“Se il prossimo pone
ostacolo alla nostra ricerca di Dio, dobbiamo avere la forza d'animo
di respingerlo o di separarcene, come invece abbiamo il preciso
dovere di seguire quei maestri e quei santi che ci conducono a Dio, o
di prenderci cura di coloro che si lasciano guidare verso Dio”.
Giovanni Cavalcoli o. p.
Insistentemente il sagace e dotto padre Cavalcoli
confuta e respinge la suggestione della nuova e orizzontale
teologia, denuncia la suggestione secolarista e la tendenza a
dimenticare la meta ultraterrena, contemplata dalla teologia
cattolica, e rammenta, infine, che “Dio, nel creare
l'uomo, non era per nulla obbligato a indirizzarlo al fine
soprannaturale, il quale, come insegna Pio XII nell'enciclica Humani
Generis, non corrisponde affatto ad un'esigenza dell'umana natura, ma
una esigenza soltanto allorché l'uomo sa per fede dell'esistenza di
questo fine sublimassimo e quindi comincia a desiderarlo e ha il
diritto di desiderarlo in forza della grazia dello Spirito Santo”.
Testimone
sapiente e intrepido difensore della tradizione indeclinabile, che
contempla l'incompatibilità della misericordia cristiana con la
frenesia perdonista/irenista, al galoppo nelle piste battute e
appiattite dagli zoccoli della teologia asinina, l'illustre padre
domenicano lavora instancabilmente e sagacemente alla confutazione
delle bellurie, di vago stampo modernistico, messe in circolazione
dall'applaudita combriccola dei teologi incontinenti.
Un puntuale
e intrepido saggio del dotto teologo, “L'inferno esiste La
verità negata”, pubblicato nella collana dell'animosa casa
editrice veronese Fede & Cultura, sferra
un duro colpo all'equivoco pseudo misericordioso, sussurrato e talora
gridato dai pulpiti di una rugiadosa e grondante teologia, impegnata
nel vano inseguimento della sognata capitolazione della giustizia
divina.
Risolutamente
intenzionato a dissipare le ombre dell'umanesimo ateo, in
oscurante/devastante discesa nella teologia neo modernista, l'autore
rammenta che “è Dio che salva e non l'uomo che salva se
stesso: verità fondamentale della religione cristiana … Dio salva
in quanto creatore, crea l'atto stesso col quale l'uomo si salva …
nella salvezza la mozione prima viene da Dio (predestinazione) per
cui la mia decisione è causata da lui, nella perdizione la decisione
è soltanto mia”.
Dopo
aver dimostrato che la sequela della falsa libertà è indirizzata
all'orrore dell'inferno, padre Cavalcoli sostiene che il dannato gode
(paradossalmente) della sua infelicissima condizione “perché
l'ha voluta egli stesso, né quindi si pente della sua scelta”.
Di
seguito l'autore stabilisce che il negativo – l'inferno –
presenta un significato positivo: “mentre nel paradiso il
negativo è assente, nell'inferno il negativo è ordinato al
positivo”, Infatti è certo che ci sia una pena “perché
questa è l'esigenza della giustizia”.
In tale modo è arrestata la corsa frenetica di quella suggestione
buonista, circolante nelle sedi della catechesi avventurosa, tesi che
nega l'esistenza dell'inferno allo scopo di affondare la teologia
cattolica nelle acque torbide dell'anarchismo teologizzante, acque
avvelenate dal modernismo, nelle quali nuota il bifido delirio degli
atei religiosi. Opportunamente padre Cavalcoli confuta i teologi
buonisti, che galoppano intorno al mito dell'inferno vuoto: “In
paradiso balza in primo piano la volontà di Dio, nell'inferno la
volontà dell'uomo. Nessun motivo dunque di turbarsi, ma solo di
lodare l'ordine della divina provvidenza, della bontà, della
giustizia e della misericordia”.
Un
puntuale capitolo del libro presenta le ragioni della contestazione
della trionfante, confusionaria teologia di Karl Rahner. Al proposito
padre Cavalcoli cita un ragionamento acrobatico (che Cornelio Fabro
avrebbe definito delirio teologico) in cui si afferma -
intrepidamente - che anche l'ateo si salva “infatti egli è
un cristiano anonimo, il quale, se tematicamente ed
esplicitamente nega Dio, nel suo preconscio trascendentale e
atematico, sorretto dalla grazia, implicitamente lo afferma”.
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