lunedì 29 dicembre 2014

LA PARIFICAZIONE DI VENERE E DI MARTE (di Piero Nicola)

Non scende la notte prima che nella parabola del giorno sia celebrato il dogma più balzano, progressivo e gravido di contagiose malattie deformanti: l’uguaglianza dei sessi. Freschi adeguamenti, che intrattengono i cervelli e li mantengono desti – ché altrimenti potrebbero tediarsi e avviarsi da soli a un risveglio balsamico e guaritore – giungono tendendo a una piena soddisfazione dell’indefinita, dogmatica richiesta. Completamento via via più ubriacante, inarrestabile come un carro in discesa col freno guasto, su cui si tiene fermo per un credo fanatico.
  Si pone dunque la necessità d’una passione - voluta dai disgregatori professionisti – perché sia oscurata l’evidenza. L’evidenza sarebbe alla portata degli sciocchi, e però tanto i semplici quanto gli smaliziati appaiono talpe che hanno portato la materia grigia all’ammasso, reso in pratica coatto.
  L’evidenza canta e grida che la donna è creatura profondamente differente dall’uomo: nel fisico, nelle sue funzioni, del tutto in quella procreativa, e quindi nelle elaborazioni mentali, in svariate attitudini.
  L’asino può fare quello che fa il cavallo, la mucca lavora e può sostituire il bue. Nondimeno, chi se ne servirebbe indifferentemente, chi li metterebbe in competizione attaccati al calesse o all’aratro? Né sarebbe venuto in mente al molitore far servire alla mancina una mucca o uno stallone. Nessuno adibirebbe alla guardia un cane bassotto, e nemmeno un bracco. Un babbeo metterebbe le giumente nel recinto dei tori.
  Tuttora alle olimpiadi gli atleti gareggiano separatamente dalle atlete. Ma questa distinzione non insegna nulla all’egualitarismo, accecato e dispotico tale quale il razzismo forsennato. I diritti all’uguaglianza immaginaria sono Furie inviolabili e tremende. Le disattenzioni popolari si spiegano. Lo scomodarsi, il timore e la bramosia sono sufficienti a determinarle.
  “Non siamo animali” dicono i modernissimi: gli stessi infatuati della derivazione dell’uomo dalla scimmia… “Badiamo alle capacità intellettive più che al corpo” rispondono, ripetendo la lezione, quelli che mirano all’equivalenza delle proprietà corporee maschili e muliebri, alla confusione degli attributi genitali, e vagheggiano la nascita dei bambini anche dal ventre paterno. Consentono volentieri che nella donna c’è una parte di uomo, e nell’uomo una parte di donna, però non ammettono che si tratti di proporzioni ben contenute per operazioni definite e distinte: pretendono che esse siano mutevoli, mutabili sino alla loro inversione in uno stesso individuo. Ad ogni buon conto, vogliono che la presunta potenzialità femminile in colui che ha la parte attiva nell’amplesso e la potenzialità maschile in colei che vi ha la parte passiva, siano tali per cui entrambi abbiano la stessa idoneità a ricoprire gli stessi ruoli. Anime candide disposte alla perversione, o pervertite senz’altro!
  Che il criterio sia andato sotto terra, sotto la venerazione del sofisma meraviglioso, non crea meraviglia, quando in ogni specialità dell’esercito e nelle polizie è stato arruolato il gentil sesso, per le medesime mansioni e carriere, con una promiscuità inutilmente perturbatrice.
  Da un po’ di tempo ci inculcano che tutti possono scegliere l’orientamento sessuale e persino gli attributi del sesso che più loro aggrada. Pertanto il gender è una scelta, non un destino. Che il genere (maschile, femminile o diverso) abbia un nome inglese la dice lunga sulla nostra indipendenza culturale e non solo.
  Signore e signorine sono ammesse, ricevute con molte scuse per il ritardo, nella pattuglia acrobatica dell’aeronautica. Ci furono signore assi dell’aviazione. Lo sappiamo. Quando la scuola era ancora una cosa seria, vi risonava l’avvertenza per la quale l’eccezione conferma la regola, talché la regola era la normalità, era la norma. E, prima del tetro appiattimento e dell’intercambiabilità sollecitata dal crepuscolo calato su di noi, costituiva una stranezza accertabile con la demoscopia, la propensione di una maschietta a intendersela ugualmente con i giovanotti e con le ragazze.
