Dopo
Maritain
La teologia
progressista, dal marxismo al surrealismo
Per sciogliere
l’anacronistica ipoteca progressista, tuttora accesa sopra una vasta area del
clero e del laicato cattolico, occorre fare chiarezza sulla storia del
Novecento italiano, ossia confutare le nuove teologie, secondo le quali
nel xx secolo "si assisterebbe alla lotta finale fra due linee opposte
che attraversano la storia, quella progressista e quella reazionaria. Dopo la
prima guerra mondiale e la rivoluzione sovietica, la forma reazionaria avrebbe
perduto quegli aspetti di rispettabilità che ancora conservava e si sarebbe
incontrata con la barbarie cui viene dato genericamente nome di fascismo.
Sempre secondo tale interpretazione la Chiesa fino al pontificato di Pio XII [cioè
la chiesa preconciliare] sarebbe stata alleata delle forze
reazionarie" [1].
Per effetto della mai
declinata dipendenza dal filosofo dell'antifascismo, Jacques Maritain [2] e dal pacifista [anticattolico] Aldo Capitini [3],
Del Noce non confutò ma aggiustò e addomesticò l'errore dei nuovi
teologi. Sostenne, infatti, che il male radicale del Novecento
era il secolarismo e precisò: "Mi preme dire che non è è affatto
un'interpretazione pro-fascista o reazionaria. Fascismo e nazismo sono anzi
visti come il tragico riflesso di un processo di secolarizzazione che li
precede storicamente".
La lettura dei testi
delnociani fa intendere che il futuro della tradizione italiana e della sua cultura politica dipende dalla
riscatto della teologia costantiniana, ossia dalla riabilitazione
dell'ordine civile al servizio di Dio e in ultima dalla confutazione
delle tesi che attribuiscono all'opzione a favore della barbarie
nazifascista l'ostilità al progressismo dichiarata dal magistero cattolico
preconciliare.
Tale
impressione è rafforzata dalla lettura del giudizio di un allievo di Del Noce,
Rocco Buttiglione, secondo cui "l'ambizione segreta di Del Noce è
sempre stata quella di offrire la via di quella conciliazione di cattolicesimo
e modernità che il modernismo aveva fallito". La convergenza del
pensiero e del disegno modernizzatore concepito dai teologi
anti-costantiniani e antitomisti attivi nel Concilio ecumenico Vaticano II non
potrebbe essere definito meglio [4].
Ora un
buon inizio del discorso a difesa del cattolicesimo tradizionale e del tomismo
essenziale, è ristabilire la verità sulla convergenza di antifascismo e
anticattolicesimo nella fronda salottiera che, negli anni Trenta,
prefigurava la gnosi radical chic.
L'antipatica notizia è stata rivelata proprio da Augusto
Del Noce, nel frammento autobiografico “Storia
di un pensatore solitario”, recentemente riproposto dalla Bur.
Del
Noce, pur rimanendo fedele fino all'ultimo all'antifascismo, ammise che “Gli intellettuali antifascisti vicini alle
posizioni di Giustizia e Libertà presentavano una grossa componente laicista,
anticattolica. Pressoché tutti i miei compagni d’università antifascisti, da
Leone Ginzburg a Norberto Bobbio condividevano tale indirizzo”.
Negli
anni Trenta, Del Noce, universitario cattolico non violento e perciò ostile al
compromesso della Chiesa romana con il regime fascista, rappresentava
un’eccezione.
Nel
saggio “Secolarizzazione, nichilismo e
cristianesimo”, egli rammentò, infatti, di essere stato fra i pochissimi
fedeli che rigettavano la tesi secondo cui “la
concezione della vita religiosa e del ruolo della Chiesa nella società quali si
prospettavano nel periodo storico che va dal pontificato di Leone XIII a tutto
il pontificato di Pio XII, rendeva necessaria l’alleanza della Chiesa col
fascismo come vera alleanza, in ragione delle consonanze essenziali (la difesa
dell’ordine, del passato, l’avversione al trascendimento storico) e dei comuni
nemici: l’antimoderno non potendo assumere realtà storica che nelle forme
appunto di consenso al fascismo essendo coinvolto nel suo disastro”.
