C'era una volta Insula, un paese di antica
civiltà, il cui popolo si era stancato delle tradizioni per amore di
innovazione e di progresso. Alcuni gruppi di differenti benefattori, deposto il
re Arturo, avevano unanimemente proposto ai cittadini insuliti la corona regale.
Entusiasti di cingersene, essi avevano applaudito all'evoluta istituzione. E
siccome la sovranità collettiva era materialmente impossibile da esercitare, si
convenne di delegarne le funzioni legislative e governative - secondo democrazia
- a gruppi di eletti dalla maggioranza dei sovrani. Gli eletti, riconoscenti,
fecero leggi liberali e magnanime, che davano le più ampie libertà, i più
larghi diritti agli elettori. Acconsentendo alla liberalità già attuata dagli
altri paesi amici, si mise la benevolenza al primo posto, attribuendo a tutti
gli uomini bisognosi il diritto d'essere soccorsi e accolti a braccia aperte, a
prescindere dai loro usi e costumi. Infatti il consesso delle nazioni onorava
al più alto grado il pacifico e generoso principio di uguaglianza delle genti.
Non c'era quasi abitante di Insulia che non
fosse sensibile alla universale solidarietà. Regioni, città e villaggi insuliti
erano gelosi della loro storia e perfino campanilisti. Essi vantavano coloro
che avevano dato lustro alle loro terre, rivaleggiavano tra loro e con ogni
contrada del mondo gloriandosi dei monumenti posseduti, soprattutto non
avrebbero mai rinunciato alla salvaguardia dei piatti prelibati della cucina
locale. Ma tutto questo non impediva che amassero lo straniero avente preso
dimora presso di loro. E se talvolta un cattivo impulso li faceva disprezzare
certi africani o asiatici, che per qualche motivo davano noia, la loro
coscienza li ammoniva tormentandoli finché si fossero pentiti. Dunque gli
insuliti finivano per compiacersi dell'ospitalità fornita a turbe d'ogni
provenienza, le quali intendevano rifarsi una vita in Insula; benché tale sacra
accoglienza costasse denaro pubblico e sacrifici.
Il venerato Capo della religione predicava il
merito e il dovere di accogliere i poveretti; diceva che erano profughi in fuga
da guerre e carestie, e che nessuno
doveva guardare per il sottile discriminando gli abusivi e cercando parassiti
da espellere, perché simile egoismo era contrario tanto alla religiosità quanto
all'umana giustizia, soprattutto offendeva il dio universale, il dio d'amore.
Gli emigranti, che apparivano in cerca d'un
paese dove stare meglio, si dirigevano verso le rive di Insula, dove sembrava
avrebbero trovato il loro sollievo. Si ammassavano sulla sponda del mare
dirimpetto a quella dell'approdo desiderato. Le altre nazioni, ugualmente
umanitarie, opponevano legali difficoltà all'ingresso degli emigranti o si
giustificavano con la loro posizione lontana per non riceverli. Essi si
imbarcavano su zattere in balia degli elementi, sicché molti perivano già vicino
al luogo di partenza. Le autorità mondiali, preoccupate della loro sorte,
avevano allestito un sistema di soccorsi, sostenuto anzitutto da Insula. La
flotta militare insulita si prodigava andando a prendere i naufraghi e quelli
in procinto di naufragare, sino alle coste da cui prendevano il largo. Anche le
navi mercantili di passaggio raccoglievano i disperati, poi trasferiti nei soliti
approdi di destinazione.
Ma non solo i paesi restii ed egoisti
ubbidivano al germe del male, non ancora debellato nell'uomo della felice era
dell'amore, circolavano sulle croste terrestri dei soggetti malefici che si
davano a nascondere le realtà: dei malnati compivano nequizie e altri si ingrassavano
coi traffici attinenti alle nefandezze.
I
governanti di Insula non potevano ignorare le malefatte, ma avendo una
coscienza democratica evitavano di turbare la felicità dei loro sovrani e il
loro buon cuore. Nondimeno il sacrosanto Capo del Tempio dei templi tralasciava
le vecchie norme della legge morale, che aveva mortificato lo spirito; egli
faceva appello all'idealismo del divino bene, che non s'impaccia di regole di legulei.
Perciò non si curava di conoscere i crimini dei trafficanti d'uomini e il mezzo
con cui si sarebbero evitati le loro morti per stenti e annegamenti. Egli e il
suo dio erano superiori al fatto che bande di negrieri facessero la tratta di
moltitudini con percentuali di poveri, di temerari, di malviventi, irretiti
sfruttandone le mire più o meno oneste e fantasiose, o maliziose. Il grande
uomo pio per il suo dio evitava di indagare chi pagasse le spese dei viaggi e
di considerare gli illeciti guadagni delle società addette alla cura degli
arrivati sul suolo insulita. Egli non badava al fatto che incoraggiare le
traversate significava contribuire alla morte e alle pene dei trasportati sulle
zattere, mentre il dichiarato rifiuto di riceverli avrebbe fatto cessare lo
scempio, nonché lo sfruttamento, da tempo in atto, dei nuovi arrivati da parte
di individui senza scrupoli. Egli e il suo dio confidavano giustamente che il
miscuglio di genti ancora da mettere in pari con la religione evoluta e
purificata non creassero dissidi e perdite, ma meritassero la concordia e la
collaborazione più augurabile.
Alcuni insuliti, i più retrogradi e attaccati
ai formalismi, erano irrispettosi increduli del buon fine. Nutrivano diffidenza
verso l'ineffabile spiritualismo predicato, la cui amorevolezza annullava la
legge, pur dovendo sussistere leggi per la pratica della vita sociale. I
retrivi sospettavano che quella dottrina servisse ai furfanti dando loro libero
campo, e che un dio d'amore soltanto, andasse bene per costruzioni eteree, non
aventi nulla a che fare con l'umana creatura. Sulle loro labbra blasfeme
spuntava il termine di "dio nichilista".
Alla fine, i minuti re insuliti si persero
nell'amalgama dell'eterogeneo mondo cosmopolita, venutosi a creare sotto le sue
torri vetuste, tra i palazzi dei padri e degli antenati. Con loro grande
meraviglia, i superstiti autoctoni godettero della stupefacente sensazione
d'essere stranieri in patria, avendo ceduto la corona e le avite opere
pubbliche ai sopravvenuti che, simili alle fazioni politiche, erano ben poco
cambiati, ben poco uniti dalla concordia. I residui insuliti furono liberi da
qualsiasi responsabilità. I migliori credenti, generosi e serafici, si
affrancarono dal tetto e dalla cucina. L'abbandonata mensa degli stranieri
indigenti, i loro ricoveri dismessi, divennero la loro mensa, i loro ricoveri. Ma
un angelo messaggero si presentò sulle soglie dei molto buoni, e li sorprese mostrando
un bando del Signore dei cieli, che diceva: "I vostri vizietti non saranno
perdonati. Scrutate i vostri cuori e fate penitenza, altrimenti la porta del
Paradiso sarà chiusa per voi".
L'ultimo Capo del Tempio dei templi, fedele al
suo dio, affacciandosi dalla santa dimora rimodernata, proseguiva a rilasciare
sermoni per tutti edificanti, ineccepibili.
Piero Nicola
eccellente, tagliente e (purtroppo) veritiero scritto di Piero Nicola. a volte mi chiedo da quale parte è schierato il potere vaticanista
RispondiEliminail rispetto che si deve ai capi di stato mi impedisce di esprimere il giudizio su Bergoglio
in sede storica oso dire (tuttavia) che la storia contempla pontefici migliori