  Hanno fatto la loro figura statisti femmina, regine con i c… Quante? Generalmente avevano l’aspetto di virago, epiteto molto eloquente. Come può una donna che assomiglia a un uomo rappresentare la femminilità? Come può colei che brilla nelle prerogative del suo sesso avere quelle virili della viragine?
  Un mentecatto vagheggia e auspica che le distinzioni sfumino in un tipo androgino. Per quanto esse si manifestano all’esterno e, per riflesso inevitabile, interiormente, esiste una dissimile capacità di svolgere determinate funzioni e compiti della vita, in cui torna a rifulgere l’eccellenza dell’uno o dell’altro. Soltanto il desiderio di un degenere livellamento può intendere una siffatta convergente assimilazione.
  Il disdegno per il concetto di normalità, l’apprezzato estendersi dell’anomalia, alla normalità fanno un baffo. Essa vendica le offese. Poiché gli spregiatori del normale sono nel contempo democratici che hanno in antipatia l’ordine generale - deridendomi se dico di preferirlo al disordine e di anteporre la pulizia al sudiciume - la Natura infila nella sregolatezza anzitutto mentale di questi individui tanto disordine e schifo, che essi ne escono inebetiti e davvero malconci. Ed è per la forza intrinseca dell’integrità che si può sperare nella vittoria. Essa, alla lunga, prevale. La Storia mostra la vicenda dei popoli decaduti soppiantati da popoli maggiormente sani. Se non ci sono barbari che premono ai confini, la salute dei primi cristiani nati in seno all’Impero pagano debellò i dissoluti prima ancora delle invasioni barbariche.
  La prossima buona nuova sulla sacra parificazione dei sessi verrà dal colle Quirinale con le corazziere.
  Vi sovviene la regola delle quote rosa, serissimamente approvata, oltre che da trepidanti demagoghi, da fior di giuristi? Per questo mondo proprio non c’è futuro! Tradotte in parole povere, le quote rosa riducono a carta igienica i papiri della giustizia che premia il merito, e sfregiano le tavole dei titoli, dei punteggi, degli esami in base ai quali si assegnano i posti e le cariche. Non siete riuscite a piazzarvi con le vostre forze e la vostra perizia? Ciò poco importa rispetto al diritto di rappresentare il vostro sesso in questo o quell’esercizio delle responsabilità.
  Abbasso il nepotismo! A morte i favoritismi largiti dietro un tornaconto! Via questo tarlo insinuato nell’efficienza sociale! Frasi per farsi belli…
  Evviva l’ingiustizia legalizzata, rivolta ad accrescere il proprio elettorato!
  Per lo meno, nepotismo, clientelismo, compera dei voti, debbono avvenire copertamente e con qualche rischio.
  I ragionevoli mi inviterebbero a ragionare. Meschinelli: ignorano che le dosi appropriate ad un impasto, le quantità fissate dalla ricetta entro dati limiti, sono indispensabili a farlo idoneo al suo scopo, e che per ottenere lo scopo, per avere un organismo efficiente è necessario che sia ben dosato. Sarebbe stupido credere che se un corpo ha i muscoli affogati nel tessuto connettivo, e un altro, al contrario, possiede una muscolatura prominente e prevalente su quel tessuto, ciò sia un accidente trascurabile. E come sarebbe possibile che a un organismo congegnato per concepire, partorire, allattare, non corrispondano un adattamento e una consonanza di tutte le altre sue facoltà, dalle più grossolane alle più fini?
  La femminilità forma la donna. Ė proposizione lapalissiana. Nevvero? La femminilità si compone di attitudine alla maternità, che non rampolla soltanto durante la gestazione e il primo allevamento del figlio; si compone di particolari attrattive, di una grazia, bellezza e gentilezza peculiari, che improntano i caratteri umani: grazia, gentilezza e delicatezza dell’intera persona o personalità. Se questa agisce comprimendo le sue virtù, esaltandone altre non proprio sue, non confacenti alle prime, si snatura. Il che avviene ogni qual volta si impone di agire emulando l’essere suo complementare, l’uomo.
