domenica 19 ottobre 2014

L'ipoteca comunista sul Novecento cattolico

Perché non possiamo dirci antifascisti
L'ipoteca comunista sul Novecento cattolico

 La complessità e la varietà delle scuole di pensiero e degli stati d'animo in circolazione durante il ventennio scoraggiano il qualunque tentativo di definire con esattezza il pensiero prevalente nelle dottrine del fascismo [ad esempio il neo-idealismo che informa la dottrina proposta da Giovanni Gentile e il neotomismo che qualifica la dottrina di Carlo Costamagna] e ancor più di unificare i moventi e le ragioni delle adesioni al regime.
 Fascismo rimane pertanto un concetto generico e sfuggente, che si presta purtroppo alle più infondate interpretazioni e ai più bizzarri e intrepidi usi.  
 La variegata maggioranza degli intellettuali del Novecento italiano, ad ogni modo, aderì senza motivazioni o riserve di scuola al regime fascista.
 Tra il 1922 e il 1943 condivisero o nutrirono simpatia per la politica di Mussolini i futuristi, i neoidealisti, i nazionalisti, i vociani, i dannunziani, i pirandelliani, i nietzschiani, i neopagani, i maghi eleusini, i ginnasti tantrici e, insieme con loro, autorevoli pensatori e studiosi cattolici, quali Agostino Gemelli, Nicola Petruzzellis, Carmelo Ottaviano, Pietro Mignosi, Michele Federico Sciacca, Armando Carlini, Amintore Fanfani, Giulio Bonafede, Guido Manacorda, Domenico Giuliotti, Piero Bargellini ecc. 
 Poche e fragili le eccezioni al consenso totalitario: alcuni intellettuali adamantini, che la vulgata al potere giudica assolutamente refrattari, ossia Benedetto Croce, editore di una rivista stampata sulla carta assegnata dal duce, il sentenzioso Norberto Bobbio, scrittore di suppliche al bieco tiranno, Giacomo Noventa, collaboratore del Frontespizio e banditore  dell'intesa dei cattolici con i fascisti, Cesare Pavese, autore di un diario segreto, nel quale si legge il consenso alla rivoluzione sociale proposta dai fascisti dell'ultima ora.
 L'analfabetismo in camicia nera è dunque un argomento che naufraga nel ridicolo, quando  la cultura del ventennio è messa al confronto con la patetica, umiliante ristrettezza dell'opposizione italiana al fascismo.
 "Fascismo", infine, diventa una parola jettatoria e ricattatoria, quando è usata dai poteri forti, dagli iniziati   e dagli orfani di Marx per scongiurare il rischio rappresentato dalla temuta presenza di cattolici fedeli alla tradizione nazionale cioè in sintonia con l'Italia di San Francesco, di San Tommaso d'Aquino, di Santa Caterina da Siena e di San Pio X.
 Esito della ridicola mitologia televisiva intorno alla selvaggia ignoranza dei fascisti è la fumante coda di paglia, che gli strateghi comunisti e laicisti hanno applicato ai democristiani e ai preti pavidi, al fine di neutralizzarli, addomesticarli e modernizzarli.
 Dal fumo di quella resistente coda esce l'estenuazione del pensiero cattolico cioè l'incauta apertura alla modernità degli illuminati, fedeli a Jacques Maritain e ai suoi interpreti degasperiani e/o dossettiani.
 A 69 anni dalla morte di Mussolini, il bruciante e ostinato fumo della suddetta coda di paglia, si diffonde ancora ed ispira, ad esempio, la goffa dichiarazione di un autorevole prelato, secondo il quale sarebbe serio ed opportuno rammentare che il Beato Giovanni Battista Montini fu un antifascista sfegatato, ove sfegatato è sinonimo di fanatico. 
 Antifascismo fanatico e progressismo, a prescindere dalla scarsa credibilità della notizia sul viscerale antifascismo di Paolo VI, che a suo tempo apprezzò il Maritain autore di Antimoderno, sono i motori italiani della deprimente scolastica, che ha impoverito e alterato la cultura politica dei cattolici squalificando e incapsulando le idee tradizionali contaminate dalla condivisione fascista.  
 L'antifascismo di prammatica, infatti, ha cancellato dall'orizzonte della cultura cattolica la riforma corporativa dello stato moderno (quale fu  concepita da Giuseppe Bottai e dai suoi collaboratori nella Normale di Pisa), l'intervento dello stato nell'economia e il progetto di far partecipare i dipendenti alla gestione dell'impresa. 
 Trapiantato sul corpo della filosofia politica dei cattolici l'antifascismo ha in seguito prodotto la svolta indirizzata alla censura delle scelte, con le quali i cattolici avevano risposto alle sfide delle rivoluzioni moderne di stampo liberale e socialista.  
 Il marchio antifascista è impresso a fuoco sulla purgante e conformistica ideologia dell'ex fascista don Giuseppe Dossetti, suggeritore dell'avventuroso cardinale Giacomo Lercaro e ispiratore degli scolarchi bolognesi, Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, gli intellettuali che hanno avviato un movimento inteso ad allineare la teologia cattolica al pensiero progressista, declinante nelle torbidezze postmoderne.
 Ovviamente, la confutazione e il rifiuto dell'antifascismo non possono essere indirizzati alla riabilitazione e al riuso della cultura onnivora del ventennio.
 Si deve invece tentare il riscatto delle idee cattoliche - il corporativismo e il superamento della gestione capitalistica dell'impresa, l'intransigenza sul matrimonio, la difesa della maternità - che furono adottate dall'avanguardia fascista e pertanto rifiutate da quella censura resistenziale, che agisce tuttora nel cuore del pensiero catto-progressista.  
 La via d'uscita dalle rovine democristiane/degasperiane/dossettiane, sulle quali è costruita l'attuale subordinazione dei clericali ai postcomunisti e ai radical-chic festanti nel Pd, è pensabile solamente al prezzo di un vero atto di audacia finalizzato alla riappropriazione delle idee cattoliche sepolte sotto la strumentale valanga dell'antifascismo.
 Senza il coraggio della ribellione allo storico ricatto della sinistra, la politica d'ispirazione cristiana non ha altro futuro che la perfetta flessione nel Pd, cioè la capitolazione al furore pederastico, all'allucinazione malthusiana, alla genetica mostruosa, al dissesto sociale e al regresso economico. Un futuro miserabile discendente dalla tenerezza clericale allo striscio fra le righe della nuova teologia, che associa falsa misericordia, disordine strutturale e thanatofilia.


Piero Vassallo

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