martedì 12 gennaio 2016

Tradizione, Tradizione cattolica, Falsa tradizione (di Paolo Pasqualucci)

SOMMARIO:  1.  Il concetto di tradizione.   2.  Tradizione cristiana e non “giudaico-cristiana”.  3. Definizione di Tradizione cattolica.  4. La Tradizione cattolica non contiene nulla di segreto, non è esoterica.  5.  La nozione esoterica di tradizione è irrazionale e falsa.  5.1 Lo stravolgimento del significato della Croce da parte di Guénon. 

Che cosa si intende per tradizione lo si dà in genere per scontato e lo si  lascia all’intuizione.  Non sarà male, tuttavia, tentarne una definizione.

1. Il concetto di tradizione.    Innanzitutto, l’idea di tradizione include quella di determinati valori, tramandati e mantenuti nel corso delle generazioni.  Tramandati  e mantenuti, quindi insegnati e fatti rispettare come valori che costituiscono il fondamento inalterabile di una determinata concezione del mondo e quindi del modo di vivere di una determinata società, intesa globalmente come popolo.  La tradizione si sostanzia, infatti, nel costume.  L’idea di tradizione è dunque connessa a quella di valore e costume. Qui non si lascia spazio ad una determinazione soggettiva di che cosa sia il valore:  il valore mantenuto dalla Tradizione è proprio quello che si impone per il fatto stesso di fondare la tradizione e di appartenerle, al di sopra e al di là di quello che possano pensarne i singoli individui, che anzi devono riconoscerlo ed ottemperarvi.  I valori espressi nella tradizione costituiscono la verità  della tradizione stessa.   Essi sono sentiti come degni di appartenere alla tradizione per il fatto di esser veri, perché si ritiene che in essi si esprima una verità di carattere religioso e morale o solo religioso o solo morale o morale e politico o solo politico od infine solo di costume:  una verità comunque oggettiva, che appartiene alla cosa in quanto tale, indipendentemente dal flusso e riflusso delle opinioni e degli eventi.  La verità che si sente nei valori della tradizione equivale alla loro conformità all’idea della giustizia:  i valori della tradizione sono giusti, questa è la loro verità, ed è giusto osservarli e conservarli.  
La tradizione è dunque un sistema coerente di princìpi e comportamenti che costituiscono le norme, scritte o non scritte, dalle quali l’individuo non può discostarsi o sul piano del costume o su quello delle leggi.  Riferita a un’istituzione o a una nazione, la Tradizione appare pervasa di una componente epica:  atti gloriosi o imprese memorabili, battaglie, guerre.
In quanto tale, la tradizione la ritroviamo in tutti i campi dell’attività umana, nel senso che in ognuno di essi si forma sempre una tradizione da rispettare; anche, p.e., tra i criminali, onde possiamo parlare di tradizioni buone o cattive, come sono quelle dei malvagi associatisi per delinquere.  Le tradizioni cattive, che sono di diverso tipo, o quelle del tutto superate, vanno ovviamente combattute ed eliminate o disattese, per quanto è possibile.

2.  Tradizione cristiana e non “giudaico-cristiana”.   Come espressione di valori positivi, morali e politici, la tradizione è intesa in Occidente ancora come quel complesso  di valori che si rifanno al Cristianesimo e che vengono riassunti nel noto slogan:  “Dio, Patria e Famiglia”.  Questi tre sono considerati, da sempre i valori tradizionali per eccellenza, anche quando sono negati; valori che in Europa, sin da quando ancora esisteva l’Impero Romano d’Occidente, sono stati modellati dal Cristianesimo, come insegnato dalla Chiesa cattolica.  Valori, quindi, cristiani e non giudeo-cristiani, come si usa dire impropriamente dopo il pastorale Concilio Ecumenico Vaticano II.  Infatti, il “giudeo-cristianesimo” è stato solo un momento iniziale e locale del Cristianesimo, poi rapidamente scomparso.  Né si può dire che i valori dell’Ebraismo abbiano concorso con quelli cattolici alla formazione della nostra civiltà, se solo si pensa al concetto di Dio dell’Ebraismo post-cristiano, fermo al Dio unico e al rigetto del vero Messia, nonché alla concezione del matrimonio come contratto risolvibile col divorzio e ad altri aspetti, riguardanti la religione e la morale (per esempio, il “prestito ad interesse”, ammesso dagli Ebrei nei confronti dei Gentili (Dt 23, 20) e non ammesso per tanti secoli dalla Chiesa).  In realtà, nei suoi valori, l’Ebraismo si è posto sempre come antagonista di quelli dell’Europa cristiana anteriore allo scisma protestante.  Solo con gli indebiti quanto ambigui riconoscimenti del Vaticano II alla religione ebraica, come se fosse ancora portatrice di un’attesa messianica valida, si è tornati a parlare, in ambito cattolico, di giudeo-cristianesimo: concetto artificioso che falsifica a sua volta il Cristianesimo, mettendolo sullo stesso piano dell’Ebraismo, nonostante quest’ultimo  rifiuti Cristo a priori. 