  Raccontiamo una balla sostenendo che lei non si snatura imitandolo, per esempio nel lavoro, nella professione, e che, siccome in lei possono convivere diverse nature, ella, seguendo il comportamento mascolino, non compromette quello proprio. Lo sforzo muscolare smodato, l’eccessiva pratica del comando, la troppa applicazione della razionalità, dell’analisi, del raziocinio - a prescindere da una certa inettitudine rispetto al maschio (filosofe, teologhe, pittrici, drammaturghe, compositrici di vaglia sono mosche bianche, anche dopo l’emancipazione e decenni di pari opportunità, mentre ci furono pregevoli scrittrici e poetesse) - sono abusi che rompono un equilibrio con uno sviluppo improprio. Che il cervello femminino funzioni diversamente da quello maschile è pure assodato dalla sperimentazione.
  So di convincere poco i fautori di un’emancipazione inarrestabile. Le passioni ricalcitrano. Le donne dissimulano bene, vittime dell’orgoglio; ammettendo la diversità delle loro attitudini, avrebbero l’impressione di dichiararsi inferiori. Arrivano a mostrarsi attente al calcio e tifose, quantunque vi sarebbero indifferenti. Non dico tutte, ma tante: rendendosi schiave d’un pregiudizio. E questo, benché nessun ragazzo o signore cerchi di segnalarsi nelle attività e manifestazioni in cui alla fanciulla e all’adulta è dato di distinguersi, non preoccupandosi costoro d’essere da meno. Manifestazioni, ben inteso, virtuose: la pazienza, la moderazione, la dedizione, l’abnegazione, una tal quale capacità di sintetizzare intuendo, oltre al ricamo, alle cure e al buon gusto della casa. Ma, essendo in ribasso le virtù come le differenze, sono neglette anche le mirabili disposizioni dell’animo muliebre.
  Le passioni chiariscono a iosa la sforzatura con cui le figlie di Eva fanno gli uomini e rivaleggiano con essi, rinunciando ad essere fedeli a se stesse per l’illusione di poterlo fare partitamente grazie alla loro polivalenza, per l’impressione di non rimetterci, di non rinunciare a nulla. Le promozioni dei prodotti commerciali magnificano la libertà della giovane d’essere quella che desidera, tutte le donne che vuole. La versatilità del bel sesso, unita alla sua vena di atteggiarsi e recitare, trae facilmente in inganno: essa ha confini che non vanno oltrepassati. E mi riferisco a conseguenze nell’indole prima, non ancora alle ricadute morali.
  La spiegazione dello sconfinamento abituale verrebbe troppo facile deducendo che il sesso debole si è snaturato essendosi snaturato quello forte, che ha smesso di tenere alto il suo ruolo. C’è molto altro.
  Mi rifaccio dalle suffragette, dai moventi di chi si cimenta e ambisce ad affermarsi al di là delle sue doti e delle sue forze. Essi sono comuni nel genere umano. La spinta si deve all’amor proprio, a invidia, avarizia, a questi vizi capitali. La velleità sta acquattata e pronta nell’intimo di ciascuno. Insoddisfatti della propria condizione, eccoci preda della vanità, che porta a voler essere maggiori di quello che siamo, per cui rinunciamo ad essere noi stessi. Cedendo al peccato e viziandosi, l’uomo non si contenta, non trova il cibo immateriale al di fuori dei suoi eccessi. Quando il mondo gli porge i dolciumi ben poco immateriali, egli vi si butta sopra voracemente.
  Così, dal momento che alla donna è dato di fare l’uomo, e fare la donna non le basta essendoci riuscita in modo insoddisfacente per difetto di virtù e di condizioni favorevoli, essa si impegna, si accanisce a uguagliare il suo complemento in ciò che egli compie e raggiunge per innata dotazione; sembra persino che lo superi, recando, nella sua costanza, le malizie e le intuizioni che le sono connaturate, che in un mondo effeminato hanno successo.
  Non le è bastato nemmeno essere desiderabile e desiderata. Il progetto d’essere madre, di accasarsi diventando padrona nelle mura domestiche, tra i suoi ninnoli, le sue piante, i gioielli e i generi di abbigliamento, questo disegno dapprima l’impaurisce, vi premette gli eccitanti divertimenti, il lavoro, una vita sessuale quasi maschile. Ma quando ha concretato il progetto, si trova da capo. Ė dura, specialmente con gli specchietti per le allodole che stanno in giro, è durissima riuscire in quell’antica missione, intera o attenuata, spartita con un marito presto e sempre più difettoso. Per farsela andar bene, bisogna spaziare, progredire, evadere, pur tenendosi la conquista conseguita con la casa.
