Il dovere dei cardinali e, in loro
difetto, di ogni altro membro della Chiesa, è quello di difendere la Verità
contro errori ed eresie. Anche ammettendo che un documento importante (Amoris Laetitia) avente la pretesa
d'appartenere al magistero universale (sottoscritto da Bergoglio), fosse
soltanto ambiguo, ovvero potesse essere interpretabile in senso ortodosso, la
voluta mancanza di una debita risposta da parte dell'autore pone ipso facto quest'ultimo nell'eresia,
nella perdita dell'autorità, nell'usurpazione. Infatti si tratta di aver leso
gravemente alcuni dogmi (il vigore della Legge di Dio, ammettendo la coscienza
quale giudice della colpa o dell'innocenza individuale, la relativizzazione del
Sacramento del Matrimonio, del peccato di sodomia, della condanna del pubblico
peccatore e dello scandalo). Dunque i quattro porporati, che avevano richiesto
la spiegazione, non potevano esimersi dall'andare sino in fondo.
Sicché la questione finisce qui.
Ma occorre considerare l'opera di presunti tutori della Verità, i quali
approvano e condividono l'operato di quei cardinali che hanno domandato
chiarimenti a Bergoglio in merito ad Amoris
Laetitia, senza aver tratto le ineludibili conseguenze dal mancato responso.
In Fidesetratio - Sito ufficiale dell'associazione Fides et
Ratio di Mons. Antonio Livi -
compare un'intervista fatta il 18 nov. 2916 al monsignore da Benedetta
Frigerio per La nuova Bussola Quotidiana..
In una prima risposta, l'effetto del sinodo che ha fatto capo
all'esortazione conclusiva "è stato quello di un tremendo 'disorientamento
pastorale'", con l'episcopato "irrimediabilmente diviso sulle
questioni più importanti riguardanti il dogma e la morale della Chiesa, e anche
sull'autorità del Papa". Però "il disorientamento [...] non è prodotto direttamente dai lavori
del Sinodo né dalla Amoris Laetitia,
ma dal modo con cui l'opinione pubblica cattolica è stata informata [...] Lo
scopo, il valore e i risultati dei lavori sinodali - ivi compresa l'esortazione
post-sinodale scritta dal Papa - non sono stati apprezzati sufficientemente dai
fedeli, frastornati [...] purtroppo anche dalle interpretazioni faziose che ne
hanno dato vescovi, sia progressisti sia conservatori".
Piacerebbe sapere quali vescovi conservatori abbiano dato
"interpretazione faziose", ossia eccessive.
"Per questo motivo mi rallegro assai e benedico Iddio per
l'intervento pubblico dei quattro cardinali, i quali si collocano al di sopra
delle diatribe ideologiche e mirano soltanto a ri-orientare i fedeli cattolici
e a salvaguardare l'unità della Chiesa".
Quest'ultimo passo conferma come quelle eminenze non si siano veramente
opposte all'errore e intendano mantenere l'unità di quella che non è più la
Chiesa, ma una pseudo-chiesa che propaga l'eresia.
È mai possibile lodare la richiesta (disattesa) di lumi su cruciali
punti di dottrina, ritenendo che i quesiti avanzati siano suscettibili di
"ri-orientare" i fedeli e di mantenere "l'unità della Chiesa"?
No di certo. L'errore va rimosso da colui al quale spetta di rimuoverlo,
altrimenti dev'essere condannato.
Il teologo Livi, interrogato, affronta l'oggetto della
"diatriba": oziosa, in quanto si tratta di un oggetto improponibile
perché, di per sé, contravviene al dettato divino, che in proposito fu per
sempre chiaro e definitivo.
Egli dice che i problemi gravi contenuti nel capitolo ottavo del
documento incriminato "sono la fedeltà alla Tradizione della Chiesa in
materie davvero fondamentali, come sono i sacramenti della Nuova legge: il
Battesimo, il Matrimonio, la Penitenza [Confessione], l'Eucaristia [...] Il
Papa parla della dottrina come di qualcosa di statico e di formalistico che,
all'atto pratico, deve essere messo da parte. Il documento tradisce una
mentalità erroneamente 'pastorale', che in realtà è la sudditanza psicologica
alla falsa teologia del progressismo storicistico, per cui la Chiesa dovrebbe
cambiare la verità rivelata da Dio per assecondare le presunte esigenze del
cosiddetto 'mondo moderno'".
Egregio teologo, possiamo toglierci da ogni incertezza! Gli
provvedimenti eretici a tale riguardo, gli ultimi sedicenti papi li hanno
pressi a iosa. Giovanni XXIII col pelagianesimo di encicliche e atti che
ponevano la vasta possibilità per non cattolici di fare il bene salvifico,
quanto meno il bene sociale sufficiente. I suoi successori, con il laicismo del
diritto alla libertà religiosa e della separazione dello Stato dalla Chiesa
nondimeno negli Stati cattolici, che è la detronizzazione del Signore, ecc.
ecc.
L'autore passa al "discorso sulla coscienza, svolto in
contraddizione con la dottrina della Chiesa". "La coscienza del
singolo fedele, secondo l'esortazione apostolica, può legittimamente ritenere
non vincolante un comandamento di Dio se non lo 'sente' come applicabile al suo
caso concreto".
