Dovendo noi valutare un'eresia, non dobbiamo forse misurarla col male
che arreca ai fedeli e ai non cattolici? Non dovremmo considerarne gli effetti?
La Chiesa non avrebbe severamente condannato l'eresia, se fosse una tesi
teologica che lascia come li trova coloro che vengono a contatto con essa, o
suscita ripulsa e riso verso di essa, o addirittura è un mezzo per riconoscere
Dio. Quanto allo stabilire quando si tratti proprio di eresia, dev'essere una
dottrina capace di indurre in errore grave intorno alla fede, errore seducente,
che, adottato, conduce alla peccato grave e alla perdizione.
Prendo in esame la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, approfittando
dell'ottima disanima pubblicata su tale documento dal Professor Paolo Pasqualucci,
con particolare riguardo alle religioni non cristiane e agli uomini del mondo
su cui regna il maligno.
Riassumendo, è innegabile che il Concilio abbia usato sia l'omissione
sia l'ambiguità tendenziosa per spacciare per buona, ovvero per inculcare, una
dottrina eretica. Infatti l'Autore del saggio giunge alla conclusione obiettiva
che Nostra Aetate ha generato "un terribile errore della fede", per
cui ormai oggi si crede che, in ogni caso, tutti si salvino. Questo perché Dio
vorrebbe ciò, e resta inteso - grazie a omissioni e sottintesi, mai smentiti,
anzi ribaditi con magistero ed atti dell'ecumenismo - che il Suo volere si
realizzi. Vengono omessi, e di fatto vengono annullati, niente meno che i dogmi
della responsabilità individuale circa il peccato mortale, del Giudizio Finale,
che prevede la separazione tra eletti e reprobi, e della grazia largita a
tutti, che diventerebbe una grazia salvifica, anziché un ausilio.
La mala fede di questa operazione appare evidente. Come abbiano potuto
teologi, padri conciliari, pastori, porporati e occupanti del Soglio pontificio
compiere tali omissioni macroscopiche, ignorando i dogmi e le eresie
corrispondenti, non sortisce altra spiegazione. Se vogliamo credere a un
accecamento di alcuni di costoro, appare impossibile che ciò sia stato senza
colpa. Gli eresiarchi si diedero almeno la pena di elaborare teologie e
giustificazioni. Costoro, avvalendosi della propria posizione autorevole (per
quanto usurpata) nelle sedi ecclesiastiche, hanno potuto esimersi dall'operare
la riforma dogmatica che sarebbe occorsa, al contrario si sono rifiutati di
stabilire verità di fede.
L'adoprarsi affinché il fedele e il non cattolico siano sedotti dalla
convinzione della salvezza universale, è eresia peggiore di quella luterana
della salvezza mediante la fede fiduciale. Questo Vaticano fa supporre una fede
implicita ed efficace di tutti, sicché vengono aboliti anche i reprobi, i non
predestinati.
È molto giusto attribuire a Nostra Aetate "l'errore
pelagiano". Ma bisogna rilevarne l'eresia, predicata a partire dalle
encicliche di Giovanni XXIII, attuata e confermata con il credito morale e
spirituale prestato a eretici e atei, ritenuti in grado di compiere il bene
sufficientemente in virtù delle loro credenze (false religioni) e del loro
discernimento.
Piero Nicola
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