domenica 21 agosto 2016

PRESIDENTE IMPEGNATO (di Piero Nicola)

  Il compìto, mite e garbato presidente della nostra Repubblica mica male alticcia, scivola giù in una condizione che non gli appartiene. Bisogna capirlo. Tutto ha congiurato a suo danno. Di già, militò in un partito. Si dirà che questo evento al Quirinale è consueto fin dai primordi dello Stato repubblicano. Ma su di un uomo così delicato le influenze politiche hanno un effetto disdicevole. Per lui rendersi super partes diventa un'impresa disumana. C'è il condizionamento del malo esempio dato dai suoi predecessori, e sarebbe un affronto alla sua probità pretendere che ne assumesse la stessa disinvoltura, la stessa abilità nello spacciarsi indipendente ed equanime.
  Egli si trova ad essere il proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Il vento imperioso che soffia da Oltre Oceano, combinato con quelli satelliti, spiranti dal Nord Europa e dal suo caro Vaticano, lo trasporta come un grazioso fuscello. Ma perché resiste alla sua onesta natura, che gli suggerisce di dare a vedere la propria fatalità? Perché, anche nell'ultima orazione al Meeting di Rimini, ha inteso onorare le Istituzioni e la Costituzione, che deplorano la sua condotta pro governativa, giunta a sottoscrivere la legge della famiglia omosessuale, deplorano il suo tenere per una rivoluzione progressista, sostanzialmente assai meno che italiana?
  Nell'approvare il Sì al prossimo referendum di Renzino, si è aggrappato a un povero argomento: un referendum fece la Costituzione, dunque un altro referendum potrà correggerla. A ben vedere, non ci sarebbe nulla di male in un cambiamento istituzionale che rafforzi l'esecutivo (converrebbe persino a Berlusconi, se egli credesse ancora d'essere vivo e vegeto), ma non è cosa sostenere l'attuale fantasioso e fallito capo del governo.
  Inoltre il timido Presidente continua la propaganda a favore dell'immigrazione. "Niente muri, apriamo le porte", egli raccomanda, all'unisono col coro della classe dirigente e delle televisioni che fanno eco ai super-potenti, preoccupati del populismo e del popolo restio a mescolarsi con estranei d'ogni provenienza. Egli ripete la lezione per la quale il miscuglio è bello e giova persino all'economia: tanti stranieri sono qui lavoratori e imprenditori, l'esodo migratorio è fatale e altrettanto l'integrazione, il prolifico rinsanguamento dei nostri paesi. Il suo ottimismo commuove. Egli crede nell'unità nazionale degli intenti, in una democrazia partitica, fondata sulla divisione. Quando la sua coscienza - investita e stordita dall'enorme onda dell'occidentale falsità autolesionista - dovesse riaversi, il suo essere ne sarebbe sconvolto, egli cadrebbe ammalato e, come il più grande deluso innamorato, perderebbe il senno. E dov'è mai un novello Astolfo che, salito sul carro di Elia, vada a riprendere il senno presidenziale finito sulla luna?


Piero Nicola   

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