lunedì 4 settembre 2017

Le corruzioni di Alessandro VI (di Piero Nicola)

Quando aderivo a una congregazione di sacerdoti anti-Concilio Vaticano II, e manifestai all'allora mio direttore spirituale il proposito di abbandonarla, non credendo alla possibilità di riconoscere papi coloro che avevano fatto il Concilio, né i loro successori, il buon sacerdote mi obiettò che nella Chiesa c'erano stati diversi pontefici erranti, e citò Alessandro VI Borgia, padre del duca Valentino, senza che si fosse avuto alcun scisma.
  Risposi che, per la verità, c'erano già stati nella Storia un occupante del Soglio di Pietro caduto nell'eresia al tempo dell'arianesimo, e Onorio I, monotelita, condannato da un Concilio Ecumenico. Mentre all'indegno papa Borgia, per quanto dissoluto, non si era contestato alcun tradimento dottrinale.
  In effetti, un monaco predicatore l'avrebbe messo sotto processo anche per eresia: Girolamo Savonarola; per altro, chiamato a Roma affinché si discolpasse, e mandato al patibolo dalla Signoria di Firenze, che in tal modo chiuse la questione.
  Di qui in avanti mi rifaccio dalla fonte costituita dall'Enciclopedia Treccani.
  A parte le varie denigrazioni e falsità che colpirono Alessandro VI fin dai suoi giorni (ebbe molti nemici e la sua condotta si prestava alla calunnia), è provato che i delitti, le violazioni della morale, da lui perpetrati furono gravi, molti e continui. Ma egli non abusò del Vangelo per il proprio interesse, spacciando corruzioni come fossero oro colato, per la perdita delle anime. I suoi successori non dovettero emendare la Legge di Dio, avendola trovata manomessa e pervertita.
  Essendo cardinale sotto Sisto IV, Rodrigo Borgia è legato in Spagna per la crociata (1472-73) e aumenta la sua competenza nel diritto canonico. Fin dal 1460 Pio II lo ha dovuto ammonire per il contegno licenzioso, sconveniente a un ecclesiastico. Non si corregge, ha svariati figli naturali e, di certo lo sono Giovanni, Cesare, Lucrezia e Jofré. Avendo guadagnato alla sua causa - non senza simonia - parecchi cardinali, viene eletto pontefice (1492). Ha per amante Giulia Farnese, sposata a Orsino Orsini. Giulia gli dà una figlia, e la relazione è di dominio pubblico. Riconosce pubblicamente la sua prole. Ed ecco il nepotismo sfrenato, per cui di congiunti del Borgia è popolata la curia; quindi verrà il finanziamento delle imprese del duca Valentino (Cesare).
  Il grande affetto per i figlioli lo trascinò a immischiarsi nelle brighe politiche, assai più che non gli fosse imposto dalla duplice condizione di capo della Chiesa e di principe italiano.
  A suo onore va il tentativo di pacificare Ferrante re di Napoli e Ludovico il Moro, protestando di voler opporre alle ambizioni francesi l'unione degli stati italiani, perché "quantunque fussi ultramontano," egli dice, " non amava manco la Italia che qualunque altro signore italico".
  Tuttavia nell'ora decisiva appare titubante e pauroso. Apre la città ai francesi (1494) di Carlo VIII.
  Scandaloso scioglimento del matrimonio di Lucrezia con Giovanni Sforza.
  La tragica morte del figliolo prediletto (duca di Candia) gli aveva dapprima ispirato propositi di riformare se stesso e la Chiesa, e di attendere alla pace e alla salute d'Italia, propositi che parvero e poterono essere sinceri. Una commissione di cardinali preparò una bolla, che gettava le basi della futura riforma cattolica.
  I sani progetti svanirono con l'ascesa del Valentino, ben più fermo del padre e machiavellico.
  Ormai la politica del papa è quella di Cesare Borgia, fattosi alleato della Francia e da lei protetto. I Borgia spadroneggiano anche nell'Urbe, appropriandosi delle grandi sostanze dei cardinali e dei prelati defunti e, si dice, avvelenati.
  In mezzo a tante manovre temporali l'attività religiosa di Alessandro VI non è stata trascurabile. Contro i Turchi, che minacciavano l'Ungheria e la Polonia, toglievano a Venezia le ultime sue colonie nella penisola balcanica e invadevano lo stesso Friuli, il papa tentò una lega fra i principi cristiani, pubblicò (4 febbraio 1501) una bolla per la crociata, mandò legati, riscosse denaro di decime e d'indulgenze e largì soccorsi; ma non trovò ascolto nei principi e nei popoli cristiani. Favorì anche gli ordini religiosi, le missioni, gli istituti di pubblica beneficienza; difese i privilegi della Chiesa e lottò contro eretici e marrani. Emanò per la Germania un decreto che sottoponeva la stampa alla censura ecclesiastica (1° giugno 1501), primo decreto in siffatta materia. La purezza della sua dottrina religiosa non fu mai messa in dubbio seriamente. Il rispetto, poi, che la dignità di Pietro riscoteva ancora, appare dall'enorme concorso di pellegrinaggi al giubileo indetto per il 1500, nonostante la guerra, la peste e la poca sicurezza di Roma. E meglio era apparso dal ricorrere della Spagna al pontefice per definire l'assegnazione delle nuove terre scoperte da Colombo, quando il papa segnò la linea di confine fra la sfera d'interessi spagnoli e portoghesi; primo trattato per il dominio del Nuovo Mondo. Morì nel 1503.
  In definitiva, egli si distinse per gesta religiose, per singolare mecenatismo, per idealità politiche. Ma la curia romana, lui pontefice, scese così in basso che, senza aiuto provvidenziale, pareva non si potesse rialzare mai più.


Piero Nicola

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