La spada di Perseo
Dalla criptopolitica
all'ordine civile, il cammino della libertà
Con
scelta felice, Primo Siena, studioso scampato al penoso naufragio della destra
italiana e autore del robusto e saggio "La spada di Perseo",
pubblicato in questi giorni da Solfanelli in Chieti, comincia la sua
riflessione politologica assumendo il punto di vista di Carl Schmitt, un autore
tanto discusso quanto geniale, cui va riconosciuto il merito di aver definito,
con chirurgica esattezza, il disordine generato dalla capitolazione della
politica nei confronti delle mitologie intorno alla perfetta felicità in terra:
"la decisione politica e morale si paralizza in un paradisiaco aldiquà,
nella vita naturale e nella pura corporeità senza problemi".
La conseguenza della
capitolazione della politica è il trionfo del piacere momentaneo sulla morale e
l'alluvione "di una cultura sottomessa, nella quale i valori sono
ridotti a epifenomeni di un mercato che si sente libero nella misura in cui si
fa libertino".
Il
naufragio del piacere nelle sabbie mobili frequentate dall'autodistruttore è il
risultato finale della insensata guerra condotta contro l'ordine civile da
"finanzieri americani, tecnici industriali, marxisti e rivoluzionari,
anarcosindacalisti, i quali si uniscono perché finisca il dominio affatto
obiettivo della politica sull'oggettività della vita economica".
L'orizzonte della
politica si rovescia nel primato dell'economia. L'autorità, che la politica
tradizionale aveva esercitato in vista di una crescita integrale dei sudditi,
ossia di un virtuoso augere della persona umana, si restringe
all'attività imprenditoriale esclusivamente intesa a procurare momentanei e
fuggevoli piaceri.
A tale
degenerazione, Primo Siena attribuisce il nome di criptopolitica,
un neologismo che indica "l'espressione di poteri occulti (tra i quali,
i servizi d'informazione politica e finanziaria e la criminalità organizzata a
livello mondiale), che, camuffati politicamente, vanno ad occupare
progressivamente gli spazi dai quali è stata sloggiata dissimulatamente la
politica".
Incatenata
ai pregiudizi del pensiero liberale, la democrazia contemporanea "è
stata attirata negli spazi oscuri della criptopolitica ed ha scartato il bene
comune in quanto bene comunitario, per preoccuparsi solo dei beni materiali
individuali", esiliando la politica nel poliverso degli affari.
La riforma della
cripto-democrazia è possibile quando si riconosca che gli organismi intermedi
(famiglie, associazioni di categoria, associazioni umanitarie senza fini di
lucro) sono sopravvissute al diluvio causato dalle rivoluzioni totalitarie e
potrebbero "esercitare il proprio ruolo partecipativo nel modello
istituzionale della società. Da qui la necessità impellente di restituire la
sovranità sociale all'insieme degli organismi intermedi, nel contesto di una
democrazia organica e partecipativa".
Intriganti
sono le pagine finalizzate a interpretare la tesi esposta da Dante nel "De
Monarchia" quale alternativa al globalismo dominante sull'umbratile scena
contemporanea. La soluzione della anomalia globalista, secondo l'autore,
sarebbe la restaurazione della originaria sacralità/universalità del potere
civile: "In analogia col Regnum Dei - nel quale il Re è Cristo - nel
Regnum hominum il Monarca supremo è l'Imperatore in quanto vicario di Cristo
nella sfera temporale, come il Papa lo è nella sfera spirituale" .
La
soluzione proposta da Siena delinea una alternativa ideale al potere
dissacrante, tanto invasivo quanto gommoso, esercitato dall'ONU.
La
interpretazione della dottrina dantesca proposta da Siena, tuttavia, non è in
sintonia con le conclusioni di Etienne Gilson. Nel saggio "Le metamorfosi
della Città di Dio", recentemente pubblicato da Cantagalli, l'autorevole
studioso della filosofia medievale, ha dimostrato, infatti, che, nel "De
Monarchia", Dante, allontanandosi dalla dottrina di San Tommaso,
afferma la piena autonomia del potere temporale, "ossia l'ideale di una
società umana universale, che deve la sua universalità alla sua stessa
temporalità".
A
sostegno del suo giudizio, Gilson rammenta che, riconosciuta la necessità
dell'impero universale, Dante ne affermava l'indipendenza dal magistero
ecclesiastico, vuoi perché l'impero, secondo lui, dipendeva direttamente da
Dio, vuoi perché l'impero, nei confronti del sole ecclesiastico, gli
sembrava simile a una luna che non deve al sole né il suo essere
né la sua luminosità.
L'analisi
gilsoniana della dottrina politica dantesca mette capo a una drastica
conclusione: "Con l'ingratitudine verso la fede che così spesso
dimostrano gli uomini, la filosofia di Dante si appoggiava su ciò che essa
doveva alla rivelazione cristiana per giustificare la propria intenzione di
farne a meno in futuro".
Puntuale
è il riferimento alla filosofia di Vico, "segnata da un ottimismo di
fondo protetto dalla divina Provvidenza, che vince le delusioni superficiali,
essendo la filosofia della storia la filosofia dei popoli che rifiutano di
morire".
Opportuno è il
richiamo al diritto naturale, "dal quale nasce il diritto positivo, nel
quale si inseriscono l'autorità domestica e la stessa autorità sociale".
Ora l’auctoritas,
la disposizione a prosperare - augere - secondo il comandamento divino,
fa parte della natura razionale, “cum
hominibus nata est”. Vico la definisce puntualmente virtù “cognata vel nativa” [1].
Con
esplicito riferimento a San Tommaso, San Roberto Bellarmino (1542-1621)
affermava: "Politicam potestatem
immediate esse tamquam in subiecto in tota multitudine, nam haec potestas est de iure divino, et ius
nulli modo in particulari dedit hanc potestatem” [2].
Il
gesuita Francisco Suarez (1548-1617), una delle fonti del pensiero vichiano,
quasi facendo eco al Bellarmino sosteneva che l'autorità non appartiene al
singolo (al sovrano) ma alla collettività:: “Dicendum est potestatem [civilem] ex sola rei natura in nullo singulari
homine existere, sed in hominum collectione. Conclusio communis et certa
sumitur ex D. Thoma ... principem habere potestatem ferendi leges quam in illum
transtulit communitas” [3].
“
Nel XX
secolo un autorevole collaboratore di Pio XII, l'illustre gesuita Antonio
Messineo, ha definito l’autorità “un’attribuzione
connessa in modo necessario con la natura dell’ente, che, possedendo quella
determinata costituzione essenziale, voluta da Dio, postula uno speciale
completamento o facoltà, senza cui non potrebbe sussistere” [4].
La
riaffermazione di tali postulati è il dovere della scienza politica intesa a
scendere, diversamente attrezzata, nel campo in cui si è consumata la disfatta
della destra polifrenica e la disgraziata metamorfosi della democrazia
cristiana.
Sulle
altre numerose questioni affrontate nell'ingente opera di Primo Siena sarà
opportuna una riflessione e un approfondimento ulteriori da parte della
redazione di Riscossa Cristiana.
Piero Vassallo
[1] “De uno universi iuris principio et fine uno”, XCVIII.
[3] De legibus ac Deo legislatore, III, (De lege humana et civili, c. 2, In quibus hominibus
immediate existat ex natura rei potestas haec condendi leges humanas?)
[4] Cfr. La voce “autorità” nell’Enciclopedia cattolica, Roma,
1951, col. 479-480.
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