Contraddizioni
di un liberalismo libertario
L'uomo qualunque, geniale
movimento in un vicolo cieco
Secondo
la squalificante/squillante definizione, che si legge nel vocabolario
sinistrese, "il qualunquista è un uomo gretto, un egoista che pensa
solo al proprio tornaconto, alla difesa dei suoi interessi".
In
realtà il pensiero politico di Guglielmo Giannini, il fondatore del settimanale
L'uomo qualunque, discendeva dall'ideologia libertaria professata dal
padre, Federico Giannini, uomo di larghe e intrepide vedute ed eccentrico
direttore in Napoli del "Giornale del mattino".
L'attribuzione
dell'egoismo borghese al qualunquista è un'assurdità emanata dal
tribunale che ripete le sentenze concepite in nome della defunta/funerea
mitologia sovietica.
Autodidatta,
brillante giornalista, sapido conversatore, fecondo scrittore di romanzi e di
commedie, Guglielmo Giannini covava una familiare ostilità nei confronti
dei politicanti e della burocrazia statale, due classi che la sua immaginazione
dipingerà come un torchio opprimente e soffocante.
Nel
1942, quando suo figlio morì in incidente aereo, concepì anche un
inestinguibile odio contro lo statalismo fascista. Del figlio Giannini scrisse:
"Una meravigliosa creatura d'amore, che cessò di vivere all'età di ventuno
anni, undici mesi, ventisette giorni, nel pieno della salute e della bellezza,
il 24 aprile 1942. Una versione ufficiale dice che egli cadde nell'adempimento
del proprio dovere verso la patria, ma in realtà fu assassinato insieme a
milioni di altri innocenti esseri umani da alcuni pazzi criminali che
scatenarono la guerra".
Ora
della distanza enorme, che corre tra il pensiero comunista e il generico
anarchismo/pacifismo professato da Giannini - autentico motivo del velenoso
disprezzo, che la cultura progressista rovescia sul qualunquismo - fu causa la
scelta di Giannini di far avanzare lo stato d'animo libertario sul filo del
rasoio teso da Benedetto Croce tra il liberalismo (di matrice neo hegeliana) e
una fede cattolica attorcigliata intorno al saggio sulle ragioni del "perché
non possiamo non dirci cristiani".
Alla
fine del drammatico 1944, risultato di un tale impraticabile percorso fu
l'ideologia, il ribellismo emotivo e semplicistico, riversata nel settimanale L'uomo
qualunque. Un ircocervo allo sguardo esigente di Croce: la politica
antipolitica. Liberal-libertario, a ben vedere, era un ossimoro nascosto da
Giannini nelle nebbie sollevate da una vaga assonanza.
L'equilibrio
retorico, su cui si reggeva la scienza politica Giannini ["uno stato che
non fosse altro che quel governo del buon ragioniere invocato fin dai primi
numeri de "L'Uomo Qualunque"] ebbe la durata dello strepitoso ma
effimero successo giornalistico procurato dalla violenta, passionale
espressione dell'ostilità al fascismo deteriore, vivente/trionfante
nell'antifascismo.
Il
progetto dello stato ragioniere esibì la sua essenza precaria allorché Giannini
tentò di rovesciare nella politica italiana il sentimento/risentimento, che
animava le pagine catto-liberali (o catto-libertarie) del suo settimanale.
L'altezzoso
Benedetto Croce, maestro venerato, al quale Giannini si rivolse per ottenere un
autorevole biglietto d'ingresso nel partito liberale, lo umiliò negandogli la
qualunque raccomandazione. Alcide De Gasperi respinse la sua proposta di
collaborazione con il partito democristiano. Di qui l'infelice scelta di
fondare il partito dell'Uomo qualunque, alternativo ai partiti che respingevano
la sua domanda di adesione. Una scelta infelice, a giudizio degli storici Paolo
Deotto e Luciano Garibaldi, convincenti autori di una "Vera storia
dell'uomo qualunque", pubblicata da Solfanelli, emergente editore in
Chieti.
Deotto
e Garibaldi sostengono autorevolmente che Giannini, "di sicuro non era
un politico e il suo vero errore fu quello di entrare in un meccanismo che lo
stritolò.
Scritto
per confutare i luoghi comuni intorno alla figura di Guglielmo Giannini,
implacabile contestatore dello statalismo, i due scrittori apprezzano la
genialità del giornalista, mentre riconoscono la debolezza dell'uomo politico.
L'insuccesso
della politica qualunquista fu il risultato dell'assenza di un autentico
pensiero: "Un partito deve avere di norma una linea politica e
l'estrema vaghezza del messaggio qualunquista fece sì che da subito i vari nuclei
sparsi per il Paese esprimessero le posizioni più diverse, ma che tutte
comunque potevano trovare un appiglio con quel messaggio di Giannini, che si
poteva definire un mix di liberalismo, antifascismo, anticomunismo,
antinazionalismo, anarchismo, e altro ancora, il tutto unito dalla comune
protesta contro le condizioni generali del Paese e contro la nuova classe
politica al potere".
La
conclusione di Deotto e Garibaldi indica con esattezza l'obbligata dipendenza
del qualunque partito politico da un chiaro e univoco pensiero.
Grazie
alla pregevcole ricerca condotta da Deotto e Garibaldi, l'infelice esito della
polemica giornalistica da Giannini elevata a surrogato del pensiero e del
coerente programma, costituisce una lezione che svela le cause del disastro
causato dalle chimere destate dalla convinzione che la chiacchiera comiziale,
quantunque abile e rumorosa, sostituisca il pensiero politico e il suo coerente
programma.
Piero Vassallo
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