mercoledì 26 novembre 2014

PUSHER AND ESCORT (di Piero Nicola)

Pusher, escort… perché questa esterofila sostituzione di termini italiani d’uguale significato: spacciatore, prostituta?
  Che si tratti di un mero ricorso alla novità o a vocaboli nuovi perché quelli vecchi sembrano consunti e, scarseggiando gli equivalenti, per rinfrescare o rendere più varia e gradita la prosa, per stimolare e meglio intrattenere il pubblico, qualsiasi spiegazione non riscatta un atto ingiustificato e disprezzabile. Si avvilisce, chi usa i sinonimi inglesi o americani; si avvilisce, almeno nella leggerezza, chi li accoglie; ed è malsano il connesso intento di alleggerire del loro peso le cose più serie, quasi che davvero occorresse sdrammatizzarne la portata.
  Esprime bassezza il dare adito all’attenuamento delle debite definizioni, del significato proprio, di giusto biasimo verso le persone designate, come a proposito di pusher e escort.
  Colei che vende il più intimo della propria carne non è certo degna di mascheramenti e coperture, eccezion fatta per i casi in cui il riguardo o lo stile richiedono l’eufemismo. E quanti sinonimi garbati la nostra lingua ci mette a disposizione!
  Colui il quale si presta al commercio mortifero della droga e svolge l’infame lavoro del fornitore di sostanze tossiche, deve essere designato con la parola tonda e da tutti ben comprensibile nella sua gravità.
  Alla stessa stregua, è riprovevole l’esterofilia che chiama etnico ciò che è straniero e considera ricchezza l’impoverimento causato dall’importazione di culture estranee e da un commercio sprovveduto con esse, così contribuendo all’alienazione del nostro patrimonio più importante, quello tradizionale.
  Che dire del job acts, della spending review? Sono abdicazioni dal trono della nostra lingua, sono un rinnegamento del Bel Paese… dove il sì suona, e sono insieme formule escogitate da gente che si spaccia per aggiornata sul piano cosmopolita mondiale, formule per tirare il popolo su quel piano e metterlo in soggezione facendogli digerire la sostanza dei provvedimenti governativi: leggi sul lavoro posto alla mercé del mercato piratesco e tagli ad eque spese di provvidenza sociale.
  Del medesimo disegno distruttore del tessuto civile e della distillata eredità culturale fanno parte l’aver cambiato zingaro in rom, per dare allo zingaro una dignità prima negata, l’aver introdotto gay, che suona così allegro e felice, al posto di pederasta o sodomita, da sempre sinonimi di individui riprovevoli per bocca della Rivelazione (San Paolo), di Dante (Inferno) e nella mente del comune sentire.
  Si cominciò dalle oneste sostituzioni di domestica al poco gentile serva, di netturbino a spazzino, per passare alla colf (collaboratrice familiare), all’operatore ecologico, dove già si nascondeva l’abuso: una dipendente salariata non è una collaboratrice, un salariato addetto alle pulizie nei luoghi pubblici non acquista, grazie al suo mestiere, una distinzione ecologica.
  Cominciando con lo screditare la debita severità dei preposti alla morale, alla custodia del Sacro Deposito della Fede, all’esegesi dei Padri e della Chiesa, si commise di certo il maggior danno. A ciò tenne dietro l’irridere i custodi dell’italiano, i puristi e i membri autentici dell’Accademia della Crusca. L’imbarbarimento del linguaggio, la decadente miseria delle arti furono paga e connotati della  licenza posta in alto. Ora, lo sbracamento e il malo uso sembrano non aver fine.
  C’è da chiedersi come mai l’aberrante teoria, che vuole ci siano normali inclinazioni sessuali oltre a quelle date da Madre Natura, si chiami del gender anche a casa nostra? Semplice, si dirà, viene dai paesi avanzati, anglosassoni. Certo, nessuno si è sognato di tradurre gender. D’altronde, certe cose è meglio che qui, per adesso, restino un po’ avvolte in una nube esotica e autorevole, una nube compagna di quelle emanate dall’augusto Palazzo di Vetro.
  Poi, i giovani di belle speranze a che mirano? Che diamine! aspirano a uno stage (tirocinio) oppure a conseguire un master (specifico titolo accademico).
  I dizionari non si fanno scrupolo di ospitare, con tutti gli onori, questi lemmi stranieri e i forestierismi. Per esempio, da test (saggio) abbiamo il brutto verbo italianizzato testare (verificare, provare, sperimentare), e da monitor (schermo, schermo di controllo), monitorare (controllare, controllare elettronicamente).
  In italiano occorrono più parole per esprimere certi significati? Perché non ci si è data la pena di  trovare espressioni sintetiche nostre e soltanto nostre, come sapevano fare un D’Annunzio e linguisti immaginifici suoi pari.
  La soggezione alla parlata altrui è una perdita d’indipendenza, è una soggezione culturale, una diminuzione della propria civiltà. - Gli orgogliosi francesi hanno definito il computer ordinateur.


Piero Nicola

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