E'
evidente che nel pensiero delnociano il fascismo rappresentava la versione di
quella politica costantiniana, che (giusta la lezione di Jacques Maritain) la
Chiesa di Roma doveva sconfessare de rinnegare per poter stabilire una santa
alleanza con il mondo moderno.
Nel
citato frammento autobiografico, tuttavia il filosofo torinese ammette, senza
imbarazzo, che “È difficile parlare
dell’esistenza di una chiara posizione antifascista tra i giovani
intellettuali cattolici negli anni Trenta”.
L'antifascismo
cattolico degli anni trenta non era chiaro perché si vedeva già
la presenza dello gnosticismo fra i pensieri striscianti nel salotto sedicente
progressista. Vero è che Del Noce non nascose di aver subito, nella fase della
conversione all'antifascismo, il fascino delle forme religiose improntate al
dualismo gnostico.
Massimo
Borghesi, autore di un interessante saggio, “Modernità e democrazia in Augusto Del Noce 1930 - 1946” , ricostruisce le origini dell'antifascismo
delnociano, rammentando che l’arresto di alcuni giovani intellettuali, accusati
di aver espresso opinioni contrarie a quelle del regime di Mussolini, “dovevano
indurre Del Noce al pessimismo … Un pessimismo che grazie alla vicinanza con la
figura di Piero Martinetti tendeva ad assumere venature gnostico – manichee. Un
percorso peculiare questo «nella misura
in cui nel ventennio tra le due guerre si ebbe un ritrovamento della gnosi
antica, in nome della non-violenza»” [5].
L’abuso
della repressione poliziesca non può essere giustificato in alcun modo. Non
senza esibire attendibili documenti, Primo Siena ha sostenuto, peraltro, che
durante il periodo della Rsi, lo stesso Mussolini si rese conto
dell’impossibilità di perpetuare la dittatura e
progettò, pertanto, il futuro ripristino della legalità democratica [6].
L’appunto
delnociano sulla venatura gnostica (regressiva) dell’antifascismo, ad ogni modo
dimostra che il pensiero del salotto azionista era già alterato dalle suggestioni
nichiliste che Walter Benjamin (con esplicito riferimento all’eresia dello
gnostico Marcione) aveva elaborato al fine di fondare una nuova e più estrema
(libertina) teoria della rivoluzione [7].
Si
tratta, come è noto, di quel succedaneo del comunismo sovietico, che più tardi
- rendendosi conto che il libertinismo di Sade era diventato attuale nel
surrealismo di Bréton, solo mediante l'infusione dello spirito
rivoluzionario derivato dal marxismo - Del Noce definirà “totalitarismo della dissoluzione”.
È
dunque lecito sostenere che, durante gli anni Trenta, nel pensiero degli
antifascisti, la legittima condanna degli abusi polizieschi si rovesciava
nell’estremismo non violento, un'esplicita ripresa dello gnosticismo antico,
finalizzata a contestare il principio tradizionale che riconosce allo stato il
diritto di ricorrere all’uso legittimo della forza.
Questo
dimostra che l’antifascismo, in area cattolica, era alimentato solo
dall’ostinazione di una minoranza al seguito della cometa comunista, già in volo
verso l'atterraggio neognostico.
Lo
conferma l’attendibile definizione del leader progressista Giuseppe Dossetti,
formulata da Gianni Baget Bozzo: “Una
sottile linea gnostica era percepibile come il modo in cui Dossetti risolveva
il conflitto tra cattolicesimo e modernità ” [8].
La
soluzione dossettiana, in definitiva, contemplava la sequela del pensiero
moderno in cammino verso la catastrofe irrazionalista.
L’ultimo
Dossetti, infatti, aderì senza riserve alla tesi irrazionalista di Emanuel
Levinas, secondo cui, per contrastare l’egoismo, non è sufficiente rifarsi al
principio di solidarietà ma occorre “ribaltare
tutta l’impostazione occidentale, rimandando all’impostazione ebraica originale
[9].
L’adesione
dell'ultimo Dossetti all’irrazionalismo di Levinas sembra coerente con il
programma dei modernisti, intesi a de-ellenizzare il Cristianesimo, ossia a
demolire quell’impostazione occidentale il cui perfezionamento fu
la metafisica di San Tommaso D’Aquino [10].