Solo nella misura in cui si sono assimilati alla civiltà cristiana, gli Ebrei hanno condiviso la nostra stessa tradizione.  Il fatto è che non si possono ricomprendere sotto un unico comun denominatore tradizioni fra loro diverse se non addirittura opposte, in tutto o in parte, quanto ai valori professati.  Parlare oggi di valori giudeo-cristiani come valori positivi comuni a cattolici ed Ebrei, ed anzi a tutti gli europei, è poi in particolare assurdo, se si pensa che la maggioranza degli Ebrei sono atei e miscredenti, immersi nel materialismo predominante nelle nostre società.  Essi concorrono attivamente al sovvertimento “liberal” della nostra civiltà.  Politici israeliti come Sarkozy, Cameron e Hollande, sostenuti da gran parte dei rabbini e degli intellettuali ebrei, sono stati decisivi nell’emanare le leggi infami con le quali si è imposta la Rivoluzione Sessuale alle nostre società.
La realtà di tradizioni tra loro confliggenti è impossibile da negare e va anzi sviscerata contro il conformismo ideologico dominante, che ha fabbricato un’idea falsissima di tradizione comune a tutti i popoli, in quanto aspirerebbero tutti da sempre al vero Dio, alla pace universale, alla dignità dell’uomo, alla democrazia; pseudo-verità che l’ideologia “liberal” dominante da qualche decennio impone come unica moneta corrente (a partire dal Vaticano II, corrente anche in ambito cattolico).
Bisogna, invece, accettare la realtà, storicamente costituita dalla contrapposizione frontale delle tradizioni.  Così alla tradizione cristiana in generale dell’Europa e delle Americhe e in particolare a quella cattolica, si contrappone la tradizione rivoluzionaria dell’Europa e delle Americhe, nelle sue varie e ben note componenti.  Essa mette l’Umanità al posto di Dio e della Patria, il libero amore ed anzi uno sfrenato ed irresponsabile edonismo al posto della famiglia.  Tra le due tradizioni non è possibile compromesso alcuno.  Il tentarlo, come ha fatto la Chiesa cattolica attuale nell’“aggiornarsi” ai valori e alla mentalità del mondo moderno, significa solo votarsi al suicidio. 
Ma cerchiamo ora di stabilire il concetto di tradizione cattolica in senso stretto.

3.  Definizione di   tradizione cattolica.     Visto il concetto di tradizione sopra delineato, quali sono i caratteri in base ai quali possiamo parlare di “Tradizione cattolica” come qualcosa di specifico, che la distingue dalle tradizioni di altro contenuto?  La caratteristica della Tradizione cattolica è quella di rappresentare le verità ed i valori contenuti nella dottrina e nella pastorale della Chiesa cattolica, che li propone ed insegna come verità di origine sovrannaturale.
La Tradizione cattolica è cattolica proprio perché mantiene la pretesa di conservare ed insegnare la Verità Rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo, Seconda Persona della Santissima Trinità, incarnatosi storicamente nell’ebreo Gesù di Nazareth, che ha dimostrato in parole ed opere di essere il Messia, il Figlio di Dio annunciato nelle profezie dell’Antico Testamento:  Dio fatto uomo, simile in tutto a noi  tranne che nel peccato .
Dal punto di vista del contenuto, in senso stretto ed autentico, la Tradizione cattolica è pertanto costituita dall’insegnamento di Nostro Signore per ciò che riguarda la fede e i costumi,  ossia la religione e la morale, così come tale insegnamento risulta dai Vangeli e dall’insegnamento degli Apostoli, inizialmente solo orale e subito dopo messo per iscritto.  Tale insegnamento è  costituito dalle fonti scritte e non scritte (Corpo Neotestamentario e fonti non scritte) riconosciute ed accettate dalla Chiesa e si è concluso, come ha sempre ritenuto la Chiesa, con la morte dell’ultimo Apostolo.   Le verità di origine sovrannaturale rivelate in questo insegnamento costituiscono da allora il Deposito della Fede, il cui mantenimento è il compito specifico del Sommo Pontefice, dei Vescovi, dei chierici tutti (nonché, per quanto sta a loro, dei fedeli).
