venerdì 26 dicembre 2014

LA DISGRAZIATA MODERAZIONE (di Piero Nicola)

Il saggio ammonimento in medium stat virtus lascia il tempo che trova, è indicato entro un normale status quo, dove buon senso e dirittura vengono onorati e ripagati.
  A Roma repubblicana la massima potestà era commessa ai due consoli; ma quando compariva uno stato di emergenza, si nominava il dittatore. Che c’è da ridire? Il paziente sotto cura (il consorzio civile è metaforicamente tenuto in piedi da una legislazione medica e da sanitari che l’applicano) correndo il rischio di aggravarsi, necessita dello specialista e del ricovero.
  Adesso navighiamo tra gli scogli, sconquassati e traumatizzati. Ci vuol altro che i rimedi pei comuni scompensi di salute!
  Alcuni capi politici si sono resi conto dell’impossibilità di governare efficacemente e del bisogno di riforme costituzionali che assicurino all’esecutivo il sostegno d’una stabile maggioranza parlamentare. Formalmente, si comporrebbe di eletti che approvano l’incarico di Presidente del Consiglio conferito ad un prescelto dal Capo dello Stato, e che lo mantengono per cinque anni (periodo congruo). Si tratta di fare rispettare le leggi e anche di legiferare pro tempore (decreti legge), mentre, in parlamento, la medesima maggioranza legifera. Ne consegue che l’accordo tra deputati e senatori col Capo del governo dovrà essere unanime per svolgere una stessa politica; e così potrà avvenire, essendo il primo ministro, come già succede, il segretario del partito principale, da cui dipende la maggioranza legislatrice. Allora, sarebbe meglio che la Camera e il Senato avessero un’autorevole funzione consultiva e propositiva, anziché attuare, di fatto, una mera esecuzione di disposizioni emanate dal partito.
  I grillini hanno cercato di gridare al colpo di mano autoritario concepito da Renzino e Berlusca. L’allarme è stato assorbito dalla tacita censura cui aderiscono i mezzi d’informazione e, secondariamente, dalle prevenzioni inculcate nella massa. Ha funzionato in questo caso, tra i diversi in cui la realtà alzerebbe la testa, il tirannico meccanismo composto di libertà false e corruttrici, di corruzione controllata per la miseria morale e materiale, di plagio e duro asservimento, cui fa da sponda una religione pervertita.
  In pratica, il sistema progettato da Renzi e Berlusconi - a prescindere dal cattivo uso che ne farebbero - equivarrebbe a una dittatura rinnovabile. Se essa fosse svigorita dalle fazioni partitiche in disaccordo, dall’uso politico della magistratura, da un’interferenza indebita esercitata dal Capo dello Stato, se fosse alla mercé dei poteri forti nazionali e sovranazionali europei, e dei più potenti stranieri, tutto ciò non toglie che si ritiene indispensabile, per uno Stato efficiente, un regime che vale una dittatura.
  Non sono d’accordo specialmente i babbei, gli infrolliti o gli avventurieri, i quali si riempiono la bocca con la democrazia e col dialogo, considerati toccasana. Condizionarsi a vicenda, spartire la potestà, confrontarsi, ascoltare le opposte opinioni, convinzioni, ragioni, sarebbe la panacea, arricchirebbe le menti, aiuterebbe a crescere, a risolvere. Fanfaluche. La giovevole moderazione non è questa.
  Ma fa funzionalità occorrente non basta. Serve sottostare alla riconosciuta vera filosofia.
  Il dialogo, nel migliore dei casi, significa compromesso. Si fanno compromessi accettabili nella rettitudine e condividendone i principi. Con l’iniquità prepotente e la fraudolenza il compromesso non paga. Sicché l’ordine democratico dei poteri che si controllano e limitano l’un l’altro avrebbe qualche possibilità di successo sottostando a una costituzione che esattamente piacesse a Dio, mettendo al bando ogni legge immorale. La meta, nella presente situazione, è affatto chimerica.
  In genere, il dialogo si risolve in una recita da cui gli intervenuti intendono trarre vantaggio. Tuttavia ha la meglio il più forte dei dialoganti; e non ne sortisce ombra di miglioramento, data la risma cui appartiene il più forte. Che essi si parlino e trattino così, mostra le relazioni rispettose fra il meno peggio e il peggio, ovvero l’inganno in cui casca il migliore, che credeva di ricavarne un vero beneficio. Però il migliore resta tale soltanto in rapporto all’iniquo: iniquo anch’egli finché riconosce l’indegno un suo pari, finché gli tributa la stretta di mano. E tale è la scena che si offre ovunque si volga lo sguardo. Per ironia della sorte, gli unici che ogni tanto e in qualche regione del globo rifiutano di dialogare, sono personaggi sforniti di verità e di connesso buon esempio da difendere.
  Il precetto religioso del dialogo – sconosciuto, prima che aprissero bocca gli ultimi signori andati a sedere sulla Cattedra di Pietro – questo comandamento in sostituzione del divieto di trattare coi sordi in quanto al loro errore, propagatori della lebbra eretica, questo nuovo imperativo consacrato, incontrastato, furbamente laicizzato dal mondo e dai preti suoi tirapiedi, denota il deserto di virilità spirituale e di speranza.
  A scanso di equivoci, lo stare in pace dialogante, che ho descritto, non c’entra nemmeno un po’ con la scelta d’un male minore accettato senza compiere un atto intrinsecamente cattivo, e perché altrimenti ne verrebbe un danno maggiore. Oh no, nessuna giusta causa che regga, per l’abiezione da cui siamo circondati e soffocati da oltre cinquant’anni!
  Anche le destre non poco contraddittorie fra di loro, con corto buon senso, con tradimenti del cattolicesimo e concessioni al nemico che iniettano il marcio nell’albero della vita, con le loro soluzioni realistiche, per cui dicono di non voler gettar via il bambino insieme all’acqua del bagnetto, o timorose che il popolo non sia maturo per certe proposte e ripensamenti, queste destre hanno perso la bussola, operano correzioni volatili, danno una mano al liberalismo e al perdurante capovolgimento.
  Qualsiasi composizione di strutture che trascuri la chiave della volta, il vertice unico dei riferimenti, sparge concime nel selvaticume e tra le piante allucinogene. La stella polare è una e una sola: il predominio incontrastato dello spirito veridico. Il buon intenditore può capirne anzitutto l’utilità, quella delle cose integre, degli strumenti idonei, ben temprati. Egli individuerà nella Chiesa tradizionale il fondamento, e nel clero aggiornato la dissoluzione. Gli altri, condotti ad aderire alla decisiva efficienza instaurata, fatta passare in una forma democratica in barba ai contestatori, ai liberi denigratori e ai poteri ostili, finirebbero per accogliere l’alta mira del risanamento, come sta un poco accadendo in Russia, in Ungheria, e come forse domani avverrà in Francia.
  Il disegno non sarebbe troppo campato in aria, se nei primi partiti italiani entrassero delle brave teste intelligenti e non emergessero dei Pierini.
  

Piero Nicola 

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