domenica 8 aprile 2018

LOTTA DI CLASSE (di Piero Nicola)


Che cosa c'è di meglio che una società costituita secondo l'apologo di Menenio Agrippa? Già in quel tempo remoto e alquanto felice per la formazione dei costumi romani, il console valoroso chiamato a comporre il conflitto tra i patrizi e la plebe, esprimeva l'idea di uno stato organico, scevro da divisioni - che in quel punto esplosero tra popolo e classe di governo (rispettivamente membra e stomaco), e che, per principio, sarebbero risultate deleterie riguardo a ogni contrapposizione di partito, laddove i veri organi dell'umano consorzio, indispensabili, gerarchicamente ordinati e complementari, dovrebbero per natura conciliare i vicendevoli diritti e doveri.
  La stessa apertura indiscriminata del potere a chiunque si dia alla politica e si iscriva a una setta, è contraria al sano funzionamento del corpo sociale. Costoro passano attraverso una fazione e una corruzione, quand'anche abbiano avuto patenti d'onestà e di capacità.
  Nella storia moderna e democratica abbiamo assistito alle lotte di classe e alle lotte di partiti, entrambe con esiti funesti, specie per quanto concerne la salute morale (concorrenza politica nel sedurre il popolo con leggi inique). Oltre alla losca concorrenza partitica, ci resta lo sciopero come mezzo troglodita per avere giustizia: uno scempio del diritto, e ci resta il potere mafioso: impotenza dello Stato.
  Ora però si è verificato un fatto nuovo. Lavoratori e proletari hanno smesso di concepire una classe oppressa e sfruttata. Il fenomeno è stato pure di genere americano. Ciascuno ha sperato di aver fortuna; in subordine, sperava di approfittare della ricchezza ovunque prosperasse. I partiti non rispecchiano più la difesa degli interessi contrastanti delle grandi categorie in cui si suddivide la popolazione. Alla sinistra oggi aderiscono poco gli operai e vi appartengano assa i grandi industriali. I movimenti cosiddetti populisti rappresentano gli scontenti, coloro che si sentono gabbati e i nostalgici (incluso il ceto medio), ma questi movimenti evitano di prendere di mira con chiarezza la ristretta società dominante, sostanzialmente tutta responsabile della conduzione generale, del convogliamento delle diverse azioni politiche a un risultato legislativo e governativo che giova alla casta privilegiata e la conserva.
  La plebe odierna, simile a quella tartassata dagli antichi creditori, e ritiratasi in sciopero sul Monte Sacro, avrebbe sacrosante ragioni per adunarsi e affamare lo stomaco, che pure le procura l'indispensabile sostentamento. Non è questione di socialismo o di comunismo, ma di sconfiggere un'oligarchia camuffata sotto le apparenze della democrazia popolare. Essa guasta la vita del consorzio civile, distrugge o lede i valori essenziali, spirituali, mentre sottomette il popolo con un sistema snervante, invadente, angustiante, desolante, fatto di bisogni materiali e viziosi, di consumi e di debiti che alimentano il potere. Questo stomaco patrizio somministra alle membra quel tanto per farle servire alla macchina economica, e le fa vivere in modo indegno, drogandone le anime. Questo stomaco non offre neppure l'alta ispirazione che offrì l'esercito romano, massime col suo ordine equestre e con i suoi condottieri.
  Dunque la giusta  e necessaria rivolta di classe, d'un'intera nazione contro un'oligarchia, che pratica un sofisticato ed empio schiavismo, non avviene perché la colpevole si dissimula, rimane senza volto, e nessuno ha avuto ancora la forza e le qualità per smascherarla, per definirlaa, per costringerla a correggersi o a subire la sostituzione.

Piero Nicola

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