lunedì 10 aprile 2017

Un saggio di padre Giovanni Cavalcoli o. p.: L'inferno esiste

 “Se il prossimo pone ostacolo alla nostra ricerca di Dio, dobbiamo avere la forza d'animo di respingerlo o di separarcene, come invece abbiamo il preciso dovere di seguire quei maestri e quei santi che ci conducono a Dio, o di prenderci cura di coloro che si lasciano guidare verso Dio”.
Giovanni Cavalcoli o. p.


Insistentemente il sagace e dotto padre Cavalcoli confuta e respinge la suggestione della nuova e orizzontale teologia, denuncia la suggestione secolarista e la tendenza a dimenticare la meta ultraterrena, contemplata dalla teologia cattolica, e rammenta, infine, che “Dio, nel creare l'uomo, non era per nulla obbligato a indirizzarlo al fine soprannaturale, il quale, come insegna Pio XII nell'enciclica Humani Generis, non corrisponde affatto ad un'esigenza dell'umana natura, ma una esigenza soltanto allorché l'uomo sa per fede dell'esistenza di questo fine sublimassimo e quindi comincia a desiderarlo e ha il diritto di desiderarlo in forza della grazia dello Spirito Santo”.
Testimone sapiente e intrepido difensore della tradizione indeclinabile, che contempla l'incompatibilità della misericordia cristiana con la frenesia perdonista/irenista, al galoppo nelle piste battute e appiattite dagli zoccoli della teologia asinina, l'illustre padre domenicano lavora instancabilmente e sagacemente alla confutazione delle bellurie, di vago stampo modernistico, messe in circolazione dall'applaudita combriccola dei teologi incontinenti.
Un puntuale e intrepido saggio del dotto teologo, “L'inferno esiste La verità negata”, pubblicato nella collana dell'animosa casa editrice veronese Fede & Cultura, sferra un duro colpo all'equivoco pseudo misericordioso, sussurrato e talora gridato dai pulpiti di una rugiadosa e grondante teologia, impegnata nel vano inseguimento della sognata capitolazione della giustizia divina.
Risolutamente intenzionato a dissipare le ombre dell'umanesimo ateo, in oscurante/devastante discesa nella teologia neo modernista, l'autore rammenta che “è Dio che salva e non l'uomo che salva se stesso: verità fondamentale della religione cristiana … Dio salva in quanto creatore, crea l'atto stesso col quale l'uomo si salva … nella salvezza la mozione prima viene da Dio (predestinazione) per cui la mia decisione è causata da lui, nella perdizione la decisione è soltanto mia”.
Dopo aver dimostrato che la sequela della falsa libertà è indirizzata all'orrore dell'inferno, padre Cavalcoli sostiene che il dannato gode (paradossalmente) della sua infelicissima condizione “perché l'ha voluta egli stesso, né quindi si pente della sua scelta”.
Di seguito l'autore stabilisce che il negativo – l'inferno – presenta un significato positivo: “mentre nel paradiso il negativo è assente, nell'inferno il negativo è ordinato al positivo”, Infatti è certo che ci sia una pena “perché questa è l'esigenza della giustizia”. In tale modo è arrestata la corsa frenetica di quella suggestione buonista, circolante nelle sedi della catechesi avventurosa, tesi che nega l'esistenza dell'inferno allo scopo di affondare la teologia cattolica nelle acque torbide dell'anarchismo teologizzante, acque avvelenate dal modernismo, nelle quali nuota il bifido delirio degli atei religiosi. Opportunamente padre Cavalcoli confuta i teologi buonisti, che galoppano intorno al mito dell'inferno vuoto: “In paradiso balza in primo piano la volontà di Dio, nell'inferno la volontà dell'uomo. Nessun motivo dunque di turbarsi, ma solo di lodare l'ordine della divina provvidenza, della bontà, della giustizia e della misericordia”.

Un puntuale capitolo del libro presenta le ragioni della contestazione della trionfante, confusionaria teologia di Karl Rahner. Al proposito padre Cavalcoli cita un ragionamento acrobatico (che Cornelio Fabro avrebbe definito delirio teologico) in cui si afferma - intrepidamente - che anche l'ateo si salva “infatti egli è un cristiano anonimo, il quale, se tematicamente ed esplicitamente nega Dio, nel suo preconscio trascendentale e atematico, sorretto dalla grazia, implicitamente lo afferma”.

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