“Strangosciata
si lascia ivi cadere”.
Clemente
Pucciarini citato da Giovanni Testori
Alla
fine degli anni Ottanta, durante un convegno di studi organizzato a
Casa Mastella (in provincia di Lecce), dall'autorevole Adriana Poli
Bortone, Giano Accame intervenne per denunciare la strutturale
insignificanza del Msi di stampo almirantiano e prevedere l'indirizzo
al fallimento della segreteria dell'erede
Gian Franco Fini.
Promosso
da Donna Assunta, il delfino di Giorgio Almirante, secondo la lucida
previsione di Giano Accame, era destinato ad attuare la
banalizzazione della retorica sussurrata teatralmente dal c. d.
capocomico, politico
marginalizzato ma
oratore instancabile.
Parlatore
alluvionale, Almirante respingeva tuttavia la tentazione di emanare
il vaniloquio inoffensivo e servile, usato da Fini quale
lasciapassare
richiesto ai candidati all'entrata nel palazzo del potere
antifascista, trionfante intorno all'innaturale e labile alleanza
catto-comunista.
Refrattario al comiziale gemito almirantiano,
Accame, in sintonia con il senatore Carlo Costamagna, suo maestro,
sosteneva, con solidi e persuasivi argomenti, la urgente necessità
di vitalizzare, ringiovanire e aggiornare la cultura nostalgica, in
vana e sterile circolazione nell'ambiente missino
Il
lucido progetto di Accame contemplava il risultato che si sarebbe
potuto ottenere promuovendo una seria e pacata riflessione sui
ragionamenti a futura memoria, circolanti
negli ambulacri del fascismo repubblicano, assediato dalla
soverchiante potenza nemica e tuttavia capace di proporre riforme
sociali rese inattuabili, non confutate, da una guerra indirizzata
all'epilogo infelice e sanguinario dell'aprile del 1945.
Purtroppo le corte radici della cultura finiana si
rovesciarono e si rinsecchirono nel progetto di attuare l'unione
ipostatica del vaniloquio fascistottardo con l'apertura ai pensieri
di ruvido stampo antifascista.
La
ristrettezza – l'angustia - mentale di Fini è stata, peraltro,
confermata dall'uso bizzarro e catastrofico del biglietto d'ingresso
nella politica propriamente detta, biglietto, che gli era stato
(incautamente) consegnato da Silvio Berlusconi.
La
desistenza capriolesca di Fini ha causato la retrocessione
della destra italiana e la sua caduta – a dir meglio meglio il suo
bizzarro e indecoroso scivolamento – nel carnasciale politico,
messo in scena dal pittoresco e chiacchierato club dei Tulliani.
All'intrepida Carla Meloni, erede (si spera)
dissenziente da Fini e soci, adesso compete l'arduo compito di
restaurare il rottamato edificio di un partito, che è disceso nella
terza, denutrita e quasi insignificante fila della affannata e
diseguale destra italiana.
L'onorevole Meloni potrebbe continuare, in uno scenario
del tutto inedito, la politica realistica attuata felicemente, negli
anni Cinquanta, dall'allora segretario del Movimento sociale
italiano, il sagace e intrepido onorevole Arturo Michelini e dai suoi
dotti consiglieri, l'onorevole Ernesto De Marzio e il senatore Carlo
Costamagna.
Un
compito arduo, dal momento che la pur brava e animosa Meloni non può
far conto sul sostegno di una classe dirigente di profilo alto, ossia
paragonabile a quella (in larga misura ereditata dal ventennio
fascista) che sostenne il segretario Michelini.
E'
certo, ad ogni modo, che l'esistenza di un centro destra, finalmente
indenne dall'incapacitante contagio liberalista, dipende dal potere
che (si spera) sarà conferito dagli elettori alla combattiva
onorevole Meloni.
Piero Vassallo
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