mercoledì 22 giugno 2011

La teologia progressista, dal marxismo al surrealismo

Dopo Maritain

La teologia progressista, dal marxismo al surrealismo

 Per sciogliere l’anacronistica ipoteca progressista, tuttora accesa sopra una vasta area del clero e del laicato cattolico, occorre fare chiarezza sulla storia del Novecento italiano, ossia confutare le nuove teologie, secondo le quali nel xx secolo "si assisterebbe alla lotta finale fra due linee opposte che attraversano la storia, quella progressista e quella reazionaria. Dopo la prima guerra mondiale e la rivoluzione sovietica, la forma reazionaria avrebbe perduto quegli aspetti di rispettabilità che ancora conservava e si sarebbe incontrata con la barbarie cui viene dato genericamente nome di fascismo. Sempre secondo tale interpretazione la Chiesa fino al pontificato di Pio XII [cioè la chiesa preconciliare] sarebbe stata alleata delle forze reazionarie"  [1].
   Per effetto della mai declinata dipendenza dal filosofo dell'antifascismo, Jacques Maritain [2] e dal pacifista [anticattolico] Aldo Capitini [3], Del Noce non confutò ma aggiustò e addomesticò l'errore dei nuovi teologi. Sostenne, infatti, che il male radicale del Novecento era il secolarismo e precisò: "Mi preme dire che non è è affatto un'interpretazione pro-fascista o reazionaria. Fascismo e nazismo sono anzi visti come il tragico riflesso di un processo di secolarizzazione che li precede storicamente".
  La lettura dei testi delnociani fa intendere che il futuro della tradizione italiana  e della sua cultura politica dipende dalla riscatto della teologia costantiniana, ossia dalla riabilitazione dell'ordine civile al servizio di Dio e in ultima dalla confutazione delle tesi che attribuiscono all'opzione a favore della barbarie nazifascista l'ostilità al progressismo dichiarata dal magistero cattolico preconciliare.
  Tale impressione è rafforzata dalla lettura del giudizio di un allievo di Del Noce, Rocco Buttiglione, secondo cui "l'ambizione segreta di Del Noce è sempre stata quella di offrire la via di quella conciliazione di cattolicesimo e modernità che il modernismo aveva fallito". La convergenza del pensiero e del disegno modernizzatore concepito dai teologi anti-costantiniani e antitomisti attivi nel Concilio ecumenico Vaticano II non potrebbe essere definito meglio [4].   
  Ora un buon inizio del discorso a difesa del cattolicesimo tradizionale e del tomismo essenziale, è ristabilire la verità sulla convergenza di antifascismo e anticattolicesimo nella fronda salottiera che, negli anni Trenta, prefigurava la gnosi radical chic.
  L'antipatica  notizia è stata rivelata proprio da Augusto Del Noce, nel frammento autobiografico “Storia di un pensatore solitario”, recentemente riproposto dalla Bur.
   Del Noce, pur rimanendo fedele fino all'ultimo all'antifascismo, ammise che “Gli intellettuali antifascisti vicini alle posizioni di Giustizia e Libertà presentavano una grossa componente laicista, anticattolica. Pressoché tutti i miei compagni d’università antifascisti, da Leone Ginzburg a Norberto Bobbio condividevano tale indirizzo”.
 Negli anni Trenta, Del Noce, universitario cattolico non violento e perciò ostile al compromesso della Chiesa romana con il regime fascista, rappresentava un’eccezione.
  Nel saggio “Secolarizzazione, nichilismo e cristianesimo”, egli rammentò, infatti, di essere stato fra i pochissimi fedeli che rigettavano la tesi secondo cui “la concezione della vita religiosa e del ruolo della Chiesa nella società quali si prospettavano nel periodo storico che va dal pontificato di Leone XIII a tutto il pontificato di Pio XII, rendeva necessaria l’alleanza della Chiesa col fascismo come vera alleanza, in ragione delle consonanze essenziali (la difesa dell’ordine, del passato, l’avversione al trascendimento storico) e dei comuni nemici: l’antimoderno non potendo assumere realtà storica che nelle forme appunto di consenso al fascismo essendo coinvolto nel suo disastro”.
  E' evidente che nel pensiero delnociano il fascismo rappresentava la versione di quella politica costantiniana, che (giusta la lezione di Jacques Maritain) la Chiesa di Roma doveva sconfessare de rinnegare per poter stabilire una santa alleanza con il mondo moderno.