Il deposito non può esser stravolto con insegnamenti ad esso contraddittori o comunque con esso incompatibili.  Certe verità di fede e della morale possono sempre esser spiegate in modo più chiaro e ciò è avvenuto  in genere nelle dispute teologiche che si sono avute in passato nel controbattere le eresie.  Approfondimento nella delucidazione del dogma ma mai novità.  Come si suol dire, il dogma della fede può enunciarsi nove (in modo “nuovo” quanto agli argomenti usati) ma mai introducendo nova, nuove cose, novità nel contenuto stesso del dogma.
Faccio un esempio, su un tema d’attualità.  L’indissolubilità del matrimonio è, per i cattolici, dogma di fede, essa costituisce una delle verità fondamentali sempre mantenute dalla Tradizione cattolica.  Così è stabilito dalla dottrina della Chiesa, che ha riscontri sia nella Sacra Scrittura che nella tradizione non scritta.  Questa verità vale sempre, altrimenti non sarebbe stata rivelata da Dio: il matrimonio deve ritenersi indissolubile oggi come lo era nei primi tempi del Cristianesimo, ai tempi degli antichi Romani.  Analizzando il concetto nel merito, si vede che non può mutare, questa verità, perché la natura umana è rimasta sempre la stessa, quanto ai suoi bisogni elementari e primari, ai suoi desideri, istinti, passioni (e i peccati sono rimasti sempre gli stessi, pur variando le modalità di esecuzione nelle varie epoche, a seconda del variare dei mezzi a disposizione per offendere). 
Il maschio e la femmina sono spinti sempre dal medesimo istinto vitale di accoppiarsi per riprodursi, presente anche negli animali.  In noi, ovviamente, tale istinto viene sublimato dalla consapevolezza, dalla sensibilità, dalla cultura, insomma dal contorno spirituale con il quale  l’uomo, proprio perché ha l’anima e il pensiero, lo circonda, lo educa, cerca di controllarlo.  Ma resta il fatto perenne che lo scopo primario del matrimonio trascende le persone stesse degli sposi, consistendo nella procreazione e nell’educazione della prole.  Il reciproco perfezionamento degli sposi ne costituisce lo scopo secondario, sempre e giustamente subordinato al primario.  Su questo fondamento la Chiesa ha sempre insegnato a disciplinare la concupiscenza carnale, il cui fòmite, se incontrollato, è altamente distruttivo (come sapeva anche il pensiero classico, nei suoi migliori esponenti); a farla sfogare unicamente nel matrimonio rettamente concepito.
Pertanto, la diversa sfumatura introdotta nella concezione del matrimonio nella costituzione conciliare Gaudium et Spes, sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, appare in contraddizione con la Tradizione cattolica in senso proprio o Tradizione della Chiesa.  Infatti, da quel testo si evince (all’art. 48.1) che la procreazione non è tanto il fine primario dell’unione, ciò che ne giustifica l’esistenza, quanto il suo “coronamento” (fastigium):  l’istituto matrimoniale e l’amore coniugale sono “ordinati alla procreazione ed educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento [iisque veluti suo fastigio coronantur]”.  Ecco perché da qualche decennio, nel linguaggio ecclesiale, si parla sempre di matrimonio come “comunità di vita o di amore aperta alla vita” e non più giustificata unicamente per la procreazione e l’allevamento della prole, cioè per il fatto di doversi “aprire alla vita”.  L’espressione “fine primario del matrimonio” non si usa nemmeno più.  In tal modo, “l’apertura alla vita” non sembra esser posta come un valore secondario rispetto al c.d. “perfezionamento reciproco degli sposi” nella c.d. “comunità d’amore” che è (dovrebbe essere) il matrimonio?  E gli effetti disastrosi, in ambito cattolico, di questa mutazione nella concezione del matrimonio, non sono sotto gli occhi di tutti?  Bisogna dunque affermare, in ogni caso, che il dettato di GS 48.1 non esprime un concetto del matrimonio pienamente conforme a quello sempre insegnato dalla Chiesa e quindi pienamente conforme alla Tradizione cattolica.
 Questa deviazione dalla Tradizione, e quindi dalla retta dottrina, ovviamente non comporta come tale il riconoscimento del carattere di “matrimonio” alle unioni di fatto o convivenze, che restano concubinaggio, né ad ammettere il divorzio.  I cattolici che divorzino e si risposino civilmente sono degli adulteri e il commercio carnale con il nuovo coniuge regredisce a fornicazione.   Ogni cattolico che scelga di vivere in situazioni del genere offende grandemente Dio e commette peccato mortale.  E sappiamo (perché è stato rivelato) che chi muore in peccato mortale va all’eterna dannazione.
