sabato 24 giugno 2017

JO, EL REY (di Piero Nicola)

Ritratto di Bruno Cicognani
di Oscar Ghiglia
Del grande scrittore sepolto nell'oblio, Bruno Cicognani, serbavo un ricordo delizioso grazie a Villa Beatrice (1931) e a La Nuora (1954). La lettura d'un articolo di Papini mi ha fatto incontrare il Cicognani drammaturgo, che diede alle stampe Jo, el Rey (1949) ristabilendo la verità storica su Filippo II, in particolare sulla tragedia che coinvolse il re, suo figlio Don Carlo e la regina Elisabetta di Valois. La vicenda sarebbe nota. Il bigotto e tirannico monarca spagnolo sposò la principessa francese, già promessa al principe Carlo, del quale ella poi s'innamorò. Filippo volle che il figlio fosse accusato di alto tradimento per aver cospirato con i fiamminghi, ordito il parricidio e messo gli occhi sulla regina. Don Carlo ritorse le accuse contro il genitore mendace, geloso e dispotico, il quale lo fece morire in carcere.
  "Quando la gente comincia a urlare 'al lupo, al lupo'," esordisce Papini nell'articolo, "non c'è la peggio. Persino un can da pagliaio può sembrare, agli occhi degli impauriti, un feroce sgozzator di montoni. E la bugia, quando si cristallizza in leggenda. e la leggenda vien trasfigurata dai poeti, ha le gambe assai più lunghe della storia.
  "Questa disavventura postuma è toccata anche a Filippo II", figlio di Carlo V.
  Di già, non c'è barba di storico che possa mantenere un punto di vista oggettivo e neutrale, ma sovente nemmeno i fatti storici vengono trasmessi dai puntuali addetti ai lavori: essi giungono ai posteri attraverso sentimentalismi, dicerie faziose e interpretazioni di artisti (narratori, drammaturghi, musicisti, pittori, ecc.)
  Sappiamo bene che lo scrittore che riproduce un importante evento civile approfitta delle lacune dei documenti e delle testimonianze per il componimento, soggetto alla sua mentalità, alle sue passioni, alle sue credenze, ovvero a una propria tesi. Tuttavia non gli è lecito alterare i fatti producendo un falso storico, tanto più quando gode di vasta notorietà e di prestigio, come Vittorio Alfieri, che scrisse Filippo, come Federico Schiller, che scrisse Don Carlos e come Giuseppe Verdi, che musicò un libretto composto seguendo il dramma del poeta e filosofo tedesco. Se possiamo considerare leciti pretesti letterari le vicende di antichi personaggi, quando le propensioni e gli intenti degli autori siano assai palesi, si tratta invece di frode e d'inganno presso gli studenti e il vasto pubblico la falsificazione operata dagli autori suddetti. Del resto essa è conforme alle loro vite sregolate e immorali. Però il discredito dovuto al cattivo esempio non tolse loro la fama di pensatori e artisti eccelsi.
  Il celebre nobile piemontese che si faceva legare alla sedia per applicarsi al suo lavoro, e che dichiarò "volli, fortissimamente volli", fu un seduttore di donne sposate e un debole pensatore, che dovette ricredersi su una serie di cantonate ideologiche, che andarono dall'affiliazione alla massoneria all'ammirazione per la Rivoluzione francese. Schiller, cresciuto luterano, e romantico al pari dell'altro, fu insofferente dell'autorità, disertò dall'esercito, falsò la fine di Giovanna D'Arco. Invero dalle penne famose infatuate di sé, obbedienti alle leggi e agli effetti della creazione letteraria, non c'è da aspettarsi sincerità e veridicità. Manzoni non sarà stato parziale prendendosela con gli spagnoli? Shakespeare almeno si attenne alla dialettica magnifica, senza essere troppo partigiano, né rivoluzionario né conformista.
  Tornando al dotto Papini, riferisce che "quando il Gachard pubblicò, nel 1863, i documenti di archivio che rimettevano a posto le cose e distruggevano in ogni sua parte la truce leggenda inalzata alla poesia dall'Alfieri e dallo Schiller, il vecchio Saint-Beuve scrisse uno dei suoi lucidi articoli che concludeva con un malinconico monito agli scrittori di teatro, i quali, secondo lui, ora che la scienza storica aveva parlato, non avrebbero più potuto trar materia di drammi, come tanti loro predecessori d'ogni paese, dalle fantastiche vicende di Filippo e di Don Carlos".
  Riguardo a Jo el Rey, veniamo a sapere che "non è il frutto di una improvvisazione. Bruno Cicognani ha meditato e maturato il suo tema per venti anni, memore del detto che il tempo non rispetta quel che fu fatto senza di lui." Egli "ha osato comporre un dramma su Filippo e Don Carlos, seguendo fedelmente, e a volte troppo minutamente, la storia vera ed è riuscito a fare opera che ha già trionfato sulla piazza del Duomo di San Miniato, in quattro sere d'agosto, e che resiste felicemente anche alla lettura." "A San Miniato gli applausi crebbero di sera in sera, specialmente nelle ultime due recite, quando i posti lasciati liberi dal 'bel mondo' e dall''alta critica' furono occupati dal vero popolo, da quel popolo che fu, sin dai tempi di Eschilo, il legittimo giudice del teatro tragico. E tutti si commossero e molti piansero."
  Altri tempi...


Piero Nicola

2 commenti:

  1. apprezzo moltissimo il tuo notevole contributo alla confutazione della storiografia intesa a calunniare la grande e nobile figura di Filippo II (al proposito rammento il geniale lavoro di Francisco Elias de Tejada y Spinola, un autore che ha ristabilito la verità circa il regno di Filippo II)

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  2. Ferdinando Tirinnanzi (1878-1940), drammaturgo e poeta, fu stimato da Giovanni Papini e fece la prefazione al suo CANOSSA (raccolta in "La spia del mondo")

    Lo scritto, di calda presentazione, asserisce: " ... non è soltanto una tragedia al di là della storia, metastorico, ma un dramma spirituale, cioè universale e cosmico. CANOSSA è il poeme dialogato delle redenzione permanente dell'uomono..."

    Scondo Tirinnanzi il filosofo soltanto raziocinante non può giungere alle profondità del vero e il poeta soltanto non può giungere all'acmè del bello. Il poeta deve pensare, se vuol essere grande poeta; il pensatore dev'essere anche poeta se vuol comunicare le scoperte del suo pensiero. (La spia del mondo, p. 349)


    Le moltitudini sono in balìa delle frenesie e delle febbri. ... Ai febbricanti deliranti non si posson somministrare alimenti celesti: lì rigetterebbero. ...
    Il paradiso non è affatto perduto: è perduta soltanto la facoltà di riconoscerlo, di saperlo vedere. La poesia non è che una indolore operazione di cateratta spirituale; l'amore non è che la riconquista di ciò che non ci accorgiamo di possedere. (La spia del mondo, p. 324)

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