  Nel citato frammento autobiografico, tuttavia il filosofo torinese ammette, senza imbarazzo, che “È difficile parlare dell’esistenza di una chiara posizione antifascista tra i giovani intellettuali cattolici negli anni Trenta”.
   L'antifascismo cattolico degli anni trenta non era chiaro perché si vedeva già la presenza dello gnosticismo fra i pensieri striscianti nel salotto sedicente progressista. Vero è che Del Noce non nascose di aver subito, nella fase della conversione all'antifascismo, il fascino delle forme religiose improntate al dualismo gnostico.
  Massimo Borghesi, autore di un interessante saggio, “Modernità e democrazia in Augusto Del Noce 1930 - 1946, ricostruisce le origini dell'antifascismo delnociano, rammentando che l’arresto di alcuni giovani intellettuali, accusati di aver espresso opinioni contrarie a quelle del regime di Mussolini, “dovevano indurre Del Noce al pessimismo … Un pessimismo che grazie alla vicinanza con la figura di Piero Martinetti tendeva ad assumere venature gnostico – manichee. Un percorso peculiare questo «nella misura in cui nel ventennio tra le due guerre si ebbe un ritrovamento della gnosi antica, in nome della non-violenza»[5].
  L’abuso della repressione poliziesca non può essere giustificato in alcun modo. Non senza esibire attendibili documenti, Primo Siena ha sostenuto, peraltro, che durante il periodo della Rsi, lo stesso Mussolini si rese conto dell’impossibilità di perpetuare la dittatura e  progettò, pertanto, il futuro ripristino della legalità democratica [6].  
  L’appunto delnociano sulla venatura gnostica (regressiva) dell’antifascismo, ad ogni modo dimostra che il pensiero del salotto azionista era già alterato dalle suggestioni nichiliste che Walter Benjamin (con esplicito riferimento all’eresia dello gnostico Marcione) aveva elaborato al fine di fondare una nuova e più estrema (libertina) teoria della rivoluzione [7].
   Si tratta, come è noto, di quel succedaneo del comunismo sovietico, che più tardi - rendendosi conto che il libertinismo di Sade era diventato attuale nel surrealismo di Bréton, solo mediante l'infusione dello spirito rivoluzionario derivato dal marxismo - Del Noce definirà “totalitarismo della dissoluzione”.
  È dunque lecito sostenere che, durante gli anni Trenta, nel pensiero degli antifascisti, la legittima condanna degli abusi polizieschi si rovesciava nell’estremismo non violento, un'esplicita ripresa dello gnosticismo antico, finalizzata a contestare il principio tradizionale che riconosce allo stato il diritto di ricorrere all’uso legittimo della forza.
 Questo dimostra che l’antifascismo, in area cattolica, era alimentato solo dall’ostinazione di una minoranza al seguito della cometa comunista, già in volo verso l'atterraggio neognostico.
 Lo conferma l’attendibile definizione del leader progressista Giuseppe Dossetti, formulata da Gianni Baget Bozzo: “Una sottile linea gnostica era percepibile come il modo in cui Dossetti risolveva il conflitto tra cattolicesimo e modernità [8].
 La soluzione dossettiana, in definitiva, contemplava la sequela del pensiero moderno in cammino verso la catastrofe irrazionalista.
  L’ultimo Dossetti, infatti, aderì senza riserve alla tesi irrazionalista di Emanuel Levinas, secondo cui, per contrastare l’egoismo, non è sufficiente rifarsi al principio di solidarietà ma occorre “ribaltare tutta l’impostazione occidentale, rimandando all’impostazione ebraica originale [9].
  L’adesione dell'ultimo Dossetti all’irrazionalismo di Levinas sembra coerente con il programma dei modernisti, intesi a de-ellenizzare il Cristianesimo, ossia a demolire quell’impostazione occidentale il cui perfezionamento fu la metafisica di San Tommaso  D’Aquino [10].
   Il rifiuto dossettiano dell’impostazione occidentale non risparmia neppure il preambolo della morale cristiana, l’assioma “nihil volitum nisi praecognitum”.
  Dossetti, dopo aver citato, dal libro dell’Esodo, la risposta degli ebrei a Mosé, “faremo e udiremo”, infatti, si contorce in un cunicolo ermeneutico alla fine del quale si trova il principio del neocristianesimo: volere prima di conoscere. Testualmente: “Essi [gli ebrei] scelsero un’adesione al bene precedente alla scelta tra il bene e il male. Realizzarono così un’idea di una pratica anteriore all’adesione volontaria. L’atto con il quale essi accettarono la thorà precede la conoscenza[11].

