venerdì 22 aprile 2016

Cinque secoli di infezione luterana

 Davanti ai propalatori dell'eresia luterano la pietà vive quando è ben morta.
Michele De Bono


 Il prossimo anno, nella imperiosa e urlante Germania della opima cancelliera Angela Merkel, gli ecumenisti di varia e squillante risma celebreranno e festeggeranno – gongolando - il quinto centenario della disgraziata e rovinosa riforma concepita e attuata dall'eresiarca Martin Lutero e promossa (a spada tratta) dalla cialtroneria dei principi tedeschi.
 La ispirazione della apologia, indirizzata al scivolamento nel teatrino in cui si recita la progettata, umiliante conciliazione della verità cattolica con l'eresia luterana è anticipata da un documento sincretistico scritto e firmato dal vescovo cattolico Karlheinz Diez e dal vescovo luterano Eeco Honviner. I due prelati affermano, in perfetta sintonia, che “ciò che unisce cattolici e luterani è più che ciò che li divide”. Trionfa, di conseguenza, e gongola la chimera ecumenica mentre la teologia giornalistica dichiara che “il conflitto del XVI secolo è finito”. Di qui il drastico ridimensionamento (se non l'implicita ritrattazione) della ragionata, motivata, plurisecolare condanna dell'eresia luterana: i cattolici, in ingannevole unione (pseudo ecumenica) con gli eretici, “vogliono indirizzare il loro sguardo critico innanzi tutto su loro stessi e non gli uni sugli altri”.
 Il passo finale dell'ecumenica manfrina è la scivolata nell'autolesionismo, “uno sguardo rigorosamente autocritico su noi stessi”, ossia la sconfessione se non il capovolgimento delle ragioni della condanna cattolica dell'eresia luterana. La Verità cattolica, umiliata e spossata dal delirio teologico in corsa senza freno nelle pagine della teologia neo modernista, si inchina davanti all'estenuata eresia dei tedeschi.
 Tuttavia il profilo lugubre e cadaverico dell'eresiarca Martin Lutero, propagatore di menzogne, pre-padre delle devastanti suggestioni kantiane ed hegeliane, e prototipo delle moderne rivolte contro la verità è tuttora detestato dai cattolici non ubriacati dall'ecumenismo di risulta e non contagiati dall'infatuazione buonista, in gongolante e allucinata corsa intorno ai teologumeni elucubrati dai progressisti attivi nel Concilio Vaticano II, errori puntualmente catalogati e magistralmente confutati dal saggio di Paolo Pasqualucci edito da Solfanelli.
 I cattolici refrattari alla suggestione modernistiche, squillanti tra le righe avventurose delle esternazioni di papa Bergoglio, temono che il galateo sincretista, discendente dalla teologia post-conciliare, suggerisca una compromissoria adesione della gerarchia cattolica alla lugubre e spettrale festa dei luterani.
 Intorno alla grottesca ed estenuata figura della agonizzante comunità luterana, ad ogni modo, squilla la risata che i cattolici refrattari alzano quando odono le rumorose chiacchiere dei sincretisti dialoganti, affaticati invano ad adulare, incensare ed annettere il delirio dell'eresiarca germanico e dei suoi sparuti eredi e continuatori.
 Opportunamente lo scrittore Pietro Ferrari nel saggio Non possumus, edito in Reggio Emilia da Radio Spada, rammenta che “Nella Ecclesiam suam del 1964, Paolo VI poneva equazione tra dovere di evangelizzare e di dialogare col mondo e disequazione tra evangelizzare e confutare l'errore, anche se il mandato apostolico è quello di insegnare e confutare, non il dialogo di ricerca”.

 L'amletica e scivolosa teologia in uscita dalle aule festanti del concilio Vaticano II ha spalancato la porta della Chiesa cattolica agli spettri ibseniani emanati dalla teologia di Lutero. Se non che la Provvidenza costringe le manfrine dei nuovi teologi a non oltrepassare i limiti assegnati alle acque nella quali si è compiuto il naufragio delle moderne ideologie. A ben vedere la scena allestita dal clero modernizzante è avvolta nella notte speculativa, caduta sulle illusioni che accompagnavano il cammino del falso profeta tedesco. La religione di Lutero (e con essa la teologia catto-progressista) è discesa nell'oscuro e beffardo caveau della banca di Georges Soros.

Piero Vassallo

1 commento: