Qualificato studioso e intrepido
esponente della destra popolare, oggi resa invisibile dalla fumosa e indecorosa
presenza di brutte copie, il compianto Domenico Longo è stato uno fra i più
lucidi e spietati critici della stupidità neocapitalistica e dei suoi
soffocanti/asfissianti comandamenti.
Un puntuale giudizio formulato da Longo
decapita e ridicolizza i pensieri in umiliante, disastrosa circolazione nelle
menti dei consumatori manipolati dai capitalisti vestiti di nuovo, come
il Valentino di pascoliana memoria: “E' assolutamente
impensabile che si possa vivere al passo con i tempi senza avere il telefonino
o l'autovettura o gli altri strumenti a cui la modernità s'ispira e su i quali
poggiano i suoi presupposti. Tutti vanno a caricare il telefonino, così come
tutti mettono il carburante nelle proprie vetture”.
Refrattario alla implacabile censura attuata
dagli scagnozzi dell'oligarchia democratica, atea e materialistica, Domenico
Longo ha dimostrato e rappresentato magnificamente la perfetta distanza che
corre tra gli indifesi contribuenti e un fisco in perpetua oscillazione tra
demagogia, rapacità e soggezione ai dogmi del neocapitalismo.
Di qui un approfondito, puntuale e impietoso
esame dell'infelice rapporto instaurato tra i contribuenti italiano e il fisco.
Rapporto che Longo ha descritto con singolare puntualità: “Quando si parla
di evasione dobbiamo con rigore fare una doverosa distinzione e cioè dire che
v'è l'evasione fiscale, quella vera, e che v'è l'evasione fiscale attuata per
legittima difesa da esercenti deboli e da piccole e medie imprese aggredite
spropositatamente da un fisco predone. La maggioranza di queste piccole imprese
riesce a mantenersi in vita perché non ottempera a quanto previsto dalle inique
leggi fiscali italiane”.
A dimostrazione del tragicomico
funzionamento del vorace fisco nazionale, Longo cita alcune storiche
vischiosità, potenziali pagine di un calendario surrealista: “in materia fiscale
paghiamo, su ogni litro di carburante, le accise per la guerra di Abissinia del
1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963, per
l'alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per il
terremoto del Friuli del 1976, per il terremoto in Irpinia del 1980” .
Le deprimenti e incubose statistiche
riguardanti il numero dei fallimenti, dichiarati ogni anno dai tribunali
italiani, confermano le ragioni di Longo e perciò pongono il problema (o il
sogno) di fondare (finalmente) una destra capace di uscire dal porto delle
nebbie progressive e di navigare, con la necessaria intrepidezza, nelle
acque continuamente agitate dai macigni in caduta dai vertici del capitalismo e
del socialismo.
Refrattario ai peli, che il potere democratico
posa sulla lingua dei giornalisti di servizio, affermava il Nostro
coraggioso e compianto amico: “Sono tanti gli esponenti di governo,
mascalzoni, disonesti, che continuano a farla franca e ad approfittare ai
sacrifici della gente onesta, laboriosa, per assicurare a se stessi una
condizione di opulenza addobbata di sfarzosità e privilegi”.
L'umiliante naufragio della vecchia destra,
oscillante tra il vuoto politico di Gianfranco Fini e l'affarismo dei Tulliani,
conferma che aveva la ragione l'onesta, implacabile e purtroppo inascoltata critica
di Longo.
La rinascita di una destra fedele alla genuina
tradizione italiana non può fare a meno della lezione che si legge nella
magnifica biografia di Domenico Longo e nei suoi scritti, ispirati da un
invincibile amore per la Patria italiana per la giustizia.
Di tali indeclinabili valori è degna erede la
sagace figlia di Domenico, Rosalia, direttrice della intrepida rivista L'Altra
Voce, fondata dal padre negli ormai lontani anni Ottanta del Ventesimo
secolo.
Piero Vassallo
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