martedì 3 febbraio 2015

Promemoria dedicato ai dossettiani oggi gongolanti

A Piero Bargellini il dottor Eugenio Zolli, ex rabbino di Roma, confidò di essersi convertito perché aveva incontrato in Pio XII l’uomo che viveva nel soprannaturale.
  Infangare la memoria di Pio XII, l'autore della Humani generis, l'enciclica che metteva fuori gioco i neomodernisti, fu il mezzo escogitato dalla propaganda comunista per rianimare la sinistra democristiana e coinvolgerla nella politica per il c. d. progresso.
 Quale esempio della permeabilità dei cattolici progressisti al fascino della calunnia, conviene tuttavia rammentare l'antecedente della diffamazione di Papa Pacelli, ossia il mito intorno al colpevole “silenzio di Pio XI”. Si tratta di una leggenda nera inventata e diffusa da Emanuel Mounier, autore dei saggi aperturisti pubblicati nel biennio 1938-1939. Tradotti da Franco Onorati, i testi di Mounier furono ripubblicati dalla casa editrice dei dossettiani, La Locusta di Venezia, nel 1967, quando cominciava a diffondersi la calunnia contro Pio XII.
 Il muro di Berlino ha sepolto la memoria di Mounier, cattocomunista talmente estremo da spaventare perfino Jacques e Raissa Maritain. I testi calunniosi, scritti e pubblicati negli anni Trenta sono qui citati per ricordare ai cattolici oggi festanti la stagione della mano cattolica tesa alla menzogna. Una tensione sopravvissuta - nel cuore dei cattolici democratici - alla caduta del muro di Berlino e all'estinzione della mitologia sovietica.
 Il bersaglio scelto e mirato da Mounier era “Il sordido anticomunismo, pieno di paura e di egoismo, che sottolinea la sproporzione fra la mediocrità che lo sostiene e il formidabile slancio storico che  il  comunismo  ha  provvisoriamente  e  parzialmente captato[1].
 Il disprezzo per l’anticomunismo, fu girato a Pio XI colpevole di aver condannato l’ideologia “intrinsecamente perversa” e di essersi felicitato con i franchisti “che gettano le bombe sui bambini”, e di averli definiti “la parte sana del popolo spagnolo, che aveva difeso l’ideale della fede e della civiltà cristiana”. Mounier pensava, infatti, che la parte sana del popolo ispanico fosse schierata con i massacratori dei sacerdoti, della suore cattoliche e dei sacrestani.
 Consapevole dell’enormità dell’accusa, Mounier mise subito le mani avanti: “So quel che si obietterà: che chiediamo indulgenza per gli uccisori dei preti e gli incendiari delle chiese …. Come se la rivolta di Franco non avesse creato il comunismo più agguerrito in ogni parte della Spagna, provocando l’aiuto di Mosca e la riconoscenza di un popolo generoso[2].
 Ora la tesi di Mounier, secondo cui la rivolta di Francisco Franco avrebbe provocato la giusta e collera popolare e fatto inferocire il generoso slancio dei boia comunisti, è una spiegazione surreale, degna della logica staliniana innestata nella mente di un cattolico conformista.
 Per misurare l’enormità della menzogna diffusa da Mounier è sufficiente considerare le date: la rivolta militare (franchista) inizia il 18 luglio del 1936, la persecuzione della Chiesa cattolica da parte dei comunisti spagnoli durava dal 1931 (incendio e distruzione di chiese e conventi) ed aveva subito un'accelerazione (massacri di preti e religiosi) nel 1934.
 Uno storico imparziale quale Stanley G. Payne, a proposito dei massacri di sacerdoti e religiosi, afferma che non furono il prodotto spontaneo e incontrollabile della collera popolare (quella che Mounier sosteneva fosse provocata dalla rivolta franchista) ma “la conseguenza di un furore praticato da piccoli gruppi rivoluzionari, costituiti per questo compito, con l’approvazione e qualche volta per iniziativa dei dirigenti delle maggiori organizzazioni repubblicane”. 
 Dato un tale scenario cosa avrebbe dovuto fare Pio XI: approvare i persecutori specializzati e rimproverare le vittime inermi, che, a corpo morto, opponevano resistenza allo splendido slancio dei comunisti? Esaltare il meraviglioso storicismo degli assassini implacabili e condannare l’ottusa resistenza delle vittime cattoliche? Scomunicare gli insorgenti franchisti?
 Mounier, annebbiato dall’ideologia e turbato dalla passione politica, rivolgeva a Pio XI un’accusa analoga a quella che il lupo della favola rovesciava sull’agnello: stando a valle tu intorbidi l’acqua che io bevo a monte.
 La logica soggiacente al soqquadro della tempistica, si esprime così: subendo la mia violenza oggi tu provochi la reazione che ieri giustificherà il mio intervento dell’altro ieri. I fatti del passato sono accaduti oggi, anzi accadranno domani. La stregoneria cattocomunista, che produce le leggende nere esige la facoltà di muovere le tre tavolette del tempo sul rosso tappeto del trucco.  