Il rifiuto dossettiano dell’impostazione
occidentale non risparmia neppure il preambolo della morale cristiana,
l’assioma “nihil volitum nisi
praecognitum”.
Dossetti,
dopo aver citato, dal libro dell’Esodo, la risposta degli ebrei a Mosé, “faremo e udiremo”, infatti, si contorce
in un cunicolo ermeneutico alla fine del quale si trova il principio del
neocristianesimo: volere prima di conoscere. Testualmente: “Essi [gli ebrei] scelsero un’adesione al bene precedente alla scelta tra il bene e il
male. Realizzarono così un’idea di
una pratica anteriore all’adesione
volontaria. L’atto con il quale essi accettarono la thorà precede la conoscenza”
[11].
r
Il
limite della filosofia politica di Del Noce fu la convinzione, ricavata da
Maritain, che la verità del mondo moderno appartenga al liberalismo nel
suo senso etico. L'adesione al liberalismo etico fece credere a Del Noce
che esistesse una terza via cattolica, il centrismo, equidistante dal comunismo
e dalla reazione fascista.
Non
per caso, a causa di tale infondata convinzione, il progetto di
un'alleanza della Dc con il partito dei post-fascisti, sostenuto dai più
stretti collaboratori di Pio XII, Luigi Gedda e padre Virginio Rotondi, fu
ostacolata con ogni mezzo e alla fine fatto fallire.
Se non
che sulla terza via i democristiani hanno incontrato l'impossibilità
(sperimentata dal centrismo di De Gasperi) di criticare seriamente l'imperialismo
mondiale del denaro, quindi di prendere le distanze dalla felicità americana, oggetto
della puntuale e inascoltata critica di Pio XII.
Il fallimento
della linea cattolico liberale ha suggerito infine la ricerca di una
(illusoria) via d'uscita a sinistra. Un strategia incoerente e
sgangherata, che ha indirizzato i democristiani Mino Martinazzoli e Rosy Bindi
al taboga dell'insignificanza perfetta.
Il fallimentare incontro dei
cattolici con i marxisti ha avviato il cammino verso un altro punto morto della
storia catto-progressista. In base alla teoria vichiana dell'eterogenesi dei
fini, il contenuto del nuovo punto morto è stato descritto Del
Noce: "Il marxismo realizzandosi storicamente ha dato luogo al suo
opposto, la società del benessere: che non è possibile oltrepassare per la via
della rivoluzione, ma soltanto per quella della restaurazione della dimensione
religiosa e dell'autorità dei valori" [12].
Anche
se Buttiglione rifiuta di ammetterlo, la ragione dell'incontro della fede
cattolica con il pensiero moderno svanisce nelle contrarie prove della storia.
Peggio:
dopo che la storia ha spezzato il filo del ragionamento profetico di
Maritain e di Del Noce, l'incontro dei cattolici con la modernità ultima
può avvenire soltanto nella luce della grottesca metamorfosi surrealista,
descritta proprio da Del Noce.
Il sostegno prestato
dalla curia progressista di Milano a Giuliano Pisapia, esponente del
marx-surrealismo di Niki Vendola, svela il traguardo che si raggiunge
camminando al seguito della cometa antifascista. Cometa luccicante nel cielo
dell'illusione intorno alla terza via tra modernità e tradizione cattolica.
Le
ragioni della filosofia tomista, in definitiva, sono riabilitate dalla
conclamata assurdità del cammino moderno in pieno svolgimento nella forse
inconsapevole diocesi di Milano.
La
revisione-riabilitazione del Novecento ecclesiastico e italiano adesso appare
come la sola via d'uscita dal furore libertino-nichilista in atto nell'ex sinistra
cattocomunista e nella falsa destra. Una via d'uscita che inizia dal
superamento delle filosofie avventizie di segno ontologista e deve passare
attraverso le magistrali lezioni di Cornelio Fabro sul tomismo essenziale.
Va da
sé che la revisione può avere un fine pratico solo nell'ambito di una destra
capace di comprendere il legame sotterraneo che unisce l'antitradizione
all'antifascismo. Comprensione indispensabile a chiunque intenda uscire dalle
strettoie in cui circola la mente plurima del Pdl e infine rinunciare alle
acrobazie sofistiche in cui si dibattono gli eredi immemori e senza bussola del
neofascismo.
