Valutiamo
la condizione civile della nostra nazione. È forse degna e accettabile? La
domanda è retorica. Ma vale la pena di ricordare ancora una volta i principali
mali mortiferi di questa società: classe politica e dirigente disonesta o
inetta, divorzio, aborto, diritto di famiglia pervertito, procreazione
artificiale, pornografia, aperture legali all'eutanasia, matrimonio omosessuale
e teoria del gender ammessa nell'insegnamento, aperture legali all'immigrazione
senza prospettiva di assimilazione, droga e mafia tollerate, diffuso gioco
d'azzardo di stato, cessione di importanti branche della sovranità nazionale a
organismi internazionali che impongono leggi e direttive empie e di
perversione, soggezione a poteri finanziari mondialisti che deprimono altresì
l'economia e generano milioni di poveri, trasferimento di industrie all'estero,
imperante cultura nichilista, internazionalista, fautrice della convivenza
multietnica, antipatriottica, negatrice dei valori militari e della guerra giusta.
Indubbiamente si è giunti a tanta desolazione
e abiezione venendo da migliori condizioni. Se mai tutto ciò non sia dipeso per
intero dal sistema democratico, è innegabile che esso lo abbia permesso con la
sua intrinseca debolezza, con il suo laicismo, con la sua divisione partitica e
faziosa, con i suoi principi di sovranità popolare, di eguaglianza e di libertà
inique, con la propria demagogia corruttrice, basata sul materialismo,
sull'edonismo e sulla concessione di diritti abusivi.
L'esperienza storica dimostra che le
democrazie sono sempre state regno di oligarchie, mutevoli ma aventi in comune
il dominio di pescecani e di politici corruttori, almeno circa l'ideologia
professata e praticata (liberalismo, socialismo), circa la tolleranza di movimenti
sovvertitori del bene comune, e circa la disponibilità al compromesso
inaccettabile, nonché inevitabile perché imposto dai poteri forti interni ed
esteri.
Pendiamo ad esempio gli USA. Dalla loro
nascita in avanti essi sono stati il campo su cui hanno imperversato
l'impostura dell'utopica felicità e preminenza raggiungibile da chiunque con i
mezzi individuali favoriti dalla costituzione, l'impostura del libero potere
popolare, l'impostura di un presidente e di un governo che invocano e onorano
un dio inesistente perché comune a religioni fra loro incompatibili e false, la
grande corruzione politica, il banditismo su vasti territori e poi il
gangsterismo, un liberalismo che fece, e fa, milioni di indigenti e di
diseredati. Di lì, si diffuse un imperialismo immorale e machiavellico.
Se mai qualche democrazia abbia dato
l'impressione di essere onesta essa è sempre ricaduta sotto l'influenza della
generale disonestà.
E allora come se ne esce? Che cosa c'entra il
totalitarismo? Se prendiamo un qualsiasi dizionario ne abbiamo la definizione.
"Dottrina politica che ammette un solo partito informatore e guida
dell'azione statale o sostiene che il potere governativo debba disciplinare
direttamente tutti i rapporti sociali, in particolare quelli economici"
(Dizionario Zingarelli, 1970), "Sistema, regime politico in cui il potere
viene concentrato nelle mai di un gruppo dominante, che assume il controllo di
tutti gli aspetti della vita dello stato imponendo la propria esclusiva
ideologia; anche dottrina, teoria politica fautrice di un sistema di questo
tipo" (Dizionario Garzanti, 1987).
Escludendo tale soluzione autoritaria non
sembra esistere altra costituzione di Stato etico né una via di mezzo. Ogni regime
contiene diversità di vedute e di giudizi, e può lasciare spazio a una
sufficiente libertà sociale e individuale. Il totalitarismo può essere mitigato
da un corporativismo consultivo e di relative autonomie amministrative. Ma
qualsiasi attribuzione dell'elezione al popolo, qualsiasi ordinamento dei partiti
rivali e dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in conflitto, dei
sindacati autonomi e delle controversie di lavoro affidate allo sciopero o alla
serrata anziché al giudizio di un magistratura, tutto ciò fa ricadere nel
disordine, nella corruzione, nella decadenza.
Va da sé il pericolo del totalitarismo. Esso
sarà buono o cattivo. Ma non correre il rischio equivale ad accettare lo status quo.
Naturalmente il discorso è teorico. Spesso
non si pone la scelta. Oppure gli eventi la propongono con un'elezione popolare.
Nella storia si ebbero regni più o meno assoluti con esito positivo o negativo.
In ogni caso un certo consenso della gente, una certa unanimità è sempre stata
indispensabile alla loro sopravvivenza. Ciò che non è valido decade di per sé.
Ed è quanto sta avvenendo delle attuali democrazie. Il cosiddetto populismo che
avanza rappresenta il loro discredito, il loro sfacelo. Che cosa ne sortirà è
imprevedibile, dipende dagli uomini, dai capi dei movimenti. Sta di fatto che
per uscire dalla palude occorrerà un regime che si renda indipendente dal
sistema democratico ora universalmente convenuto, un regime efficiente che
rispetti la realtà della nazione, della sua cultura, della tradizione
storicamente distillata, vicina al rispetto della legge naturale e della
Chiesa, tradizione sempre valida e necessaria ad ogni ripresa.
Infine, non è detto che il totalitarismo
proficuo sia del tutto come Dio lo vorrebbe, non è detto che sia esente dai
germi della dissoluzione, tuttavia otterrà una certa ripresa e l'arresto della perversione
in atto.
Qualcuno obietterà che oggi in Russia la
conduzione di Putin si svolge vigenti certe regole democratiche. Di fatto egli governa
discretamente grazie al grande consenso di cui gode e non in virtù di quei
liberi istituti. Nulla vieta che sussista una forma posta in non cale dalla
prassi. Tanto è vero che i custodi delle libertà occidentali contestano allo "Zar" la violazione di diritti
umani. Maggiori violazioni si possono imputare alla Cina totalitaria, sebbene
le Potenze interessate non le muovano accuse per ragioni di convenienza, ovvero
di realpolitik.
Piero
Nicola
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