Alla luce dell'ovvio pensiero,
l'identità di una stabile e ordinata nazione contempla l'insofferenza – si è
tentati di dire l'intolleranza di pensiero, di parola e di legge - della
qualunque dissociante passione rivoluzionaria.
Lo studioso e il dilettante di storia sanno
che una nazione polifrenica è destinata fatalmente a una vita grama e a una
tormentata decadenza.
Va da sé che l'unità nazionale è un bene
prezioso, che si conserva a prezzo di una severa e in certo modo antipatica
disciplina e, in ultima analisi, di una legislazione intesa a colpire con
implacabile durezza il tradimento della nazione e l'insorgenza degli eversori.
Negli anni della guerra fredda, la giustizia americana
(quasi aderendo all'estremismo maccartista)
colpì con rigore implacabile il tradimento consumato ai danni della
nazione e a vantaggio dell'Unione sovietica, da due depositari di importanti
segreti strategici, i coniugi Julius Rosenberg e Ethel Greenglass.
Indigati dai servizi segreti americano i
coniugi Rosenberg furono arrestati nel marzo del 1951, processati e condannati
a morte.
Da ogni parte del mondo si levarono
(inutilmente) voci contrarie alla esecuzione dei coniugi Rosenberg. Perfino Pio
XII, pontefice indenne da debolezza verso i comunisti, invocò un atto di
clemenza del potere pubblico americano. La pena di morte inflitta ai due
coniugi fu eseguita mediante la sedia elettrica il 19 giugno del 1953.
La diffusa avversione dei media e della
pubblica opinione alla pena capitale non diminuisce la gravità della colpa
commessa dai coniugi Rosenberg, che trasmisero segreti militari a una nazione
rivale degli Stati Uniti d'America.
In special modo l'orrore suscitato dalle
esecuzioni capitali non è sufficiente a cancellare il diritto/dovere dello
stato di tutelare, con durezza implacabile, i segreti della scienza militare,
indirizzata alla difesa della minacciata nazione.
Lo stato, che può chiedere e perfino esigere
il sacrificio dei combattenti, non può escludere la condanna a morte dei
traditori.
Ora l'intransigenza dimostrata dal governo
americano negli anni Cinquanta dello scorso secolo contrasta con le disarmanti
intenzioni ultimamente ubbidite dalla polizia nei confronti dei terroristi
islamici.
Nell'opinione pubblica matura la convinzione
invincibile che l'ideologia buonista (ovvero l'incapacità di contrastare
efficacemente la violenza degli eversori d'ogni risma) abbia contagiato la
cultura politica, che prevale nell'ex nazione guida dell'Occidente.
Un tale contagio è la causa evidente della
debolezza dimostrata dai governi occidentali nei confronti della feroce
baldanza islamica.
L'Occidente è vittima di una debilitante
bontà, che circola incontrollata e addirittura incensata nelle sedi alte della
cultura occidentale.
Il massacro compiuto, con l'intenzione di
onorare il ramadan, da Omar Saddique Mateen (maomettano da tempo nell'occhio
buono della polizia americana) in un club omosessualista di Orlando in Florida,
dimostra la inefficienza e la vulnerabilità della ideologia liberale,
prevalente nel disgraziato ovest del pianeta.
Lo stragista musulmano era infatti sospettato
dalle forze dell'ordine, che temevano la sua religiosa attitudine al delirio e al delitto.
Non è inverosimile l'opinione degli
osservatori che giudicano il blando controllo esercitato dalla polizia
americana un omaggio dovuto alle castranti forbici del politicamente corretto,
un delirio in sfreenata corsa nei
santuari dell'ateismo occidentale.
Di qui la forzata condivisione dell'antipatico
giudizio di Donald Trump sulla necessità inderogabile di allontanare
dall'America (e dal mondo civile) i fedeli di una religione intrinsecamente
feroce.
Piero Vassallo
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