domenica 8 febbraio 2015

IL MONDO VA A SBATTERE? (di Piero Nicola)

  La guerra in Iraq contro Saddam Hussein è andata male. Male per gli americani che, dopo anni di occupazione, non hanno ottenuto l’amicizia, la collaborazione popolare, un alleato; male per la sicurezza interna di quel paese, per la pacificazione, per un accordo delle diverse razze e nazioni stanziate lungo il Tigri e il Eufrate. Stato e governo iracheno sono instabili, instabile il contraente nei commerci, incerti i patti per gli sfruttamenti petroliferi. Situazione franosa, domani nebbioso. Non c’è che dire, gli iracheni stavano meglio quando stavano peggio…
  Nessuno mi toglie dal capo che i parecchi soldati statunitensi deceduti e invalidi, le enormi spese militari sostenute e non terminate, le brutte figure di torture, ammazzamenti, bombardamenti a tappeto su civili indomiti, di abbandono del campo senza una vittoria chiara, siano il disgraziato esito di un complesso di superiorità, d'un pregiudizio democratico e nondimeno dell’avarizia. Più medito, e più mi convinco che gli USA abbiano voluto fare le nozze coi fichi secchi. Sbagliati i calcoli, hanno finito con lo spendere il doppio. Era da sciocchi puntare sull’efficienza degli armamenti e sulle truppe.
  Dopo aver compiuto la demolizione e la dispersione a suon di proiettili, di bombe, di fuoco e fiamme, i soldati veri dei reparti guerriglieri andavano sconfitti sul terreno. Ma si sapeva dal Vietnam che ciò era un pio desiderio. Contro un nemico deciso a non arrendersi, più agguerrito di quanto non fossero le SS alla caduta del Terzo Reich, anche in un territorio che offre pochi ripari, l’offensiva di marines prevalentemente mercenari, poiché il loro arruolamento si doveva sopratutto alla ricerca d’un mestiere ben retribuito, era destinata a spuntarsi. Nemmeno coi gradassi nerboruti e i fusti da palestra, assai indisposti a morire per le insegne e la bandiera, si va lontano. L’unica rotta da seguire restava quella della profusione della gomma da masticare, delle cioccolate, delle caramelle e dei biglietti di banca distribuiti con larga oculatezza. Invece di sommergere il nemico riottoso con le derrate, i passatempi avvincenti e le palanche, ci si è incaponiti a volerlo piegare al proprio mondo. Il nemico si è rotto, ma non si è piegato, una quantità di pezzi con rimasti diritti e hanno virtù di ricrescita.
  Pensavo così qualche anno fa, prima delle Primavere arabe nel Nord Africa e in Siria. E non mi sembra d'essere andato molto distante dal prevedibile, ossia dal conseguente. La fomentata rivoluzione in Libia, in cui è intervenuta la NATO, ha prodotto il caos sulla nostra ex Quarta Sponda, a nostro danno e a vantaggio dei fondamentalisti islamici. Dopo inutili disordini, in Tunisia e in Egitto le cose sono tornate pressappoco come prima, ma non certo ad incremento del prestigio statunitense. In Siria, l'appoggio dato ai rivoluzionari ha rafforzato, anche lì, i movimenti estremi dei guerrieri di Allah, i quali, ben riforniti, hanno creato lo stato dell'ISIS, che si è esteso nel Nord dell'Iraq sino a minacciare Bagdad. Ciò grazie all'alleanza con i sunniti irriducibili, specie quelli di Tikrit e di Falluja, ansiosi di vendicarsi. D'altronde l'aiuto fornito dalla Russia ad Assad, con andarivieni delle navi di Putin nel porto di Latakia, ha contribuito non poco a impedire il rovesciamento del regime siriano. Lo stesso intervento aereo degli USA e compagni non è stato risolutivo.
  Delegare l'onere della guerra terrestre agli altri è un azzardo, e tanto più trattandosi di islamici, la cui passione principale è gettarsi in avventure belliche, sia combattendosi fra di loro sia contro l'Occidente, col quale, per vari motivi hanno un lungo conto in sospeso. Si ricorderà quanto il popolo egiziano tifasse per Hitler e aspettasse Rommel a dispetto degli inglesi, durante la Seconda Guerra Mondiale.
  Le nefandezze operate dal califfato dell'ISIS, per altro riferite in un clima di propaganda, non sono in discussione. Né intendo indugiarmi facendo confronti morali con i misfatti compiuti da paesi ritenuti civili e in qualche modo cristiani.
  Quale la nuova prospettiva intuibile con i dati di cui dispone l'uomo della strada?
  L'America e le potenze belliche ad essa aggregate si affidano alle incursioni aeree, alle ostilità economiche, al logoramento del nemico. Per ora, non si azzardano a intervenire sul terreno, dove hanno già fallito, come accaduto in Afganistan. Di certo, esse possono permettersi lo statu quo, anche lo Yemen caduto in mano ad Al-Quaida. Tuttavia da qualche decennio esse ci hanno soltanto scapitato. E la situazione resta fluida.
  Forse il nodo del prestigio importante si scioglierà in Ucraina, dove la contrapposizione è seguita a un losco colpo di stato spacciato per insurrezione popolare e dove l'America si è avventurata a contrastare duramente la Russia. Lì, per altro, si confrontano due ideologie (potrà la Grecia passare nella sfera di Mosca?) e il mondialismo si gioca le sue carte per la conquista psicologica ed economica della terra.
  La posta è enorme. I falchi a stelle e strisce stanno pronti sul trespolo, che potrebbe mutarsi nel ramo da cui partono gli ordigni più grossi.

  Oggi pare che il presidente Hollande abbia accennato alla possibilità di un conflitto vero e proprio, dall'estensione imprevedibile. Lo stesso Berlusconi, che qualche volta ritrova il coraggio, sebbene soltanto verbale, ha accusato Renzi di vantare riforme scarsamente risolutive della crisi socio-economica e di trascurare i venti di guerra che spirano in Ucraina.

Piero Nicola

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