Tuttavia, l’aver posto l’accento più sulla comunione di vita e perfezionamento reciproco degli sposi (inteso nella cruda realtà in genere come libertà di “darci dentro” con il sesso per i primi tempi o anni, con ampio uso di contracettivi, salvo poi pensare ad avere un figlio, che magari non viene più perché Dio non si lascia prender in giro) ha favorito il radicarsi di concezioni eterodosse, ben rappresentate nella parte oggi apertamente deviata del clero, venuta prepotentemente alla ribalta nei recenti due Sinodi dei Vescovi sulla famiglia (2014 e 2015), che tendono di fatto a riconoscere in modo indiretto (concedendo l’uso di Sacramenti quali la S. Comunione) le “comunioni di vita” rappresentate dai divorziati risposati, dalle coppie di fatto, ivi incluse quelle omosessuali!
Quei chierici e quei laici non si rendono conto dell’assurdità delle loro richieste, inaccettabili in sé e in relazione al vero concetto di Tradizione cattolica.  Non si rendono conto, a quanto pare, che simili riconoscimenti, i quali non permetterebbero più di distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, venendo in tal modo a distruggere il fondamento stesso della morale, sarebbero in antitesi radicale con il Deposito della Fede, rappresentando essi la negazione palese, anche se indiretta, dell’indissolubilità del matrimonio, che verrebbe lasciata alla buona volontà dei singoli, quando invece (ci insegna la Chiesa da duemila anni) essa è stata espressamente dichiarata in modo assoluto e senza sfumature da Nostro Signore e dall’insegnamento degli Apostoli.  E non si rendono conto che le prese di posizione dell’Autorità Ecclesiastica da loro assurdamente auspicate sarebbero in ogni caso intrinsecamente invalide, dal momento che l’indissolubilità del matrimonio è di diritto naturale oltre che di diritto divino positivo (che è quello contenuto nella Rivelazione) e nemmeno il Papa può andar contro il diritto naturale e il diritto divino, anche indirettamente.

4.  La Tradizione cattolica non contiene nulla di segreto, non è esoterica.      La Tradizione cattolica esprime dunque al massimo grado il valore cogente di ogni tradizione che si rispetti.  E questo perché le sue fonti sono sovrannaturali onde le verità da esse proclamate devono ritenersi alla guisa di dogmi.  Questo è un aspetto che non bisogna mai dimenticare.  Così come il fatto che tale tradizione coincide con l’insegnamento della Chiesa per ciò che riguarda la fede ed i costumi.  Insegnamento pubblico e comprensibile a tutti.  Come è stato pubblico e comprensibile a tutti quello di Nostro Signore Gesù Cristo, che non ha mai insegnato nulla né di segreto né in segreto.  Alle guardie del Sinedrio che venivano a catturarlo nell’orto di Getsemani, Egli disse:  “Siete venuti con spade e bastoni a prendermi, come se fossi un brigante; ogni giorno ero seduto in mezzo a voi nel Tempio ad insegnare, e non mi avete preso” (Mt 26, 55).  Egli ha sempre insegnato ed operato in pubblico, in presenza di testimoni ed in modo accessibile ad ogni intelletto normale.  A volte ciò che diceva poteva sembrare difficile, in prima approssimazione, od oscuro, come nel caso delle profezie sulla fine di Gerusalemme e sulla fine del mondo, da Lui volutamente intrecciate in un unico discorso.  Ma non si tratta di difficoltà ed oscurità tali da cadere nell’ermetismo per iniziati.  Tant’è che esiste una tradizione interpretativa, quella riconosciuta dalla Chiesa, che ha spiegato in modo soddisfacente i passi più difficili  dei Vangeli mentre, per ciò che riguarda le profezie, ha spiegato quanto a noi è sufficiente comprendere per le necessità della nostra salvezza.
Quest’è, dunque, un altro punto importante da tener presente per il vero concetto di Tradizione cattolica:  la Tradizione cattolica non comprende insegnamenti segreti di Nostro Signore o degli Apostoli, impartiti di nascosto con discorsi mai riportati da alcuno o attraverso simboli misteriosi, la cui interpretazione sia da affidare a cosiddetti “iniziati”.  Non li comprende, per il semplice motivo che non ci sono mai stati.  Nella vera Tradizione cattolica non vi è nulla di esoterico.  Non esiste un Cristianesimo per le masse, per i semplici ed ignoranti, ed uno esoterico (“sapienziale”) per gli iniziati.  Questo è un modo di intendere la Tradizione cattolica del tutto sbagliato, che possiamo lasciare tranquillamente ai Massoni, che amano pascersi di questo genere di fantasie.  Dal Vangelo di S. Giovanni, per esempio, essi notoriamente ricavano le più strane ed incredibili simbologie.  Il concetto di tradizione che ritroviamo nella Tradizione cattolica non ha perciò nulla a che vedere con il concetto esoterico di tradizione.  Chi crede di poter conciliare tradizione cattolica e tradizione in senso esoterico, erra grandemente.

