venerdì 15 maggio 2015

AVIATORI ITALIANI (di Piero Nicola)

Franco Pagliano (Genova 1914 - Milano 1969), ufficiale pilota nel 1936, partecipò operativamente alla  guerra di Spagna e all'inizio del secondo conflitto mondiale, proseguendo a servire nell'Arma Aeronautica come giornalista; quindi fu capo ufficio stampa dell'aviazione della RSI.
  Egli volle colmare una lacuna nella storia delle belliche imprese aviatorie, e le riferì, inserite in succose biografie, scrivendo Aviatori italiani, edito da Longanesi nel 1964.
  "Ricordate questi nomi? Graziani, che combatté per cinque anni con una pallottola nella spina dorsale; Buscaglia, che era andato all'attacco di navi nemiche per trentun volte; Erasi, che colpì i due incrociatori Liverpool e Glasgow; Gorrini, che abbatté due quadrimotori nella stessa azione; Botto, che volava e combatteva con una gamba amputata; i due paracadutisti Daprocida e Cargnel, che in una sola azione danneggiarono numerosi quadrimotori su un campo avversario. Forse sì, ma le loro vicende appassionanti non erano mai state finora narrate o, per altri motivi, venivano addirittura poste sotto silenzio".
 Questo principio della presentazione, stampata sulla quarta di copertina del formato pocket (1969), promette ciò che è dal testo mantenuto.
  Le memorabili " vicende" formano quasi tutti i 24 capitoli del libro, quasi tutte eroiche e idonee a fornire interessanti soggetti cinematografici. Le avventure di impavidi, le dimostrazioni di abnegazione, di carattere, di nobiltà e di abilità, sono tanto più autentiche data la ben nota inferiorità numerica e, per lo più, tecnica dei velivoli mandati contro il nemico.
  Ogni reparto combatté valorosamente: i bombardieri, gli aerosiluranti, i caccia, i tuffatori (Stuka), gli apparecchi adibiti ai trasporti e ai rifornimenti. Nel 2004, la lodevole Casa Editrice Mursia, specializzata nel rendere giustizia ai nostri militari impegnati sui vari fronti, ha curato la riedizione di questa panoramica sulle glorie della nostre armi nei cieli di Libia, dell'A.O., di Albania e Grecia, di Francia, di Russia, di Tunisia e Algeria, dello Stivale e dell'intero il Mediterraneo, dal Dodecaneso a Malta e a Gibilterra.
  Il nostro cinema aveva pur rappresentato l'italiana atmosfera in cui ebbe a svolgersi il conflitto aereo, ma la diffidenza verso le trame di fantasia e il sospetto, del resto infondato, della retorica diminuivano la testimonianza degli avvenimenti che, viceversa, era più importante, per atti di valore e per estensione, delle storie cinematografiche. Tuttavia non si può dire che I tre aquilotti (1942), Un pilota ritorna (1942) protagonista Massimo Girotti, Gente dell'aria (1943) protagonista Gino Cervi, e Uomini e cieli (1943) siano state opere insincere o trascurabili. Quanto ai resoconti giornalistici, è nota la loro labilità sotto l'incalzare dei nuovi successi e dei nuovi smacchi.
  Nel 1957 il regista Giuseppe Masini girò Il cielo brucia, lavoro di pregevole fattura, sebbene composito,  interpretato da Amedeo Nazzari e Folco Lulli. Attraversate con ardimento ed encomiabili legittime iniziative le successive fasi della guerra, comandante e sottufficiale devono prendere partito davanti alla resa (armistizio dell'8 settembre '43) rientrando nei ranghi del Regno del Sud, oppure aderendo alla Repubblica del Nord. I due opteranno per la militare, fedele subordinazione al re, senza però disconoscere la scelta dei loro compagni, che decidono di servire l'onore d'Italia sul fronte opposto. Forse per la prima ed ultima volta, si osò portare così su uno schermo il dramma della Nazione spezzata in due e dei suoi volontari schierati forzatamente con gli eserciti stranieri contrapposti.
  Due battelli pneumatici alla deriva nella burrasca, non avvistati dai ricognitori del salvataggio, si incontrano recando a bordo, sfiniti, un pilota sudista e uno nordista. Il primo, abbattuto dalla caccia tedesca, rassicura il secondo, abbattuto dagli inglesi, circa la buona fede di entrambi. Gettati cadaveri sulla spiaggia, essi ricevono una stessa sepoltura, sulla quale il prete dice parole di pietà, auspicando che dal loro sacrificio nasca un germe di pacificazione nazionale.
  Descrivendo le vite degli aviatori sopravvissuti alla comune sconfitta e la loro ripresa delle armi, in numero quasi pari dalla parte della monarchia e dall'altra parte, l'Autore segue la medesima idea del trascendimento delle ragioni politiche. In effetti, lo spirito di sacrificio per la Patria e per la solidarietà con i compagni caduti pervadeva fin dall'inizio ogni comportamento, al di là del puro senso del dovere e dell'onore particolare, annullandosi  qualsiasi orgoglio suicida, qualsiasi disperato romanticismo. Nei diversi casi, si sente la bellezza della vita concepita per quello che è: un'occasione per spenderla bene, degnamente, nella sua ineludibile finitezza terrena. Non c'è retorica, al loro riguardo, nel detto: Chi muore per la Patria è vissuto assai.
  Purtroppo questo alto tema del superamento degli odi e delle partigianerie, toccato con garbata semplicità  da Franco Pagliano, non venne raccolto autorevolmente, cadde nel vuoto di un Paese avvilito dai rancori e dai bassi interessi. Neppure i piloti che, scampati alle raffiche e ai campi di prigionia, occuparono posti di rilievo nell'esercito della Repubblica o altrove nella società, poterono fare qualcosa perché avessero fine gli ingiusti ostracismi e la triste eredità della multiforme, disgraziata guerra civile.


Piero Nicola

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