giovedì 26 maggio 2016

CREDERE ALL'INGLESE WAUGH O A QUALCUN'ALTRO? (di Piero Nicola)

  Il celebre Evelyn Waugh, una dei massimi autori del Novecento, fu corrispondente di guerra a Addis Abeba e nel Sud dell'Etiopia per un giornale britannico durante il conflitto Italo-Etiopico del 1935; al termine del quale rimase per proprio conto nel Paese documentandosi sulle vicende belliche e sulle primissime fasi della colonizzazione. In precedenza, egli aveva percorso in lungo e in largo il Continente africano ed era stato in Abissinia, presente all'incoronazione dell'imperatore Hailé Selassié (1930). Nel 1938 pubblicò Scoop, un libello sul giornalismo dei cronisti di guerra, pubblicato da vari editori italiani (p.e. Bompiani, 1952) col titolo di L'inviato speciale. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e scrisse una trilogia assai controcorrente sulle sue esperienze militari, con osservazioni istruttive per la storia di quel periodo. Convertito cattolico, pubblicò la biografia del teologo convertito Ronald Knox. Morì nel 1966 all'età di 63 anni.
  Nel saggio Waugh in Abyssinia (Waugh in Abissinia, Sellerio 1992 e In Abissinia, Adelphi 2011) egli presenta un preciso quadro, ricavato da esperienze personali e notizie di prima mano, dell'impero etiopico dominato dalla razza del Negus imperatore Tafari. Dire che tale dominio fosse di carattere feudale, sarebbe un insulto al feudalesimo cristiano. Dire che si trattasse di una civiltà, sarebbe altrettanto sconveniente. La schiavitù vi era praticata ovunque e alla luce del sole. La presuntuosa xenofobia della gente abissina verso le popolazioni assoggettate e, in generale, verso gli stranieri era pure tangibile e innegabile. I governatori abissini e i loro gregari spadroneggiavano, con pugno di ferro e da autentici parassiti, sui territori dell'impero. I popoli soggetti erano oppressi da tassazioni esorbitanti, lasciati nella miseria e al di fuori del progresso. Una sola ferrovia francese collegava Gibuti alla capitale. Quest'ultima era per lo più fatta di baracche e capanne, lungo strade polverose o fangose. Le vie di comunicazione erano piste sovente impraticabili dagli automezzi. Specie i musulmani, sotto questo regime speravano nella venuta degli italiani, di cui conoscevano le colonie confinanti dell'Eritrea e della Somalia.
  Riguardo alle ragioni del nostro intervento militare, esse non mancarono davvero. Gli abissini avevano violato patti e promesse, a prescindere dai veri diritti umani da essi calpestati. Per iniquità decisamente minori (e spesso inesistenti) oggi si condanna e si fa la guerra, per esempio a un Assad. Va notato che la religione copta è del tutto eretica e scismatica.
   La campagna del nostro esercito, anche contro formazioni di guerrieri combattivi ed esperti, fu breve (sei mesi), ben condotta e la vittoria meritata. Le stragi di cui vennero accusate le nostre armate furono favole calunniose della propaganda internazionale antifascista. Così l'impiego e gli effetti dei gas furono quanto mai limitati. Waugh ebbe modo di documentarsi anche a questo riguardo. Nemmeno i famosi bombardamenti fecero stragi di civili e gravi rovine, anche perché c'era poco da rovinare, e subito tutto venne ricostruito, in attesa di edificare veramente.
  Quando la conquista non era ancora terminata, e subito dopo, i nostri lavoratori già costruivano strade camionabili solidissime e ponti di grande ingegneria, mai sognati in quel paese di una arretratezza indescrivibile, appena corretta dai recenti aiuti (soprattutto armi) di stati europei colonialisti, sovente disumani con gli indigeni, e iniquamente nemici dell'Italia. Il Waugh lo certifica ampiamente.
  Dunque fa specie che dopo ottant'anni, quando sarebbe l'ora di scrivere una storia seria, ci siano ancora nostri connazionali che, presentandosi come storici, ignorino queste realtà screditando quel tanto di buono di cui l'Italia può onorarsi.


Piero Nicola

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