5.  La nozione esoterica di Tradizione è irrazionale e falsa.   La nozione esoterica di tradizione vien detta oggi di preferenza “sapienziale”.  La tradizione “sapienziale” si riferisce evidentemente ad un’antica “sapienza”, intesa come conoscenza originaria e superiore.  Ma quale può essere?  Quella contenuta nei Libri Sacri dei Giudei e dei Cristiani?  Anche quella, purché opportunamente interpretata alla luce della “vera” conoscenza, che sarebbe quella “sapienziale”.  E quale sarebbe concretamente questa “vera” conoscenza, da porsi alla fonte di tutta la “vera” Tradizione?  Tale conoscenza andrebbe ricavata dalle credenze e  simboli delle antiche religioni, a cominciare da quelle ariane arcaiche, testimoniate nei Rig Veda.  Non solo.  Queste conoscenze o tradizioni “primitive” (incredibile a dirsi) sarebbero conservate da millenni in un centro iniziatico misterioso o centro supremo occulto, situato originariamente in Asia, nel Tibet, che si sarebbe in qualche modo mantenuto sino ai nostri giorni, anche se non si sa bene dove.  Questo “centro supremo” viene individuato dagli esoteristi in vari nomi di località o città mitiche: Agartha, Thule, Luz, etc. riportati nelle varie “tradizioni”[1].
 Le credenze di cui sopra svelerebbero, a chi le sa interpretare, i segreti dell’antica sapienza primordiale e quindi il supposto, autentico significato del mondo e della vita.  Si tratta di una conoscenza (mantenuta dal misterioso “centro iniziatico”) che richiede un’iniziazione e si basa soprattutto sull’interpretazione dei simboli. Ciò comporta l’esprimersi a sua volta in simboli.  Essa elabora significati in modo appunto “sapienziale” ossia sulla base di una “sapienza” non razionale, poiché non opera mediante concetti e dimostrazioni razionali ma per “illuminazioni”, metafore, analogie.  Non si affida al logos, al discorso raziocinante, bensì all’eidos, all’immagine, caricandola dei significati più strani.  Significati ovviamente non alla portata di tutti ma dei soli “iniziati”, di coloro che sono in possesso della “scienza sacra”, dell’ermeneutica (da iniziati) che permette di (ri)costruire i significati suddetti.  Presso diversi suoi cultori, questa cosiddetta “scienza” fa anche largo spazio, come si può facilmente immaginare, a pratiche iniziatiche intrise di magia e occultismo, con i loro tradizionali contorni libertini e omosessuali.
Nell’ottica “sapienziale” propria della tradizione intesa in questo senso falso e deviato, il Cristianesimo non può quindi esser concepito nella sua autentica natura che è quella di essere l’unica ed assoluta fonte della verità, unica ed assoluta perché l’unica a provenire storicamente dal vero Dio, Uno e Trino.  La Rivelazione cristiana viene intesa, invece, in modo del tutto errato, come una manifestazione storicamente determinata della “sapienza primordiale”.  Quest’ultima le sarebbe anteriore e la ricomprenderebbe. Il Cristianesimo sarebbe espressione di questa “tradizione” sapienziale e pertanto di qualcos’altro rispetto alla verità assoluta di origine divina che esso pretende di rappresentare.   La Tradizione cattolica andrebbe perciò (re)interpretata alla luce della “tradizione primordiale”.  Ne consegue che il “vero” insegnamento di Cristo e degli Apostoli deve esser quello “sapienziale” o segreto che dir si voglia, racchiuso in simboli il cui significato il volgo dei credenti non può penetrare.

