Una
magistrale lezione di Benedetto XVI
Potere, politica e
leggi, dopo l'aperturismo conciliare
Dai
torchi dell'editore senese Cantagalli è felicemente uscito "Il posto di
Dio nel mondo", una splendida antologia dei discorsi controcorrente su
potere, politica e legge, tenuti da Benedetto XVI e raccolti con diligente cura
da Stefano Fontana.
La
chiarezza e la profondità dei testi pubblicati, induce a rammentare che papa
Ratzinger ha elevato il tono della cultura cattolica, avviandola, con
erudizione sicura e illuminata cautela, all'oramai irreversibile cammino della
restaurazione post-conciliare.
Nel
discorso preparato in previsione dell'incontro alla Sapienza, in calendario per
il 17 gennaio del 2008 e purtroppo rinviato a causa di diffusi pruriti laicisti,
Benedetto XVI riconobbe la necessità (a suo tempo avvertita da Jurgen Habermas)
di stabile un rapporto tra politica e verità e sostenne che la soluzione del
problema si trova nella filosofia di San Tommaso d'Aquino.
E'
insegnamento di San Tommaso, infatti, che "la filosofia deve rimanere
nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti
e proprio così anche la sua grandezza e vastità".
Ora i limiti della
filosofia si possono superare applicando la formula del Concilio di Calcedonia,
secondo cui filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro senza
confusione e senza separazione.
Di qui
la soluzione proposta dal dotto pontefice: "la filosofia non ricomincia
ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel
grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme
docilmente accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che
la fede cristiana ha ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino".
La via
d'uscita dal tunnel nichilista, nel quale si è smarrita la cultura
post-moderna, è dunque indicata nell'equilibrio di fede e ragione, una feconda
armonia, che i secoli cristiani hanno stabilito e conservato.
Malgrado
le contrarie apparenze, è dunque possibile affermare che, per effetto del
pontificato di Benedetto XVI, è iniziato il riscatto della verità cattolica,
sofferente sotto la massa imprigionante/umiliante dei coriandoli lanciati dalle
finestre dell'irenismo teologizzante.
Nella
tormentata storia della Chiesa durante l'età delle neo-rivoluzioni, la figura
di Benedetto XVI rappresenta la volontà di sciogliere il nodo stretto dalla
incauta/illusoria mitologia conciliare intorno all'autocorrezione dei
moderni erranti.
I
puntuali ragionamenti e le critiche taglienti indirizzate da papa Ratzinger
alle scolastiche, che avviliscono e tormentano la politica in scena nelle
nazioni occidentali, comunità uscite dall'incubo ideologico per entrare
nell'inferno del nichilismo, sono finalizzati alla confutazione degli errori
piuttosto che alla loro paciosa/precipitosa assoluzione e alla loro empiamente
pia assimilazione.
Benedetto
XVI ha iniziato un cammino opposto a quello suggerito dall'irenismo emanato dal
Vaticano II.
Nella
scrupolosa post-fazione ai discorsi di papa Ratzinger, monsignor Giampaolo
Crepaldi, quasi aggredendo l'opinione di Karl Rahner sui cristiani anonimi,
sottolinea opportunamente il rifiuto opposto al relativismo e rammenta che
"la libertà di religione non vuol dire che qualsiasi scelta religiosa
conferma e verifica la libertà di religione".
Benedetto XVI indica
la causa della fragilità/volubilità della cultura di massa nella presunzione
scientista: "La capacità di vedere le leggi dell'essere materiale ci
rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell'essere, messaggio
chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale".
Di qui la critica
inflessibile al positivismo giuridico. Il 22 settembre del 2011, nel magistrale
discorso al parlamento tedesco, Benedetto XVI, indicando la via d'uscita
dall'irenismo, affronta il nodo del positivismo giuridico elucubrato da Hans
Kelsen, attribuendolo a una ragione mutilata e perciò "non in grado di
percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale" e in ultima
analisi diventata strumento degli "ismi" di nuova e velenosa
generazione: "Dove la ragione positivista si ritiene come la sola
cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di
sottoculture, essa riduce l'uomo, anzi minaccia la sua umanità".
Di qui
lo svolgimento di un magistero finalizzato alla correzione dell'ottimismo
infondato. Il 17 settembre del 2010, rivolgendosi alle autorità del Regno
Unito, Benedetto XVI, dopo aver citato la vittima, San Tommaso Moro, in
casa dei discendenti dal boia, ha segnato gli stretti confini oltre i
quali la moderna democrazia non può essere condivisa: "Se i princìpi
morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su
nient'altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del
processo si mostra in tutta la sua evidenza".
Benedetto
XVI ha affrontato anche il nodo dell'assolutismo democratico: ammesso quale
strumento indispensabile la decisione a maggioranza l'autore osserva che "anche
le maggioranze possono essere cieche o ingiuste. La storia lo
dimostra in modo più che evidente: quando una maggioranza- per quanto
preponderante - opprime con norme persecutorie una minoranza, per esempio
religiosa o etnica, si può parlare ancora di giustizia o in generale di diritto?"
Per
uscire dal circolo vizioso avviato dall'assolutismo democratico, inversione
demoniaca dell'ordine civile, occorre superare "il culto politico
opposto alla verità, che è culto dei demoni, mettere l'unico
universale servizio alla verità, che è libertà".
Il
problema che angustia i politologi postmoderni, in conseguenza di tale
premessa, è ricondotto alla verità intravista (obliquamente) dal greco Evemero
da Messina (330-250 a .
C.), il quale sosteneva che "tutti gli dèi sono stati in origine una
volta uomini".
La riflessione sul
paradosso di Evemero aiuta a vedere la realtà in agitazione alle spalle della
democrazia assoluta: la divinizzazione dell'uomo è fomite di una
politica schiavizzante.
Considerata alla luce
della tragica esperienza della mitologia politica in scena nei secoli delle
rivoluzioni sterminatrici, la ruvida demistificazione di Evemero suggerisce il
riconoscimento della bontà insita nell'unica rivoluzione che può
interrompere il circuito della democrazia tiranna: il riconoscimento che
"ogni religione pagana poggia su una iperbolizzazione di sé da parte
dell'uomo".
In
definitiva l'orizzonte della libertà è attingibile solo da una scienza politica
capace di percorrere la via di una demistificazione, che abbia per bersagli la
tracotanza e la superbia degli uomini abbagliati e fulminati dal potere del
loro denaro e storditi dagli inni declamati dai loro servi.
Obbediente
al consiglio evangelico di rinunciare al corteo funerario degli illusi e dei
devianti, Benedetto XVI non chiama in causa gli intontiti banditori di un umanesimo
integrale concepito nella luce modernizzante emanata dagli errori di
rivoluzioni in corsa lungo le piste sanguinarie del delirio e
dell'autodistruzione prima di accedere alle disarmate sacrestie.
Papa
Ratzinger prende atto dell'inevitabile fallimento ottenuto dall'umanesimo
democristiano, ed indica una via di liberazione dalla avventizia chimera
incombente sulla vita politica: l'illusione di aver chiuso vittoriosamente la
partita con le ideologie emanate da secolo dei lumi al lumicino.
La
filosofia politica proposta da Benedetto XVI mostra la via difficile che i
cattolici devono percorre per non estenuarsi nelle manfrine politicanti al
suono dei pifferi di montagna. Il rimanente è il girare vano dei superstiti
testimoni della teologia della liberazione intorno alla confusione tra poveri e
poveri in spirito.
Piero Vassallo
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