Stando così le cose, ce n'è abbastanza per accusare la violenza usata al
Vecchio e al Nuovo Testamento.
Ma il Livi osserva che "la coscienza non è un cieco strumento
soggettivo: è un atto dell'intelligenza che 'legge' nella realtà concreta
l'ordine o il disordine oggettivo rispetto alla volontà salvifica di Dio".
E aggiunge: "La coscienza di ogni fedele cristiano percepisce sempre
benissimo il bene e il male in relazione ai comandamenti di Dio [...] Ogni cristiano
sa, nel suo intimo, che la disobbedienza ai comandamenti di Dio è la propria
rovina".
Fa specie che questo studioso ignori i vari generi di coscienza di
chiunque, cristiano o non cristiano. Si ricorda l'importanza della coscienza
assistita, retta, verace? Non basta conoscere i Comandamenti per rispettarli in
coscienza. Esiste quella vera e quella falsa "a seconda che il giudizio
pronunciato concorda o no con la norma oggettiva (legge). La falsità del
giudizio può essere imputabile o no al soggetto; nel primo caso la coscienza è
detta vincibilmente erronea [...] nel primo caso è quindi imputabile [...] La
coscienza falsa (erronea) è detta lassa se esagera la illiceità [...]
Cauteriata è la coscienza che in modo abituale ha raggiunto il massimo
lassismo; farisaica è la coscienza di chi giudica dei propri doveri con falso
criterio comparativo, dando soverchia importanza a cose di poco conto e
trascurando obbligazioni gravi. A seconda della fermezza del giudizio in cui
essa consiste, la coscienza è certa o dubbia [...] La norma della nostra
condotta deve essere la coscienza certa" (Dizionario di teologia morale,
Ed. Studium, 1954). In conclusione, la coscienza erronea fa giudicare lecito
l'illecito, e il fatto che sia colpevole non muta il giudizio, che fa commettere
il peccato. Perciò il cristiano può giustificare l'errata interpretazione del
comandamento con una coscienza pervertita. "Nel suo intimo"
(coscienza), non riconosce di disobbedire al Signore.
Dopo aver sostenuto di non aver mai riscontrato nelle confessioni chi
non si accusi sinceramente circa trasgressioni in materia grave alla legge di
Dio, il nostro teologo ci stupisce dicendo che "è un gran danno alle
coscienze dei fedeli un discorso come quello della Amoris Laetitia che sembra incoraggiare i fedeli a mentire a se
stessi e alla Chiesa ritenendosi 'senza peccato' per una presunta mancanza di
consapevolezza o condivisione della legge morale".
L'osservazione è contraddittoria e non regge.
Se ai fedeli si dicesse che la propria ignoranza serve per assolversi, essi
cesserebbero d'essere ignoranti innocenti e non potrebbero assolversi.
Viceversa si dice senz'altro che la loro coscienza (ritenuta buona) può
assolverli.
Infatti il discorso prosegue con un ripensamento, tuttavia di nuovo
errato: "I casi che vengono presi in esame - quelli relativi a fedeli
regolarmente coniugati che si separano dal legittimo coniuge e convivono more uxorio con un'altra persona - non
ammettono in realtà l'ipotesi astratta di una mancanza di consapevolezza o di
piena condivisione della legge morale: tali persone sanno benissimo di essere
in stato di peccato mortale e di non poter ricevere l'assoluzione
sacramentale".
Ciò spesso non è vero. Se fosse vero, "tali persone" sarebbero
bensì immuni dal cattivo ammaestramento. Esse possono giudicare (coscienza)
colpevolmente di essere giustificati e di meritare i Sacramenti. Naturalmente a
questo peccato contribuisce assai l'attuale pseudo-chiesa.
L'affermazione secondo cui "Pastori della Chiesa" sono
assistiti da Cristo mediante lo Spirito Santo con "le grazie necessarie, a
cominciare dal carisma dell'infallibilità nell'insegnamento ufficiale della
dottrina rivelata" ci sorprende, in quanto coloro che riconoscono
Bergoglio come papa, negano l'infallibilità del suo "insegnamento ufficiale",
che dovrebbe valere al massimo grado, al di sopra di quello degli altri
"Pastori". Tale negazione è indispensabile per conservare a Bergoglio
l'indispensabile prerogativa dell'infallibilità pontificia, nonostante il suo
magistero riconosciuto erroneo. Si badi che esso implica la fede e i costumi.
Del resto, questo papa riconosciuto da Antonio
Livi , "ha deciso di fare sue alcune proposte ["durante i lavori del
sinodo"] e di respingerne altre, ma lo ha fatto con quella 'voluta
ambiguità' che io ho deprecato più volte [...] E l'ambiguità è inaccettabile in
un documento che pretende di essere magistero ecclesiastico".
Si dichiara che Bergoglio esercita un "magistero
ecclesiastico", cioè universale, "inaccettabile", che quindi non
può essere infallibile, mentre dovrebbe esserlo per poter sostenere che
Bergoglio è papa.
Piero Nicola
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