5.1.  Lo stravolgimento del significato della Croce da parte di Guénon.    È quasi superfluo sottolineare che il contenuto di questa “tradizione primordiale” resta sempre qualcosa di vago ed indeterminato, dovendo risultare soprattutto dall’interpretazione di miti e simboli, i quali rinviano sempre ad una realtà ulteriore, al di là e più profonda, che resta tuttavia sempre indeterminata e in sostanza inconoscibile, come una sorta di  vuoto riempibile all’infinito.  Questo nulla fa vedere tutta la falsità dell’idea esoterica di tradizione.  Nell’ottica di Guénon, lo sappiamo, la “tradizione primordiale” risulterebbe “dall’unità trascendente delle religioni” onde la tradizione sarebbe “ciò che si conserva com’era in principio, sebbene non nella sua espressione esteriore”.  Questa “espressione esteriore” deve esser penetrata, nelle varie religioni, mediante un’analisi dei simboli basata soprattutto sull’analogia, per risalire appunto all’unità della tradizione “primordinale”, alla “sapienza” originaria[2].  Tuttavia, questa definizione di “tradizione primordiale” resta in superficie.  La difficoltà di coglierla, dandole concretezza, risulta anche da altri autori, ampiamente influenzati da Guénon, quali il De Giorgio, che scrive:  “la tradizione quindi è la confluenza di tutte le vie in Dio e la determinazione integrativa delle vie che conducono a Dio affinché Dio sia veramente il termine che si vuol raggiungere e l’uomo il punto di partenza di questo ritorno al ciclo divino”[3].  Di quale Dio si parli non è spiegato né qui né nel resto del paragrafo, nel quale restano oscure le nozioni di “confluenza” e  “determinazione integrativa”.      

In una prospettiva del genere, il significato del Cristianesimo risulterà del tutto stravolto.  La cosa appare in tutta la sua evidenza se noi consideriamo, a mo’ d’esempio, in che maniera Guénon intenda il significato della Croce di Cristo.
“Se Cristo è morto sulla croce, scrive Guénon, è proprio, si può ben dirlo, per il valore simbolico che la croce ha in se stessa e che le è sempre stato riconosciuto in tutte le tradizioni; ed è perciò che, senza volerne sminuire il significato storico, si può considerarla come una semplice derivazione da questo stesso valore simbolico”[4].   Il valore simbolico della croce, “segno” presente in tutte le “tradizioni” sapienziali, dall’antica India e Cina all’esoterismo mussulmano, nel quale ultimo Guénon era particolarmente ferrato, prevale dunque sul significato storicamente autentico della Crocifissione, che non si riferisce ovviamente alla “croce” in quanto tale, ma alla persona di Colui che sulla Croce è morto.
La crocifissione di Cristo, come fatto storico, non presenta nulla di simbolico, nel senso adombrato da Guénon.  La crocifissione era una condanna a morte particolarmente crudele, usata nel mondo antico per reati molto gravi, quali il tradimento e la ribellione.   I Romani non la infliggevano certo per il suo significato simbolico, per di più nel senso “sapienziale” del termine.  La morte crudele ed infame richiamata dalla sua immagine era considerata un sufficiente deterrente per i traditori ed i ribelli e comunque una giusta punizione per la gravità dei loro reati.  Si ricordi lo spavento con il quale Cicerone nominò questo supplizio, definendolo: “crudelissimum teterrimumque[5].  Gesù vi fu condannato grazie alle false accuse dei Farisei, che lo presentarono bugiardamente a Pilato come un ribelle all’autorità romana.  Dal punto di vista del suo significato storico, che non è affatto meramente simbolico, la Croce ha per noi credenti il ben noto significato salvifico:  è la morte ingiusta dell’uomo-Dio innocente, liberamente subita per obbedire alla volontà del Padre, esigente riparazione per il peccato di Adamo; evento che permette alla Misericordia divina di perdonare i peccati a tutti quegli uomini e donne che credono in Cristo, improntando integralmente la propria vita ai Suoi insegnamenti.
Il significato intrinseco della Croce di Cristo, e proprio come fatto storico, che è espiatorio (per il peccato di Adamo), propiziatorio ( perché ci ottiene misericordia – propitiatio – per i nostri peccati) e quindi specificamente salvifico, viene completamente perduto nell’ottica “sapienziale” di un Guénon.  Dal modo in cui quest’ultimo si esprime, si ha la sensazione che egli attribuisca alla Crocifissione il significato di un simbolo che si doveva realizzare in Cristo, in quanto simbolo ammesso “da tutte le tradizioni”!  E difatti, nel suo citato studio, egli sciorina una vasta conoscenza di tutto il simbolismo esoterico della Croce “nelle varie tradizioni”, simbolismo nel cui ambito il vero significato della Croce di Cristo scompare del tutto.
