mercoledì 27 aprile 2016

IL FENOMENO TRUMP (di Piero Nicola)

Non ho difficoltà a confessare di non aver mai dubitato che, quando fosse sorto un capopopolo nel mondo occidental-democratico, specie in quello presente, non ce ne sarebbe più stato per nessuno.
  Il caso Donald Trump credo mi dia ragione. Forse non diventerà presidente degli USA, forse lo faranno fuori - non sarebbe affatto la prima volta in America - ma un uomo solo si è procurato un enorme seguito di massa ed è suscettibile di balzare al comando nella patria della democrazia, con idee ben poco conformi ad essa e contro il suo stesso grande partito dell'alternanza al potere.
  Evidentemente gli americani ne hanno abbastanza di chiacchiere, di stare nelle turpitudini, di ingrassare la cerchia dei signori regnanti a Wall Street, di illudersi di poter diventare ricchi e felici, di sorbirsi l'olezzo del putridume internazionale in cui ha larga parte il loro governo, di ospitare genti che fanno miscuglio anziché fusione. Questa stanchezza disillusa la si vide fin dagli anni Trenta, martoriati dalla crisi del '29. Tanti yankees, non solo intellettuali,  crederono nel socialismo e nel comunismo, ideologie contrarie agli ideali dei Padri fondatori e della felice libertà, assai vicina a quella del buon selvaggio, al mito inaugurato dal Rousseau. Già essi avevano fiutato l'imbroglio ordito dalle massonerie plutocratiche. Contrariamente a quello che si suol credere, il termine plutocrazia non venne quasi coniato da Mussolini: aveva un proprio libero corso negli Stati Uniti, durante le controversie sociali al tempo del presidente Roosevelt. In seguito, dopo la vittoria militare, represso il conato comunista, l'orgoglio americano poté riprendere un certo lancio; e soprattutto dopo la batosta presa in Vietnam, fu alimentato dallo sbrigliamento dei costumi. Ma i vizi e di disordini, coronati come diritti umani all'avanguardia, a lungo andare conducono a sazietà in un mondo asfittico e mefitico. Non si vede che cosa ancora si possa inventare per pascere le voglie e i dubbi sentimenti della gente, che si ritrova più misera di prima.
  Questi, i prodromi verosimili dell'ascesa del pettoruto tribuno repubblicano, che promette di rimettere le cose a posto e di rinverdire qualche gloria perduta.
  Tuttavia sarebbe errato ritenere che l'occasione per i capipopolo debba essere una seria crisi. Il mondo, senza una generale mobilitazione dovuta a un'emergenza (guerre, minacce alla sussistenza) è sempre in aspettativa di star meglio. Rari sono i grandi capi e pochi quelli buoni. Quelli minori, che vorrebbero mettere ordine, sono battuti dalla demagogia concertata dai vari professionisti della corruzione politica, che li accusano di populismo, d'essere illiberali, di alzare muri contro le benedette turpitudini e la cara babele deleteria, offerta, dai veri populisti, al buon cuore delle coscienze zoppe.
  Così, in tempi relativamente normali, in Francia, acquistò autorità il mezzo autocrate De Gaulle - un male minore come statista - che fu costretto a mettersi in pensione con le pive nel sacco. Di certo, era già anziano, ma, con un'altra fine, avrebbe potuto contrastare e ritardare lo sfacelo morale e l'assurda UE col suo oscuro prepotere.
  Nel pelago infestato dai bucanieri, in cui navigano le laiche barche-stato, sarebbe comunque vano aspettarsi che resista a lungo il vessillo con la croce, inalberato su qualcuna di esse da un capitano mortale. Soltanto l'imperscrutabile Provvidenza potrebbe diffondere un'epidemia di Fede (per meriti imprevedibili) che imponga il rispetto di Dio.   


Piero Nicola

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