sabato 25 febbraio 2017

IL TALLONE D'ACHILLE DELLA NORMALITÀ (di Piero Nicola)

Soltanto i pervertiti negano che la normalità sia una cosa buona. E molti di quelli che dall'idea di essa sono scombussolati, non hanno il coraggio di denigrarla. Non intendo adesso riferirmi alla normalità individuale conforme alla legge di natura. Parlo della vita pubblica alquanto ordinata, dell'ordine pubblico e della realizzazione di una giustizia civile abbastanza soddisfacenti. Essi sono un conforto, una pace che costa qualche sacrificio; occorre accettarlo e anche pregiarlo essendo una rinuncia a fin di bene, suscettibile d'essere virtuosa.
  Voglio far notare come il cittadino che abbia la ventura di vivere in una società assai esente da disordini, che non sia tormentato dal timore di ladri, rapinatori, assassini, raggiri, a cui in qualche modo non si sfugge, si abitui alla sua fortunata condizione senza apprezzarne il valore. È pure comprensibile che ciò avvenga: egli ha diritto ad essere protetto dallo Stato, il cui compito consiste appunto nella tutela del bene comune. A quel cittadino sembrerà scontato che le leggi siano eque, i giudici imparziali, che criminali e malfattori siano puniti e scontino le pene senza indulgenze di sorta. Allora parrà implicita la guerra senza tregua mossa dallo Stato a mafie e camarille, agli spacciatori di droga e ai loro capi; sembrerà normale che siano ridotte ai minimi termini le associazioni a delinquere e sovversive. Ma l'abitudine alla salute ne diminuisce il pregio, lo si ignora cercando un diverso sistema di vita (sociale e individuale) lusinghevole, presumendo di conservarsi ugualmente sani e vigorosi.
  "Quando mai il suddetto benessere poté darsi senza iniquità e oppressioni?" obiettano i democratici, che pure cercherebbero la corruzione (in qualche misura inevitabile) anche dove non c'è. Mettiamo nella sentina loro spettante le vergognose licenze spudoratamente chiamate libertà, i relativi loro diritti stortissimi, e ritroviamo nella storia, magari del primo Ottocento, esempi e testimonianze autorevoli della degna buona vita, priva di veri soprusi commessi dalle autorità. L'hanno rappresentata, nel Granducato di Toscana  e nello Stato della Chiesa, Narciso Feliciano Pelosini, Alfredo Panzini e diversi altri. Invano i libertari e i democratici d.o.c. le contestano una certa arretratezza, accusano la sonnolenza di quelle plaghe, il brigantaggio che qua e là riusciva a far danno.
  Con l'avvento del Regno d'Italia specie molti borghesi s'infatuarono del velenoso progresso liberale, i topi trafficanti e speculatori poterono addentare il formaggio e rimpinzarsi, ma il popolo, i bravi fedeli, subirono la nuova rivoluzione spacciata con nomi falsi e altisonanti. Socialismo, basse brame, vanitose aspirazioni finirono per inghiottire gran parte delle forze sociali operaie e dirigenti. Il contado più quieto, i veri devoti, i preti ossequenti al Papa, furono vasi di coccio stretti tra vasi di ferro. e fecero le spese dei ferrigni interessi. Non si può dire che il rivolgimento avvenne assai per l'ingratitudine popolare rispetto alla vita sana abbandonata, per smanie di novità e di democrazia.
  Viceversa tale fenomeno è accaduto nel Ventesimo Secolo. Se dicessi che quella certa stanchezza del regime fascista, manifestatasi nel lustro che precedette la guerra, fu travisata da storici anche in discreta buona fede, se allegassi il detto di Longanesi - non di certo tenero col regime - riferito ai politici antifascisti che stavano riprendendo il potere : "Si ha sete di punizioni perché si crede con ciò di liberarsi di un triste passato nel quale tutti sono stati benissimo”, qualcuno potrebbe accusarmi di illecita apologia. Ma prendendo in considerazione gli spagnoli e i portoghesi, che erano stati alquanto nel pulito fino alla scomparsa di Franco e di Salazar (i cui sistemi politici furono accettati ufficialmente dall'Occidente), come si spiega che preferirono introdursi nella cloaca massima? Certamente i politicanti sedussero la massa; essa però fu passiva, indifferente a quello che stava per perdere.


Piero Nicola

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