Guénon dà del simbolo della croce un’interpretazione che definisce metafisica, ricavandola in particolare dall’esoterismo islamico.  In realtà, Guénon, come suo costume, cerca di districarsi tra i vari esoterismi, fabbricando le più singolari analogie. L’esigenza che si esprimerebbe nel simbolo della croce sarebbe quella della determinazione-realizzazione dello “Uomo Universale”, nel quale il “macrocosmo” e il “microcosmo”  unificherebbero i “diversi stati dell’essere”. Ciascuno di noi sarebbe solo la “modalità individuale umana” dell’essere o “Sè”.  La connessione tra il micro e il macrocosmo può, dunque, risultare in noi solo per analogia, nozione che resta nell’insieme anodina, per quanto Guénon cerchi di chiarirla. L’Uomo Universale dell’esoterismo islamico sarebbe lo Adam Qadmôn della Cabala e  “il re” (Wang) della tradizione estremo-orientale.  Ora, “l’Uomo Universale non esiste che virtualmente e in certo modo negativamente, come un archetipo ideale, fino a quando la realizzazione effettiva dell’essere totale non gli abbia conferito un’esistenza attuale e positiva”.  Tale “realizzazione” viene “simboleggiata” nella maggior parte delle dottrine tradizionali da un segno che è ovunque il medesimo perché ricollegabile direttamente alla “Tradizione primordiale”.  E questo segno è appunto “il segno della croce”.  E per qual motivo, proprio questo segno?  Perché la croce, con i suoi due bracci, indicherebbe “la comunione perfetta della totalità degli stati dell’essere, ordinati gerarchicamente in armonia e conformità, nell’espansione integrale secondo i due sensi dell’”ampiezza” [braccio orizzontale] e dell’”esaltazione” [braccio verticale]”.   In questo “segno” abbiamo perciò la rappresentazione di una “doppia espansione dell’essere”. Orizzontalmente, “cioè a un determinato livello o grado di esistenza, e dall’altra verticalmente, cioè nella sovrapposizione gerarchica di tutti i gradi”.  Ne consegue, che “il senso orizzontale rappresenta l’estensione dell’’individualità assunta come base della realizzazione [dell’essere o Sè], estensione che consiste nello sviluppo indefinito di un insieme di possibilità soggette a condizioni particolari di manifestazione”.  All’opposto, “il senso verticale rappresenta la gerarchia – anch’essa a maggior ragione indefinita – degli stati multipli, ognuno dei quali, considerato nella sua integralità, rappresenta un insieme di possibilità corrispondente a uno dei tanti “mondi” o gradi che sono compresi nella sintesi totale dell’”Uomo Universale”[6].
Da questa fumosa costruzione, che per Guénon sarebbe metafisica, nella quale domina la molteplicità, intesa come pluralità indifferenziata di simboli e significati ricavabili dalla geometria della croce, si capisce con chiarezza solo che (annoto) questa “realizzazione effettiva della totalità dell’essere” è una forma universale di liberazione.  Da che cosa, da chi?  Liberazione in senso esoterico, ovviamente, trattandosi della “liberazione” (Moksha) della quale parla la dottrina indù e che l’esoterismo islamico chiama “identità suprema”, perché “l’Uomo Universale” che si realizza nella totalità dell’essere, in quanto rappresentato dall’Androgino primordiale nella coppia “Adamo-Eva” avrebbe il numero di Allâh, il 66, che “è appunto un’espressione di tale identità”.  Da tutto questo incredibile miscuglio, una sola cosa risulta evidente:  che Guénon interpreta la creazione dell’uomo e della donna di cui alla Bibbia, come creazione di un androgino!  Infatti, in nota specifica:  “Secondo il Genesi ebraico, l’uomo, “creato maschio e femmina”, cioè in uno stato androginico è “immagine di Dio” […]  Lo stato androginico originale è lo stato umano completo, in cui gli elementi complementari, anziché opporsi, si trovano in perfetto equilibrio”[7].
Con quale logica Guénon veda nella creazione biblica dell’uomo e della donna quella di un “androgino”, non si saprebbe dire.  In questa cervellotica e blasfema interpretazione, ricavata affastellando un guazzabuglio di “analogie” tra i simboli delle varie “tradizioni” esoteriche (di per se stesse già il risultato di elucubrazioni e miscugli di ogni genere), viene chiaramente alla luce la ciarlataneria erudita  di Guénon.   Su queste basi, come stupirsi che egli ritenesse alla fin fine la Croce di Cristo come simbolo dell’indiamento dell’uomo, rovesciandone del tutto il vero significato, seguito in questo dai suoi discepoli?[8]  Dell’Uomo Universale, si capisce, l’analogo del supposto Androgino originario:  “Non è l’uomo individuale (che, come tale, non può conseguire nulla al di fuori del proprio stato di esistenza), ma “l’Uomo Universale”, che questa croce simboleggia, a essere veramente la “misura di tutte le cose”, secondo la già ricordata espressione di Protagora”[9]
Perciò, il famoso passo del Vangelo di S. Giovanni, nel quale Cristo si definisce “la via, la verità, la vita”, secondo Guénon si può interpretare  nel senso della sua propria metafisica, riferendolo cioè alla Croce come simbolo dell’Uomo Universale.
