mercoledì 12 agosto 2015

L'imperdonabile militarismo di Simonetta Scotto

 La pace, alzi una mano chi osa non amare la pace. Nessuno è astrattamente contrario al disarmo totale, alla drastica abolizione della qualunque arma, dalla bomba H al coltello da cucina e alla forchetta oculistica.
 Un orizzonte color rosa è peraltro scolpito, nei cuori teneri e in quelli duri, dalla magia al potere nel salotto autorevole, su cui scendono petali di garofani e di crisantemi.
 Se non che anche le mani dell'uomo possono fungere da armi. Anche il karate può ferire e uccidere. Purtroppo il pacifismo radicale dovrebbe passare attraverso la mutilazione delle armi anatomiche. Uomini senza mani avanzerebbero sulla via del pacifico futuro.
 Forse non avanzerebbero neppure, visto che anche i piedi possono ferire e uccidere. Il disarmo totale contemplerebbe un dolente corteo di mutilati sulle quasi immobili carrette del Settecento francese disegnato da Jacovitti.
 Il pacifismo estremo allestirebbe, infatti, una scena da corte dei miracoli. La perfetta pace, in questo mondo, manderebbe in onda un film dell'orrore, per il divertimento di vescovi ubriachi.
 Sappiamo finalmente che l'ombra bieca e feroce del karate divora, confuta e ridicolizza il pacifismo perfetto, che è annunciato dalle allegre (gaie) grancasse del partito radicale.
 Dispiace ma si è obbligati a malincuore a riconoscere che armi e armati al momento non possono essere aboliti. Gli eserciti del salotto hanno debellato le dittature non le baionette, che, peraltro, costituiscono materia di un suo sapiente, occulto e fruttuoso traffico.
 La totale utopia pacifista, sopravvive in un cortile psicotico, allestito da maghi onusiani e applaudito da monsignori (europei e sudamericani) ubriacati e folgorati dalla nouvelle théologie.
 Rimane la tenue speranza in un'astratta potenza, capace (si spera) di fare uso buono e ragionevole delle armi. E' questo il tema dei racconti della scrittrice Simonetta Scotto, concepiti alla luce "dei princìpi a cui i miei protagonisti non vengono mai meno: il Dovere, l'Onore, la Lealtà, il Sacrificio".
 I libri di Scotto sono dichiarazioni di guerra alla sragione circolante nel salotto chic. Non per caso i racconti della scrittrice genovese sono dedicati ai marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, imprigionati dalla polizia di un paese i cui tribunali (con rispetto ecumenico parlando) nutrono pensieri discendenti dal tenebroso delirio teologico saettante nella Bhagavad Gita.
 Di Simonetta Scotto è uscito in questi giorni un avvincente racconto O con lo scudo o sullo scudo, pubblicato a Tricase di Lecce.
 In nomi dei protagonisti - Steve e James - hanno un suono americano, ma l'autrice precisa che essi incarnano idealmente tutti i protagonisti della lotta contro i malavitosi, i ciechi, arnesi del nichilismo alto, che promuove lo spaccio della droga in esecuzione di un mortifero piano  di stampo malthusiano.
 La tesi che attraversa il fascinoso racconto di Scotto contempla l'arduo obbligo di associare il rispetto delle regole alla mano pesante dei militari, che deve essere impietosamente calata sui criminali che governano i cartelli dello spaccio.
 L'opera di Scotto contribuisce all'affermazione di una cultura refrattaria ai fantasmi della democratica indulgenza nei confronti del vizio in corsa sfrenata nella terra del tramonto, in vista della finale catastrofe ecumenica in arrivo dai paesi islamici.


 Piero Vassallo

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