La faccenda è paradigmatica: rappresenta il flagello della
mondializzazione, cara nondimeno all'UE. La produzione nazionale del riso sta
attraversando una crisi nera a causa della concorrenza internazionale,
orientale, e chi dovrebbe porre rimedio fa promesse risibili.
A Roma i risicoltori hanno manifestato sonoramente la loro protesta. Gli
argomenti sono forti. Al di là della semplice concorrenza priva di confini (di
per sé iniqua, in quanto impedisce di tutelare la vita di comunità storiche e
popolose) i danneggiati denunciano una concorrente produzione estera che sfrutta
la manodopera e usa pesticidi, vietati dalle nostre leggi.
Il ministro dell'agricoltura ha dichiarato alla tivù che chiederà a Bruxelles
il permesso per i venditori italiani di riso d'applicare le etichette che
indicano la provenienza del prodotto. Questa, è lo stato di dipendenza del
nostro Paese nei confronti di un governo europeo, chiamato
"commissione", autonomo rispetto alle nazioni dell'unione, fedele al
progetto del mondialismo.
Cari
amici, il mondialismo riposa sul corollario del libero mercato, il quale è un
principio democratico inviolabile. Non sempre lo fu; i dazi doganali ebbero, sino
a non molti anni or sono, le loro brave giustificazioni. Ma il Progresso
evolutivo, consorte della Libertà, non ha mancato di onorarla superando le
separazioni, le anacronistiche protezioni così contrarie agli scambi esenti da
discriminazione, da privilegi, contrarie alla benefica e buona solidarietà
universale. Infatti il posporre l'economia, la sua legge universale agli
interessi di una comunità, oggi è negato e disprezzato col termine denigratorio
di protezionismo. E questo, nella
presunzione che i liberi scambi di ogni genere siano la premessa necessaria per
un vantaggio generale, per il benessere di tutti.
Tale
dottrina economica malfondata, che riguarda gli interessi materiali e di
sussistenza, che tocca il portafoglio individuale, va a sostenere il miscuglio
delle nazioni, è incentivo a credere al
profitto che verrebbe da una società che è congerie di varie civiltà,
dove si esclude una civiltà egemone assimilatrice e degna di simile ruolo. Non
vale neppure l'esempio degli Stati Uniti quale federazione e paese cosmopolita.
Essi, almeno fino qualche tempo addietro, facevano ben assimilare all'emigrante
il loro spirito e la loro cultura, e gli emigranti divenivano americani, non
già dei senza patria, astratti cittadini del mondo. Per altro, tale identità
statunitense, se ebbe un certo successo materialistico, essendo liberale e
democratica fu moralmente scadente, destinata al brutto declino in cui adesso va
brancolando. Il lavoro, la produzione tecnica, l'iniziativa sono un'igiene che
da sola non salva l'anima e, alla lunga, rovina il corpo personale e sociale.
In Italia la decadenza provocata dalla mancanza di ideali e di valori
autentici, la democrazia sostanzialmente individualista e immoralista, il
buonismo, l'animalismo, la religione corrotta, corrispondono a una disgraziata
unione europea e a un mondialismo privo di qualsiasi profitto.
L'Alitalia semi svenduta allo straniero sta
fallendo. Le grandi aziende di servizi pubblici (ferrovie, telecomunicazioni,
autostrade, banche, assicurazioni) non sono più nostre: sono sul mercato, alla
mercé di qualsiasi interesse superiore al nostro interesse. Non abbiano una
moneta nazionale, utile per difendere i nostri beni. Il nostro debito pubblico
è largamente in mano a finanzieri esteri e all'altrui speculazione. La
liberalizzazione economica senza frontiere, ha consegnato aziende d'ogni
importanza a multinazionali che agiscono anzitutto a vantaggio di soggetti
estranei, noti o ignoti, e ha condotto altre nostre imprese fuori dell'Italia. Nel
Gran Milàn, il Milan e l'Inter non sono più milanesi, ma di proprietà asiatica.
Berlusconi culla e bacia il candido agnello pasquale con un'aria proprio
commossa, commosso come la Brambilla non sa mostrarsi, adusa com'è alla
popolare battaglia per la salvaguardia degli animali; nella quale un tempo
eccelsero gli inglesi, tanto che i maligni dissero che a loro l'animale stava
più a cuore dell'uomo straniero.
Ma
erano pregiudizi di tempi oscuri, riscattati dalla pienezza democratica, dalla
pienezza dalla libertà e dei diritti, dall'evoluzione dell'Unesco, che
conferisce patenti ambite alle bellezze d'ogni contrada, la quale ne esce un
poco espropriata, perché esse appartengono all'umanità.
Gira e rigira si finisce sempre nella melassa internazionalista, solcata
dalle prore superbe dei grandi magnati; escluso il Berlusca. Egli è troppo dolce
per il dominio, e deve credere sul serio nei suoi poveri ideali. Mi sa che
anche Trump farà la stessa fine, oppresso e rincitrullito dai ricatti.
Piero Nicola
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