccitava i mutanti: “Quei ragazzi non sapevano ... che erano dei profeti, addirittura degli anticipatori della nuova sinistra. Con qualche azzardato confronto: quelli, i nazionalsociali, con Evola e Guénon, gli altri, i cinesi, con Adorno e Marcuse, ma tutti in disperata polemica contro la società dei consumi, il primato dei banchieri, l’egemonia del cinico utilitarismo. Gli uni e gli altri in dissenso anche nei confronti dei rispettivi partiti di riferimento partitici, quasi intercambiabili fra Evola e Marcuse, fra Che Guevara e Mishima” [2].
Nell’animo dei tigrotti, la miscela di temi controrivoluzionari e temi anarchici originò durature confusioni, entusiasmi immotivati ed indomabili propensioni alla fuga vero la violenza gratuita (negli anni di piombo puntualmente esercitata dai tigrotti mentalmente vulnerabili).
Quando Alain De Benoist, evocato da Armando Plebe, scese in Italia per suscitare emozioni e consensi intorno allo slogan et destra et sinistra, gli immaturi apprendisti festanti nella scolastica evoliana erano già pronti a procedere, con una sola marcia, su due divergenti percorsi, et quello della contestazione globale et quello dell'estenuazione reazionaria.
Malauguratamente al paradosso che avvicinava Evola e Guénon a Benjamin, Adorno, e Marcuse, era soggiacente una verità allora nascosta: al di sotto delle ragioni estetiche e in fondo soggettive delle reciproche incompatibilità, concomitanti riferimenti a tradizioni (cabale) eterodosse e a filosofemi crepuscolari, giustificavano l’accordo sotterraneo tra le due diverse e concorrenti scuole postmoderne d'irreligione.
Dagli opposti capiscuola, infatti, era condivisa la stima per la dottrina di un antico precursore dei maestri del sospetto, l'eresiarca Marcione Pontico.
Quasi obbedendo alle regole della concordia discors, i teorici della contestazione globale e i banditori del tradizionalismo rivoluzionario, avevano dedotto dalla dottrina di Marcione la propensione all’immoralismo e la fanatica ostilità verso la teodicea e la rivelazione biblica.
La fonte comune dei pensieri convergenti da sinistra a destra e da destra a sinistra, infatti, era quel “cristianesimo tedesco”, che aveva attualizzato Marcione trasferendolo dai ponderosi e astratti volumi di Hegel, Schelling e von Harnack ai tumultuosi stati d’animo di Arthur Rosemberg e degli iniziati in camicia bruna, vedi caso quelli che Evola frequentava negli anni Trenta.
Religione ad uso delle masse fanatizzate, il cristianesimo tedesco contemplava una divinità straniera e remota, che avrebbe rivelato la dottrina libertaria, opposta per diametrum alla legge dettata a Mosé e a Israele.
Di qui l’ingresso sull'agitata scena europea, di una teologia antisemita, contemplante il cristianesimo nemico mortale della tradizione veterotestamentaria e del popolo d’Israele.
Marcione, in definitiva, ha insegnato ai nazisti la ricetta di un antisemitismo travestito da fede cristiana e ai francofortesi la via che dalla destra pseudo-mistica e razzista conduce all'ateismo e alla sovversione ultracomunista.
Fatto singolare, finora non considerato con la dovuta attenzione dai politologi, è il giro tortuoso della fede in Marcione dai circoli del nazismo profondo alle agenzie culturali che ispirano la sinistra postmoderna.
Per giustificare l'acrobatico passaggio, Jacob Taubes, il principale interprete del sessantottismo europeo, approvò l'avversione dei nazisti alla teologia veterotestamentaria, sostenendo che prima di Mosé, la spiritualità ebraica aveva un indirizzo anarchico e immoralistico. Dunque che la Germania nazista era l'involontaria levatrice della vera coscienza ebraica.
Ulteriore elemento di confusione a destra fu la strana rilettura di Nietzsche, che negli scritti dell'ultimo Evola era esaltato quale portatore di un “nichilismo attivo”, inteso alla negazione globale dell’esistente.
Trascinato dall'illusione di diventare attuale, Evola giunse al punto di credere seriamente che, predicando la “negazione di tutto l’esistente” (cioè la contestazione globale) si attuasse “una severa disciplina [tradizionalista!] portata fino agli estremi”.

* * *

Le condivisibili critiche dell'on. Bondi hanno il solo difetto di non contemplare lo spaventoso delirio evoliano a monte del Granata-pensiero. Bondi non conosce la vicenda della cultura di destra, non sa che il tentativo rautiano di suicidare la destra era dettato dall'equazione Evola=Marcuse. Non si rende conto che Fini è vittima di una sindrome di Stoccolma che lo ha consegnato ai distruttori usciti dalla scuola rautiana. Quando aprirà gli occhi si renderà conto che il più alto guadagno del centrodestra sarà lasciare per strada Gianfranco Fini e i suoi farneticanti consiglieri.
Piero Vassallo

[1] Sull'ateismo di Evola cfr.: Piero Vassallo, “Itinerari della destra cattolica”, Solfanelli, Chieti 2010.
[2] Cfr.: “Evola: profeta del futuro”, ISSPE, Palermo 2000.

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