Un
intrigante saggio di Tommaso Romano
La storia dell'evo
cristiano, tra reale e artificiale
Qualificato
studioso e impavido testimone della tradizione cattolica, il palermitano
Tommaso Romano è apprezzato, oltre che per l'eleganza della scrittura, per
l'equilibrio delle sue analisi e per l'originalità delle sue proposte.
La sua
più recente fatica, il saggio "La radicale antitesi tra reale e
artificiale", pubblicato nel numero 79 (gennaio-agosto 2013) della rivista
"Spiritualità e letteratura", ad esempio, solleva contro il pensiero
post-moderno obiezioni indenni dalla pretesa, avanzata dai banditori di un
ozioso e imparruccato passatismo, "di difendere acriticamente l'intero
Ancien Régime" e di nascondere "la mondanizzazione del potere
o degli stessi singoli esponenti della Chiesa Cattolica".
Romano è consapevole
che il mondo moderno, il cui inizio era, per astratta convenzione,
stabilito nel giorno della scoperta dell'America, è finito nel 1989, sotto le
macerie del muro di Berlino.
Di
conseguenza Romano afferma la necessità di riconoscere la svolta epocale e di
aggiornare il giudizio sul mondo moderno, che si è intanto ridotto alle ultime
e crepuscolari suggestioni, che trasmettono cascami e frattaglie delle
ideologie ai fautori della depressione relativista, che colora di grigio l'età
contemporanea.
Dissolta
la minaccia delle rivoluzioni concentrazionarie, nel nuovo orizzonte si profila
la minaccia delle utopie negative, "miti senza relazione, incapacitanti
simboli posti a rappresentare l'astratto e l'irreale, elaborazioni umane con
pretesa di assolutezza, filosofica e antropologica, che hanno generato (e non
certo soltanto dalla fine del Medio Evo) irreali sogni di potenza, domini
antiumani, autoritarismi senza fondamento nell'autorità legittima, anarchia
teorica e nichilismo pratico, ateismo diffuso, relativismo, indifferenza".
Ora non
è pensabile affrontare l'emergenza causata dalle utopie negative e dal loro
codazzo di sciagure senza un progetto indirizzato a rinnovare le regole
dell'indagine sulle cause profonde dell'eversione.
Romano,
pertanto, propone, quale chiave di la lettura della storia inclinata alla
catastrofe post-moderna, un detto del cristiano libertario Valerio Pignatta -
"Il Cristianesimo di Gesù non ha niente a che vedere con il
cristianesimo della chiesa".
Secondo
Romano la tendenza libertaria a interpretare il Vangelo secondo i personali
desideri, inclinazione già presente quando Cristo era nel mondo, "è un
fiume carsico che in nome della purezza evangelica, ha rifiutato costantemente
il concetto stesso di tradizione, sacralità, autorità, obbedienza e di
gerarchia, promuovendo una lunga incubazione che ha prodotto tanto le piccole
chiese e comunità religiose medievali, quanto taluni sintomi che hanno poi
generato ai grandi scismi della Chiesa Cattolica, a cominciare dall'Ortodossia
dopo il primo millennio e con l'affermarsi dei profeti dell'utopia del mondo
nuovo e i loro predicatori sempre però connotati dallo spirito rivoluzionario,
a volte con caratteristiche spiccatamente politiche, non sempre di matrice
gnostica, anche se l'approdo alla logica di capovolgimento della realtà
naturale è stato, comunque, convergente".
Gli
storici delle eresia e i compilatori dei tossici effetti dell'errore, pertanto,
non devono limitarsi all'elenco delle contaminazioni pagane, che, lo ha
dimostrato un discepolo di San Policarpo, Sant'Ireneo da Lione (130-202 d. C.),
hanno ispirato i banditori dello gnosticismo, ma indagare seriamente le
fantasie ispirate da una lettura ribellistica e anarcoide del Vangelo.
Quale
esempio di interpretazione erronea della Sacra Scrittura, Romano cita due testi
di Tertulliano, il De corona e il De idolatria, nei quali si afferma (in aperto
contrasto con la sentenza paolina, Non est potestas nisi a Deo) che le leggi
civili "sono esclusiva opera degli uomini e che nessun fondamento ha il
diritto divino invocato dai governanti".
E' evidente che, a
differenza della suggestione gnostica, il libertarismo, circolante in ambienti
clericali antichi e moderni, non ha origine dal pensiero pagano ma dalla
incontrollata fantasia dei fedeli.
Di qui
la puntuale analisi degli errori generati dalla superficialità clericale e
l'impietosa denuncia dell'alluvione progressista, che ha avvelenato la stagione
del post-concilio.
La
lettura del testo di Romano costringe a riflettere sulla fragilità dei giudizi
improvvisati dai fedeli, dai sacerdoti e dai teologi che desiderano piacere al
mondo piuttosto che obbedire allo Spirito Santo.
A
conferma della fragilità degli uomini di Chiesa, Paolo Pasqualucci ha
rammentato che sono state giudicate eretiche e ritrattate perfino le opinioni
personali di alcuni pontefici romani.
La
resistenza all'errore post-moderno, di conseguenza, deve conoscere e
contrastare, insieme con le ricorrenti suggestioni gnostiche, anche i
cedimenti autarchici dei
pensatori cattolici, laici (ad esempio Jacques Maritain) e clericali (ad
esempio Karl Rahner).
Senza
una tale estensione dello sguardo critico il contrasto cattolico all'errore
post-moderno arretrerebbe sulle linee di un trionfalismo senza altro fondamento
che l'attribuzione dell'infallibilità alla chiacchiera dei teologi di
giornata.
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