La
sfida che "Storia e verità" lancia alla destra dei
languori estenuanti e delle insensate diserzioni contempla appunto la necessità di abbandonare la chiacchiera
comiziale per andare incontro all'autentica tradizione civile degli italiani,
cioè alla cultura politica che Marcello Veneziani attribuisce alla "bella
destra".
Piero Vassallo
[1] Augusto Del Noce, intervista a Massimo Borghesi,
rivista "30 Giorni" aprile
1984.
[2] Al proposito Massimo
Borghesi rammenta: "Lo studio e il confronto con l'opera di Maritain
assumono, nella biografia speculativa delnociana, un valore decisivo. ...
Maritain è stato per Del Noce il filosofo dell'antifascismo e, insieme, colui
che, con Umanesimo integrale, riconciliava il pensiero cristiano
con la democrazia moderna". Cfr.: "Augusto Del Noce La
legittimazione critica del moderno", Marietti 1820, Genova 2011, pag.
13.
[3] Nella nota autobiografica "Storia di
un pensatore solitario", Del Noce dichiarerà, con riferimento
ad Aldo Capitini "Io avevo totalmente legato l'idea di antifascismo a
quella di non violenza".
[4] A questo proposito non è inutile rammentare che il
filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio, che dal regime fascista fu
discriminato in quanto ebreo, nel dopoguerra sosteneva che l'antifascismo era
la malattia mortale della politica italiana.
[5] Il
testo delnociano citato da Massimo Borghesi si trova in “Violenza e secolarizzazione della gnosi”, in Aa. Vv., “Violenza. Una ricerca per comprendere”,
Morcelliana Brescia 1980, pag. 205.
[6] Il
segnale di tale intenzione, Mussolini lo diede affidando a Edmondo Cione,
intellettuale di scuola crociana, l’incarico di fondare un partito di
opposizione al governo di Salò.
[7] Risultato
delle teorie elaborate da Benjamin saranno i manifesti dei sessantottini:
rifiuto delle finalità proposte dalla politica sovietica ed esaltazione
dell’anarchia edonistica.
[8] Cfr.: “L’eredità
catto-post-comunista”, in “Ragion
politica”, 16 dicembre 2006.
[9] Cfr. “Sentinella,
quanto resta della notte?”, Edizioni Lavoro, Roma, 1994, pag. 24,
dove sono citate le “Quattro letture talmudiche” di Emanuel Levinas.
[10] A questo punto è
opportuno rammentare che il Magistero cattolico si è impegnato nella difesa
della metafisica di san Tommaso: cfr. L’Enciclica “Aeterni
Patris” di Leone XIII (1879), il Motu proprio di san Pio X, “Doctoris Angelici” (1914) l’Enciclica “Studiorum ducem” di Pio XI (1923) e ultimamente la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II
(1999). Del Noce, invece, ha sempre
dichiarato la sua dipendenza da Malebranche e Rosmini, cioè dal filone
dell'ontologismo. Soltanto nel 1980 Del Noce si avvicino al tomismo grazie alla
lettura delle opere di Cornelio Fabro. La fragilità della metafisica delnociana
è stata peraltro dimostrata da Gianni Baget Bozzo, secondo il quale Del Noce
credette che “la linea aperta da Cartesio fosse un’alternativa alla
linea uscita da Occam, cioè dall’esito deteriore e distruttivo della
scolastica, il cui ultimo effetto teologico era poi il luteranesimo”. Secondo Del Noce,
pertanto “la concezione neotomistica del
moderno come una storia di deviazioni non è esatta, perché in realtà il moderno
era meglio della decadente scolastica. Cartesio era meglio di Occam”. Cfr.
"Del Noce e Rodano", in: Aa. Vv., "Augusto Del Noce
Essenze filosofiche e attualità storica", Spes, Roma 2000, pag. 44.
[11] Op. Cit., pag.
48.
[12] Cfr. "Appunti per una filosofia dei
giovani", citato da Massimo Borghesi in "Augusto del Noce La legittimazione
critica del moderno", op. cit., pag. 343
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