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     Il limite della filosofia politica di Del Noce fu la convinzione, ricavata da Maritain, che la verità del mondo moderno appartenga al liberalismo nel suo senso etico. L'adesione al liberalismo etico fece credere a Del Noce che esistesse una terza via cattolica, il centrismo, equidistante dal comunismo e dalla reazione fascista.
  Non per caso, a causa di tale infondata convinzione, il progetto di un'alleanza della Dc con il partito dei post-fascisti, sostenuto dai più stretti collaboratori di Pio XII, Luigi Gedda e padre Virginio Rotondi, fu ostacolata con ogni mezzo e alla fine fatto fallire.
 Se non che sulla terza via i democristiani hanno incontrato l'impossibilità (sperimentata dal centrismo di De Gasperi) di criticare seriamente l'imperialismo mondiale del denaro, quindi di prendere le distanze dalla  felicità americana, oggetto della puntuale e inascoltata critica di Pio XII.
  Il fallimento della linea cattolico liberale ha suggerito infine la ricerca di una (illusoria) via d'uscita a sinistra. Un strategia incoerente e sgangherata, che ha indirizzato i democristiani Mino Martinazzoli e Rosy Bindi al taboga dell'insignificanza perfetta.   
  Il fallimentare incontro dei cattolici con i marxisti ha avviato il cammino verso un altro punto morto della storia catto-progressista. In base alla teoria vichiana dell'eterogenesi dei fini, il contenuto del nuovo punto morto è stato descritto Del Noce: "Il marxismo realizzandosi storicamente ha dato luogo al suo opposto, la società del benessere: che non è possibile oltrepassare per la via della rivoluzione, ma soltanto per quella della restaurazione della dimensione religiosa e dell'autorità dei valori" [12].
 Anche se Buttiglione rifiuta di ammetterlo, la ragione dell'incontro della fede cattolica con il pensiero moderno svanisce nelle contrarie prove della storia.
  Peggio: dopo che la storia ha spezzato il filo del ragionamento profetico di Maritain e di Del Noce, l'incontro dei cattolici con la modernità ultima può avvenire soltanto nella luce della grottesca metamorfosi surrealista, descritta proprio da Del Noce.
  Il sostegno prestato dalla curia progressista di Milano a Giuliano Pisapia, esponente del marx-surrealismo di Niki Vendola, svela il traguardo che si raggiunge camminando al seguito della cometa antifascista. Cometa luccicante nel cielo dell'illusione intorno alla terza via tra modernità e tradizione cattolica.
  Le ragioni della filosofia tomista, in definitiva, sono riabilitate dalla conclamata assurdità del cammino moderno in pieno svolgimento nella forse inconsapevole diocesi di Milano.
  La revisione-riabilitazione del Novecento ecclesiastico e italiano adesso appare come la sola via d'uscita dal furore libertino-nichilista in atto nell'ex sinistra cattocomunista e nella falsa destra. Una via d'uscita che inizia dal superamento delle filosofie avventizie di segno ontologista e deve passare attraverso le magistrali lezioni di Cornelio Fabro sul tomismo essenziale. 
  Va da sé che la revisione può avere un fine pratico solo nell'ambito di una destra capace di comprendere il legame sotterraneo che unisce l'antitradizione all'antifascismo. Comprensione indispensabile a chiunque intenda uscire dalle strettoie in cui circola la mente plurima del Pdl e infine rinunciare alle acrobazie sofistiche in cui si dibattono gli eredi immemori e senza bussola del neofascismo.
 La sfida che "Storia e verità" lancia alla destra dei languori estenuanti e delle insensate diserzioni contempla appunto  la necessità di abbandonare la chiacchiera comiziale per andare incontro all'autentica tradizione civile degli italiani, cioè alla cultura politica che Marcello Veneziani attribuisce alla "bella destra". 

