Il compìto,
mite e garbato presidente della nostra Repubblica mica male alticcia, scivola
giù in una condizione che non gli appartiene. Bisogna capirlo. Tutto ha
congiurato a suo danno. Di già, militò in un partito. Si dirà che questo evento
al Quirinale è consueto fin dai primordi dello Stato repubblicano. Ma su di un
uomo così delicato le influenze politiche hanno un effetto disdicevole. Per lui
rendersi super partes diventa
un'impresa disumana. C'è il condizionamento del malo esempio dato dai suoi
predecessori, e sarebbe un affronto alla sua probità pretendere che ne
assumesse la stessa disinvoltura, la stessa abilità nello spacciarsi
indipendente ed equanime.
Egli si
trova ad essere il proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Il vento
imperioso che soffia da Oltre Oceano, combinato con quelli satelliti, spiranti
dal Nord Europa e dal suo caro Vaticano, lo trasporta come un grazioso
fuscello. Ma perché resiste alla sua onesta natura, che gli suggerisce di dare
a vedere la propria fatalità? Perché, anche nell'ultima orazione al Meeting di
Rimini, ha inteso onorare le Istituzioni e la Costituzione, che deplorano la
sua condotta pro governativa, giunta a sottoscrivere la legge della famiglia
omosessuale, deplorano il suo tenere per una rivoluzione progressista,
sostanzialmente assai meno che italiana?
Nell'approvare il Sì al prossimo referendum di Renzino, si è aggrappato
a un povero argomento: un referendum fece la Costituzione, dunque un altro
referendum potrà correggerla. A ben vedere, non ci sarebbe nulla di male in un
cambiamento istituzionale che rafforzi l'esecutivo (converrebbe persino a
Berlusconi, se egli credesse ancora d'essere vivo e vegeto), ma non è cosa sostenere l'attuale
fantasioso e fallito capo del governo.
Inoltre
il timido Presidente continua la propaganda a favore dell'immigrazione. "Niente
muri, apriamo le porte", egli raccomanda, all'unisono col coro della
classe dirigente e delle televisioni che fanno eco ai super-potenti,
preoccupati del populismo e del popolo restio a mescolarsi con estranei d'ogni
provenienza. Egli ripete la lezione per la quale il miscuglio è bello e giova persino
all'economia: tanti stranieri sono qui lavoratori e imprenditori, l'esodo
migratorio è fatale e altrettanto l'integrazione, il prolifico rinsanguamento
dei nostri paesi. Il suo ottimismo commuove. Egli crede nell'unità nazionale
degli intenti, in una democrazia partitica, fondata sulla divisione. Quando la
sua coscienza - investita e stordita dall'enorme onda dell'occidentale falsità
autolesionista - dovesse riaversi, il suo essere ne sarebbe sconvolto, egli
cadrebbe ammalato e, come il più grande deluso innamorato, perderebbe il senno.
E dov'è mai un novello Astolfo che, salito sul carro di Elia, vada a riprendere
il senno presidenziale finito sulla luna?
Piero Nicola
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