La pace, alzi una mano
chi osa non amare la pace. Nessuno è astrattamente contrario al disarmo totale,
alla drastica abolizione della qualunque arma, dalla bomba H al coltello da
cucina e alla forchetta oculistica.
Un
orizzonte color rosa è peraltro scolpito, nei cuori teneri e in quelli duri,
dalla magia al potere nel salotto autorevole, su cui scendono petali di
garofani e di crisantemi.
Se non
che anche le mani dell'uomo possono fungere da armi. Anche il karate può ferire
e uccidere. Purtroppo il pacifismo radicale dovrebbe passare attraverso la
mutilazione delle armi anatomiche. Uomini senza mani avanzerebbero sulla via
del pacifico futuro.
Forse
non avanzerebbero neppure, visto che anche i piedi possono ferire e uccidere.
Il disarmo totale contemplerebbe un dolente corteo di mutilati sulle quasi
immobili carrette del Settecento francese disegnato da Jacovitti.
Il
pacifismo estremo allestirebbe, infatti, una scena da corte dei
miracoli. La perfetta pace, in questo mondo, manderebbe in onda un film
dell'orrore, per il divertimento di vescovi ubriachi.
Sappiamo
finalmente che l'ombra bieca e feroce del karate divora, confuta e ridicolizza
il pacifismo perfetto, che è annunciato dalle allegre (gaie) grancasse del
partito radicale.
Dispiace
ma si è obbligati a malincuore a riconoscere che armi e armati al momento non
possono essere aboliti. Gli eserciti del salotto hanno debellato le
dittature non le baionette, che, peraltro, costituiscono materia di un suo sapiente,
occulto e fruttuoso traffico.
La totale
utopia pacifista, sopravvive in un cortile psicotico, allestito da maghi
onusiani e applaudito da monsignori (europei e sudamericani) ubriacati e
folgorati dalla nouvelle théologie.
Rimane
la tenue speranza in un'astratta potenza, capace (si spera) di fare uso buono e
ragionevole delle armi. E' questo il tema dei racconti della scrittrice
Simonetta Scotto, concepiti alla luce "dei princìpi a cui i miei
protagonisti non vengono mai meno: il Dovere, l'Onore, la Lealtà, il Sacrificio".
I libri
di Scotto sono dichiarazioni di guerra alla sragione circolante nel salotto chic.
Non per caso i racconti della scrittrice genovese sono dedicati ai marò
Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, imprigionati dalla polizia di un paese
i cui tribunali (con rispetto ecumenico parlando) nutrono pensieri discendenti
dal tenebroso delirio teologico saettante nella Bhagavad Gita.
Di
Simonetta Scotto è uscito in questi giorni un avvincente racconto O con lo
scudo o sullo scudo, pubblicato a Tricase di Lecce.
In nomi dei protagonisti - Steve e James - hanno un suono americano, ma l'autrice
precisa che essi incarnano idealmente tutti i protagonisti della lotta contro i
malavitosi, i ciechi, arnesi del nichilismo alto, che promuove lo
spaccio della droga in esecuzione di un mortifero piano di stampo malthusiano.
La tesi
che attraversa il fascinoso racconto di Scotto contempla l'arduo obbligo di
associare il rispetto delle regole alla mano pesante dei militari, che deve essere
impietosamente calata sui criminali che governano i cartelli dello spaccio.
L'opera
di Scotto contribuisce all'affermazione di una cultura refrattaria ai fantasmi
della democratica indulgenza nei confronti del vizio in corsa sfrenata nella
terra del tramonto, in vista della finale catastrofe ecumenica in arrivo
dai paesi islamici.
Piero Vassallo
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