Piero Vassallo 





[1]              Augusto Del Noce, intervista a Massimo Borghesi, rivista  "30 Giorni" aprile 1984.
[2]              Al proposito Massimo Borghesi rammenta: "Lo studio e il confronto con l'opera di Maritain assumono, nella biografia speculativa delnociana, un valore decisivo. ... Maritain è stato per Del Noce il filosofo dell'antifascismo e, insieme, colui che, con Umanesimo integrale, riconciliava il pensiero cristiano con la democrazia moderna". Cfr.: "Augusto Del Noce La legittimazione critica del moderno", Marietti 1820, Genova 2011, pag. 13.
[3]              Nella nota autobiografica "Storia di un pensatore solitario", Del Noce dichiarerà, con riferimento ad Aldo Capitini "Io avevo totalmente legato l'idea di antifascismo a quella di non violenza".
[4]              A questo proposito non è inutile rammentare che il filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio, che dal regime fascista fu discriminato in quanto ebreo, nel dopoguerra sosteneva che l'antifascismo era la malattia mortale della politica italiana.
[5]              Il testo delnociano citato da Massimo Borghesi si trova in “Violenza e secolarizzazione della gnosi”, in Aa. Vv., “Violenza. Una ricerca per comprendere”, Morcelliana Brescia 1980, pag. 205.
[6]              Il segnale di tale intenzione, Mussolini lo diede affidando a Edmondo Cione, intellettuale di scuola crociana, l’incarico di fondare un partito di opposizione al governo di Salò.
[7]              Risultato delle teorie elaborate da Benjamin saranno i manifesti dei sessantottini: rifiuto delle finalità proposte dalla politica sovietica ed esaltazione dell’anarchia edonistica.  
[8]              Cfr.: “L’eredità catto-post-comunista”, in “Ragion politica”, 16 dicembre 2006.
[9]                Cfr. “Sentinella,  quanto resta della notte?”, Edizioni Lavoro, Roma, 1994, pag. 24, dove sono citate le “Quattro letture talmudiche” di Emanuel Levinas.
[10]               A questo punto è opportuno rammentare che il Magistero cattolico si è impegnato nella difesa della metafisica di san Tommaso: cfr. L’Enciclica  “Aeterni Patris” di Leone XIII (1879), il Motu proprio di san Pio X, “Doctoris Angelici” (1914)  l’Enciclica “Studiorum ducem” di Pio XI (1923) e ultimamente la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II (1999).  Del Noce, invece, ha sempre dichiarato la sua dipendenza da Malebranche e Rosmini, cioè dal filone dell'ontologismo. Soltanto nel 1980 Del Noce si avvicino al tomismo grazie alla lettura delle opere di Cornelio Fabro. La fragilità della metafisica delnociana è stata peraltro dimostrata da Gianni Baget Bozzo, secondo il quale Del Noce credette che la linea aperta da Cartesio fosse un’alternativa alla linea uscita da Occam, cioè dall’esito deteriore e distruttivo della scolastica, il cui ultimo effetto teologico era poi il luteranesimo”. Secondo Del Noce, pertanto “la concezione neotomistica del moderno come una storia di deviazioni non è esatta, perché in realtà il moderno era meglio della decadente scolastica. Cartesio era meglio di Occam”. Cfr. "Del Noce e Rodano", in: Aa. Vv., "Augusto Del Noce Essenze filosofiche e attualità storica", Spes, Roma 2000, pag. 44.
[11]               Op. Cit., pag. 48.
[12]             Cfr. "Appunti per una filosofia dei giovani", citato da Massimo Borghesi in "Augusto del Noce La legittimazione critica del moderno", op. cit., pag. 343

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