Della
recente proposta dell’on. Salvini mi sembra abbia parlato solo “Il Giornale” in
un articolo di G. De Lorenzo, del 29 luglio 2015, in termini
elogiativi, formulando anche alcuni possibili criteri. Non so se questi criteri siano del tutto
personali del giornalista o se riflettano anche il pensiero di chi sta
elaborando la proposta dell’on. Salvini.
In
sintesi, il nuovo servizio militare obbligatorio potrebbe esser così
articolato:
1. Sei mesi di addestramento obbligatorio per i
ragazzi, solo volontario per le ragazze.
2. Paga dignitosa.
3. Strutture organizzative nuove da aggiungersi
alle attuali.
4. Uso di questi giovani anche per “calamità
naturali” o lotta alla criminalità.
5. Da considerare il costo, che inciderebbe sul
bilancio della Difesa, già striminzito.
La
naja viene invocata per i giovani a causa del suo aspetto formativo sul piano
del carattere. I ragazzi vi imparano la
disciplina, il rispetto per l’autorità, il senso dell’ordine. Oggi sembra ne abbiano particolarmente
bisogno. Il servizio militare
obbligatorio verrebbe dunque giustificato moralmente soprattutto per il valore
educativo nei confronti dei giovani e anche per il vantaggio che procurerebbe
alle famiglie, togliendoli per sei mesi dal loro bilancio, visto che per quel
periodo camperebbero a spese dello Stato.
O s
s e r v a z i o n i :
1. Sulle motivazioni. Mi sembrano giuste ma incomplete. Si vede la cosa soprattutto dal punto di
vista della formazione del giovane e delle famiglie. Ma il servizio militare non si giustifica
innanzitutto con l’esigenza di difendere la Patria? Il cittadino “in armi” impara l’arte della
guerra per potere difendere un domani la Patria, la casa comune, tutti noi,
anche con la forza, se necessario. E qui
la forza è la guerra: addestrarsi a fare
la guerra non a soccorrere i civili nelle calamità naturali o a dar la caccia
ai delinquenti. Addestrarsi a
combattere, ad uccidere il nemico con le armi, sapendo che si può essere
uccisi.
Quindi, due osservazioni:
a.
Non si ricorda il motivo obiettivo, patriottico e di difesa nazionale del
servizio militare obbligatorio, giustificato dall’esistenza di un bene comune a
tutti, spirituale e materiale (beni, territorio), per il quale l’individuo deve
esser pronto a sacrificare la vita combattendo, se necessario. Non si tratta solo di contribuire alla
formazione del carattere dei giovani.
b. Si perpetua la
strana idea che l’esercito abbia tra i suoi compiti istituzionali quello di
aiutare nella lotta alla delinquenza organizzata o di soccorrere nelle calamità
naturali. Errore grave: il compito delle forze armate è solo quello
di addestrarsi a combattere, a fare la guerra, non quello di sostituirsi
alla polizia e alla protezione civile o di affiancarvisi in modo significativo. Ciò può avvenire, naturalmente, ma dovrebbe
aver luogo solo in presenza di eventi assolutamente eccezionali e per periodi
brevi.
2. Mi chiedo poi
se sei mesi non siano troppo pochi.
E questa è la terza
osservazione. Si dovrebbe trattare di un servizio militare moderno,
non macchinoso e burocratico come quello del vecchio esercito da caserma. Giusto.
Però bisogna chiedersi: che tipo
di addestramento si vuole dare? Se si vogliono
costituire veramente delle “riserve addestrate” e non accontentarsi di una
“pre-militare” che alla fine lascia il tempo che trova, allora penso ci
vorrebbero almeno otto o dieci
mesi. L’ideale sarebbe un
anno, secco, obbligatorio per tutti i maschi appena finite le scuole
superiori (a 18 anni), così nessuno sarebbe svantaggiato rispetto agli altri, e
senza esenzioni di alcun tipo. Un anno
per tutti, escludendo le ragazze. Che
anzi non dovrebbero esser ammesse, nemmeno
come volontarie. La promiscuità
imperante oggi in tutti gli eserciti “occidentali”, in nome dell’ugualitarismo
femminista, non è una buona cosa, lo sanno tutti, anche se è proibito
dirlo. Obbliga ad abbassare gli standard
di addestramento, perché le donne sono più deboli fisicamente, fa aumentare i
costi, fa allentare la disciplina e crea non poche volte situazioni di disagio
dal punto di vista morale. Le donne, a
parte qualche eccezione individuale, non sono tagliate per la guerra. Gli israeliani, che hanno uno dei migliori
eserciti del mondo, a causa della scarsità della popolazione le costringono al
servizio militare ma non le impiegano mai in reparti combattenti, per limiti
evidenti.
Tornando
alla durata della ferma. Inizialmente i
giovani devono imparare a salutare, marciare, attenti-riposo, insomma tutti gli
aspetti puramente formali della naja, noiosi ma indispensabili se non si vuole
avere un’armata brancaleone. Si può
ridurre questo tempo a poche settimane, occupate anche da addestramento teorico
e dai primi esercizi di tiro. Se però la
recluta deve costituire il serbatoio di una riserva addestrata per il futuro,
non si può limitare la sua preparazione a nozioni teoriche e all’apprendimento
(non specializzato) dell’uso delle armi.
