Io non sono nessuno. Ma, come chiunque, possiedo
la facoltà razionale elementare e, per dare certi giudizi storici, logici,
religiosi, resi necessari dalla difesa della verità, non ho bisogno né di
erudizione, né di titoli accademici, e tanto meno della diplomazia con cui
assicurarsi uno stato sociale, appoggi, amicizie convenienti per non trovarsi
isolati. L'isolamento non mi spaventa affatto. Essendo libero anzitutto
interiormente, posso attaccare la libertà malintesa, la dignità umana artefatta,
la morale e il diritto democratici o umanistici o dei cattolici da barzelletta.
Premesso
questo chiarimento, ho ascoltato il discorso del signor F. Mercadante, uomo ricolmo
di benemerenze (chi ne ha tante, oggi è automaticamente squalificato)
moderatore ad una presentazione di Una
mitologia eroica del Fascismo, saggio recentemente pubblicato da G. A.
Spadaro per i tipi di Solfanelli; il quale ascolto mi ha reso lieto di ignorare
quasi tutto dell'esimio Mercadante.
Ciò che ha detto è più che sufficiente per scacciarlo dalla ideale società
degli uomini giusti e veri figli della Chiesa. Non interessa nemmeno conoscere il
suo tasso di infedeltà all'ortodossia.
Terminando gli interventi dal bancone dei relatori, Giuseppe A. Spadaro
ha dovuto manifestare il suo sconcerto, rilevando le contraddizioni del
presidente. Questi ha inteso mettere fuori gioco il fascismo per certi suoi barbari
provvedimenti liberticidi, disumani, antistorici, attenuando la complessiva
condanna di fatto con una stolta archiviazione della prova data dal Regime, e
diluendo il veleno, sia dottrinale, sia del rinnegamento (egli fu giovinetto
convinto mussoliniano), in lodi rivolte all'autore del saggio.
Ciò che
disgusta non è tanto l'aver tributato elogi a chi ha negato, nel libro, le sue
conclusioni; disgusta la sicumera marcescente e la crassa erroneità delle
sentenze. Non serve entrare nel merito dell'opera commentata, che lascio alla
bella recensione, già qui comparsa, di Piero Vassallo. Per altro, dispiace che
pensatori di vaglia cedano al compromesso affidandosi alla collaborazione,
supposta autorevole, di caporioni intellettuali che li tradiscono tanto
maldestramente quanto, purtroppo, efficacemente, davanti a un pubblico spesso
suggestionabile.
Che cosa
ha decretato colui che troppo assomiglia ai soloni del dialogo impossibile (sia esso intrattenuto con presunti compagni di
viaggio e sotto l'egida della grande cultura), fautori della società dei
veritieri con gli erranti e coi menzogneri? Costui ha stabilito che
all'Italietta giolittiana succedette un'altra Italietta, e che ci si deve
licenziare in pace dal fascismo come ci si licenzia, per esempio, dal
futurismo. Costui ha deplorato assolutamente che Gramsci fosse costretto a
chiedere a Mussolini (il quale acconsentiva) di poter "leggere l'ideologia
tedesca". Il Regime avrebbe così dimostrato la sua inciviltà, un
"mostruoso paternalismo", in cui non è possibile vivere: "L'intellettuale
(sic) deve chiedere il permesso" per esercitare la sua attività, la sua
missione!
Siamo in
pieno delirio liberal-modernista. Il nemico dovrebbe avere diritto allo stesso
trattamento dell'amico, per giunta quando è un nemico di Dio e della Verità.
Il cattivo
giudice parla di "cose orrende" attribuendo a Padre Agostino Gemelli
la promozione del concetto di "razzismo spirituale". Osserva che
l'ebreo Giorgio del Vecchio lasciò la cattedra piangendo, discriminato al di là
del criterio dovuto al razzismo spirituale. Ma tale osservazione è sommaria,
quasi venisse da un antifascista viscerale. Il suo storicismo gli impedisce di
considerare le ragioni del ghetto, attuato o approvato dalla Chiesa. Per lui, i
nefasti provvedimenti furono dettati da meri motivi politici.
Inoltre
il Mercadante colpisce il libro presentato, laddove approva la dottrina della
rivista "Gerarchia". L'idea sacrosanta di ordine gerarchico (come
vige nella Chiesa e nell'esercito, essa giova altrettanto alla società civile
cui non è dato di restare in quiete) secondo lui "mette il piede sulla
faccia della classe inferiore", dell'"uomo comune", del
"gregge". Sarebbe "preistoria", "non ha attinenza con
il vero slancio etico della civiltà occidentale". Egli se la prende con la
definizione "paccottiglia egualitaria", che l'autore affibbia al
mondo libero democratico, e chiede dove, con simile ideologia sarebbe andata
"a finire l'emancipazione della donna nel Ventesimo Secolo". "Ai
quindici anni del Ventunesimo Secolo, quale vitalità può avere questo
passato?".
Con le sue sintesi parziali, ingiuste e sconsiderate,
nella migliore delle ipotesi il moderatore, omone delicato, assomiglia a quegli intellettuali che non
reggono e straparlano, trovando nell'opera una pecca che urta il loro pensiero orgoglioso
e cristallizzato. Essi vogliono che l'opera sociale e politica realizzata difettosamente, o condizionata da
circostanze irripetibili, sia inservibile, un arnese da mettere in soffitta,
tutt'al più in una bacheca, anziché preservarne i pregi per una costruzione
attuale o successiva. Questi scienziati pretendono dalle realizzazioni storiche
un'impeccabilità umanamente irraggiungibile, salvo il loro rifarsi da modelli assai
meno che imperfetti, antichi e contemporanei, dimostrando d'essere scienziati
naufragati nella propria miseria morale.
Piero Nicola
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