  Quando una non si contenta di quello che ha, non le saranno sufficienti né il poco né il molto. Allora si persuade di poter riuscire in ogni sua inclinazione, ma d’essere impedita specie dall’esterno, defraudata nei suoi diritti; è certa di dover lottare per avere quanto le spetta e dimostrare la sua validità. Strano che per millenni non abbia trovato il vigore con cui imporsi, che soltanto adesso lo esplichi.
  Le cose stanno così: tanto più la donna si conduce da quello che non è, tanto più si dissipa e rovina famiglia e società.
 Intervenendo la seconda legge delle conseguenze, dopo la legge per cui le forzature delle attitudini producono una menomazione intrinseca, si tratta di fuggire le occasioni prossime del peccato. I positivisti dovranno ammettere che la Chiesa non le paventò a sproposito. Vogliamo chiamare il peccato un errore, di noi soggetti a sbagliare? Compaiono gli effetti indesiderabili di sbagli e cedimenti. Siamo influenzabili dalle circostanze, e compaiono le circostanze che inducono a fuorviarci.
  Ora la donna è un boccone molto ghiotto. Un boccone, se così si può dire, suscettibile di voler essere mangiato, addirittura di innamorarsi del mangiatore con cui spartisce ore lavorative, e che avrebbe potuto restare un estraneo. Anch’egli può essere preso d’una data pietanza, che non è il solito pasto. Situazione consueta, inutile nasconderselo. Se i due non stessero lunghe ore insieme, mancherebbero le occasioni. Diversamente, messo il bocconcino tra gli affamati, per virtuoso che esso sia, per onesti che siano loro, le complicazioni non mancheranno. Ne derivano famiglie disfatte, prole inadattabile alla risistemazione.
  Concludendo con l’impegno esterno della donna - che deve operare anche all’interno e provvede ai figli in modo speciale - esso forma un onere gravoso che costringe a trascurare le creature uscite dal suo seno. Invece la filosofia che va per la maggiore sollecita la poverina a mettersi alla prova, a trovare tempo e energie per non lasciarsi sfuggire qualsiasi personale realizzazione.
  Esulando dalla nostra morale religiosa – intendo quella autentica, predicata e in vigore fino a sessant’anni fa – e andando ad attingere altrove, alle filosofie consacrate dell’Oriente, dovremmo dirle altrettanto vane quando parlano della brama, mai sazia e bestiale, che andrebbe distrutta e da cui solo i monaci riescono ad affrancarsi, o quando consigliano di stare attenti a mettersi in grado di agire con la facilità propiziata dalla modestia. Infatti non c’è chi tenga in soda considerazione la saggezza di Budda o di Confucio. La brama si estende ovunque, e nella donna sedotta dalle sue possibilità, da chi le decanta, provoca metamorfosi inconfondibili ed esiti singolarmente gravi. Tra questi va ricordata l’indegna e traumatica manipolazione della funzione procreativa e dei suoi frutti. Sintetizzo così non scendendo nel dettaglio degli espedienti anticoncezionali, abortivi, di concepimento e gestazione, e dei loro rimorsi. Essi dipendono assai dalla cosiddetta facoltà delle interessate di disporre di sé, che, se fosse buona, non violenterebbe la predisposizione a concepire la vita e non l’ucciderebbe.
  Gli uomini si sono indotti a considerare precarie le unioni destinate a durare e a essere preservate dalla lesione dei tradimenti. Porte aperte a uomini e donne. Li tiene vivi sentirsi liberi da un vincolo perenne, l’evenienza d’essere eccitati e messi in condizione di fare esperienze imprevedibili, gustosissime, di imbattersi nella scarpa davvero adatta al loro piede, di potersi levare quella che vada loro stretta. Quand’anche debba dolere nel loro intimo la piaga di tale instabilità, non osano desiderarne l’abolizione e rinunciare al fatidico progresso, che ne verrebbe coinvolto irrimediabilmente.
  Le donne, poi, maggiormente tradiscono, tradendo il loro essere conservatore.
 
Piero Nicola


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