“Riprendendo per un istante la nostra prima rappresentazione “microcosmica”, ed esaminando i suoi tre assi di coordinate [confluenti nel centro della croce], la “via” (specifica per l’essere considerato) sarà rappresentata dall’asse verticale; quanto ai due assi orizzontali, l’uno rappresenterà la “verità”, e l’altro la “vita”.  Mentre la “via” si riferisce all’”Uomo Universale”, che è identico al “Sé”, la “verità” si riferisce all’uomo intellettuale, e la “vita” all’uomo corporeo (benché quest’ultima possa subire una certa trasposizione); di questi due termini, appartenenti entrambi all’ambito di uno stato particolare, cioè a uno stesso grado dell’esistenza universale, il primo deve essere assimilato all’individualità  integrale, di cui il secondo non è che una modalità […] Ciò implica dunque che il disegno della croce a tre dimensioni si riferisca all’individualità umana terrestre, poiché è solo in relazione a questa che abbiamo preso in considerazione la “vita” e la “verità”;  questo tracciato raffigura l’azione del Verbo nella realizzazione dell’essere totale, e la sua identificazione con l’”Uomo Universale”[10].    
Nel clima sempre più torbido di oggi sembra trovare udienza anche chi, al vero significato della Croce consacrato da tutta la Tradizione di fede della Cattolicità (si pensi ad opere quali L’imitazione di Cristo), sovrappone per l’appunto la falsa interpretazione sapienziale od esoterica della Croce stessa come simbolo grazie al quale “si risolvono tutte le opposizioni” e si raggiunge (simbolicamente) una sorta di armonia universale, quella del supposto “Uomo Universale”.  Il sincretismo che caratterizza la nozione “sapienziale” di tradizione sembra mirare allo stesso fine dell’ecumenismo professato oggi dalla Gerarchia cattolica:  il raggiungimento della pace nel mondo, dell’armonia universale nell’incontro di tutte le “tradizioni”, e quindi di tutte le esperienze religiose.  Un obiettivo che, come sappiamo, non solo non ha nulla in comune con il fine della vera Tradizione cattolica ma le si oppone frontalmente.

Paolo  Pasqualucci



[1] Su questo tema, cfr. R. Guénon, Il re del mondo (1958), tr. it. B. Candian, Adelphi, Milano, 1977, con abbondanza di particolari.  A giudicare da questo saggio, Guénon, che alcuni si ostinano a ritenere un autentico filosofo, sembrava credere effettivamente all’esistenza di un simile centro e dei relativi “superiori occulti”! Il mito di un centro occulto di sapienza primordiale o tradizionale che ha continuato a operare in segreto nei secoli, è caratteristico della “filosofia” esoterica.  Esoteristi quali Reghini, Evola e De Giorgio ritenevano, senza fornire alcuna prova, che “la tradizione pagana”si fosse sempre mantenuta in segreto in Italia, con i suoi riti ininterrottamente dai tempi antichi (sul punto:  P. Di Vona.  EVOLA E GUÉNON.  Tradizione e civiltà,  Società Editrice Napoletana, Napoli, 1985, p. 195).
[2] Sul punto, vedi:  P. Di Vona, op. cit., p. 113.
[3] G. De Giorgio, La tradizione romana, a cura di G. de Turris, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989, p. 91.  L’Autore sta appunto illustrando il paragrafo dedicato a La Tradizione primordiale, pp. 91-106.
[4] R. Guénon, Il simbolismo della Croce (1931),  tr. it. T. Masera, Rusconi, Milano, 1973, pp. 13-14.
[5] Dr. G. Toscano, La Sindone e la scienza medica, MIMEP – DOCETE, Pessano (MI), s.d., pp. 49-50.
[6] Guénon, op. cit., pp. 25-32, per tutte le citazioni.   Quest’interpretazone del simbolo della Croce deriva originariamente dall’Alchimia.  Vedi:  O. Wirth, Il simbolismo ermetico nei suoi rapporti con l’Alchimia e la Frammassoneria (1969), tr. it. di G. Del Ninno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1991, voce: La Croce.
[7] Op. cit., pp. 33-34.
[8] P. Di Vona, op. cit., p. 191.
[9] R. Guénon, op. cit., pp. 131-132.
[10] Op. cit., pp. 166-167.

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