Esaurito un breve ma (si suppone) intenso periodo di addestramento di
base deve esser mandata a quello che una volta si chiamava il “reggimento
operativo”, le unità che costituiscono effettivamente l’esercito dal punto di
vista operativo, al fine di completarvi l’addestramento stesso. E qui i tempi
si allungano, se si vuole che le reclute diventino effettivamente dei soldati,
anche solo di leva. Non solo devono
imparare bene ad usare le armi, ma devono sottoporsi a ripetute e complesse
esercitazioni di diverso tipo, di giorno e di notte, con ogni tempo,
integrandosi il più possibile con la componente permanente delle forze
armate. E non credo che 4-5 mesi
sarebbero sufficienti, per raggiungere buoni risultati. Per le esigenze di un esercito moderno, un
anno sarebbe il minimo. Un anno, comunque, non sarebbe una tragedia; passerebbe
presto, per un giovane di 18 anni, se il servizio militare fosse fatto bene. Alla
maggior parte dei giovani addestrarsi a fare la guerra per difendere la Patria,
piacerebbe di sicuro, pur trattandosi di un’attività faticosa e anche
pericolosa, è inutile negarlo. Ma
piacerebbe solo nel caso fossero impegnati in modo efficace, continuo, sul
campo, se avessero sempre la sensazione di esser comandati ed addestrati bene e
utilmente al fine per il quale sono lì.
3. E circa la paga, quarta osservazione. La paga deve esserci, è ovvio, ma non si può
pretendere che sia gran che. “Dignitosa”,
certo. Tutto sta ad intendersi sul
significato del termine. Tanto il denaro
extra da spendere in libera uscita, i militari di leva se lo fanno mandare
sempre da casa, in un modo o nell’altro, e si tratterebbe sempre di piccole
somme, per la famiglia. Piuttosto che ad
una “paga” per i coscritti, sarebbe bene pensare ad un sistema di vitto basato
su mense-tavole calde di buon livello all’interno delle caserme (magari comuni
a ufficiali, sottufficiali e soldati:
finite le esercitazioni giornaliere, “rancio” uguale per tutti) e ad un
equipaggiamento all’altezza, come qualità e quantità del materiale. C’è poi il problema del costo dell’addestramento. Fondamentale per gli eserciti moderni è la
possibilità di poter fare numerose esercitazioni a fuoco, con proiettili
veri. Bisognerebbe poter sparare spesso,
con tutti i tipi di armi. Occorrono tante munizioni e le munizioni
costano.
4. C’è infine l’aspetto
politico. Qui entriamo in un altro campo, che tuttavia non si può ignorare,
anche se esula dai problemi della naja in senso stretto. Voglio dire, il
problema posto dall’infausto art. 11 della Costituzione che in pratica
ci impedisce di fare la guerra, in generale, e in sostanza di difenderci. Fu scritto nella logica dell’antifascismo al
tempo dominante e fors’anche per servilismo verso i vincitori, eravamo nel
1946-1947; logica non solo antifascista ma (con qualche eccezione) antipatriottica
e antiitaliana. Il testo recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace
e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo”. Al
Giappone è andata anche peggio.
L’art. 9 della sua costituzione, imposta in pratica dal generale
americano Mac Arthur dice: “il popolo
nipponico rinuncia per sempre alla guerra come mezzo di conquista della nazione
e alla minaccia o all’uso della forza come mezzi per risolvere dispute internazionali”. L’attuale governo giapponese, ci dicono le
cronache, sta cercando di ricostituire finalmente forze armate degne di questo
nome ma trova un grave ostacolo in quest’articolo, sul quale fa leva un’ampia
opposizione nel paese, diventato in larga misura (anche se forse non maggioritaria)
“pacifista”, dopo il tragico e apocalittico epilogo della II g.m.
È
chiaro che in Italia bisognerebbe una buona volta eliminare la situazione
equivoca nella quale sono costrette a vivere le nostre forze armate per colpa
di questo art. 11 della Costituzione, a ben vedere indegno di un paese
civile: ci mette, infatti, nella
condizione di non poterci difendere dalle aggressioni dei nemici esterni, ci
rende inermi. Si potrebbe tentare in
futuro di modificare l’articolo, scrivendo per esempio che si rinuncia alla
“guerra di aggressione” o “offensiva”,
non a quella “difensiva”, studiare emendamenti di questo tipo. Ma si tratterebbe pur sempre di metterci una
pezza. La cosa migliore sarebbe abolire
l’articolo. Il problema è grosso,
trattandosi di una riforma costituzionale, ma bisognerebbe cominciare a
pensarci, specialmente se si vuol seriamente rimettere la leva obbligatoria e
dotare il Paese di un esercito all’altezza delle nostre attuali necessità di
difesa; che sono sempre più serie, con l’avanzarsi nel Mediterraneo dell’Islam
sanguinario e terrorista, ogni giorno più spavaldo.
Paolo Pasqualucci
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