 Nel 1978, il dossettiano Giorgio Campanini, per commentare le pagine antifranchiste di Mounier, negli anni plumbei reputate degne di ristampa, non trovò di meglio che riprendere l’argomento del lupus in fabula, riversando la responsabilità dei massacri sulla Chiesa di Spagna, che “per trovare un appoggio presso classi privilegiate, appariva troppo spesso come il pastore di queste ultime piuttosto che della massa”.
 La Chiesa cattolica, secondo la vulgata cattocomunista, era schierata con i ricchi, dunque il popolo non ebbe altra scelta che affidarsi alla protezione degli atei.
 Negli anni dell’egemonia gramsciana quest’interpretazione era dogma. L’untuosa dottrina oggi fa sorridere perché definisce èii errori i delitti della rivoluzione. Ma Campanini era andato oltre Camera e Fabbietti, sostenendo che gli errori erano stati commessi dalle vittime ricche.
 E i monaci assassinati malgrado il voto di povertà e l’evidente stato di povertà? E le monache di clausura, torturate atrocemente e massacrate? E le salme profanate? Per loro la coscienza dei profeti a pensiero unico non ha mai levato una protesta, mai versato una lacrima. Non erano utili alla suprema causa della giustizia proletaria, perciò non era il caso di compiangerli.
 Anzi … Al culmine del delirio aperturista, l’infatuato Mounier non esitò ad insinuare che i martiri avevano provocato la collera dei giusti alleandosi con i criminali fascisti.
  Che cosa si vuole di più utile alla causa dello schiaffo contro la verità? Declassare i martiri di Spagna, ridurli al rango di sostenitori del capitalismo e a complici di una monarchia screditata, è il servizio che la sinistra cristiana ha reso alla causa del comunismo ateo.
 «Per decenni», ha scritto Vittorio Messori nel saggio “Pensare la storia”, «anche per un certo mondo cattolico, sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella tragedia spagnola, fosse la Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i comunisti. Ed è con fastidio che si respingeva l’idea stessa di martirio di quegli innocenti, fino al punto di bloccare i processi canonici per la beatificazione».
 Nell’ottica distorta dai contestualizzatori, “martiri” sono gli autori dell’intesa con i comunisti. Senza imbarazzi, il cardinale Agostino Casaroli ha intitolato al martirio della pazienza il resoconto della morbida e untuosa politica estera da lui condotta negli anni del cedimento all’Urss [3].
 La risolutezza di Giovanni Paolo II ha sollevato il velo dell’ipocrisia curiale, conferendo ad un alto numero di vittime ispaniche (fra i quali alcuni militanti carlisti) la dignità dei martiri e l’onore degli altari.
 Purtroppo la determinazione del papa polacco non è bastata a ristabilire la verità dei fatti, che rivelano l’essenza anticristiana della guerra repubblicana e il coinvolgimento massonico, e dimostrano la complicità dell’oligarchia finanziaria nella pianificazione e nell’esecuzione del massacro. La prudenza suggerita e imposta dalla teologia postconciliare non lo consente ancora.
 Soltanto Vitaliano Mattioli dell’Università Urbaniana, un sacerdote romano non nuovo a pubblicazioni contro corrente, ha infranto la omertosa legge del potere culturale e ha violato il fondamentale imperativo della storiografia (non si devono versare lacrime sugli Olocausti trascurabili), pubblicando, per i tipi dell’editore milanese Fabio De Fina, un saggio il cui titolo non lascia dubbi sull’esplosivo contenuto: “Massoneria e comunismo contro la Chiesa in Spagna 1931-1939.
 Mattioli non è prigioniero di schemi astratti e di pregiudizi partigiani e, pertanto, può esaminare i fatti della storia senza pagare pedaggi a destra o a sinistra. Il pregio della sua opera risiede appunto nella capacità di resistere alla suggestione delle tesi consolidate dalla ripetizione terroristica.
 Di conseguenza, analizzando le cause prossime e remote che hanno preparato la guerra civile stemperando e corrompendo la fede dei popoli ispanici, non tace le gravi responsabilità di quell’oligarchia retriva che la vulgata di sinistra vuole associare alla Chiesa.
    In effetti, all’origine della decadenza spagnola si trova, come sottolinea Mattioli (in sintonia con De Tejada e con la scuola carlista) l’influenza dell’Europa protestante, che diffuse i semi corrosivi dello scetticismo e dell’irreligione gratuita nella Spagna assolutista e codina di Carlo III (1759-1788) e, dopo la  parentesi relativamente felice del regno di Ferdinando VII (1814-1833) nel regno liberale di Isabella e dei suoi successori.
 Ora la rivoluzione comunista che ha devastato la Spagna, trovò un perfetto terreno di cultura nella mentalità prodotta da almeno due secoli di propaganda anticlericale e negli stati d’animo destati (come documenta Mattioli) dalla propaganda settaria, lubrificata dal denaro profuso dalle oligarchie e dalle corti.
 La confusione prodotta dalle agenzie dell’ateismo massonico era tale da contagiare e sviare perfino il movimento dei volonterosi intellettuali che, all’inizio del XX secolo, cercavano di promuovere la rigenerazione del paese. Il movimento, anziché valorizzare la genuina tradizione ispanica, esaltò autori decadenti e torbidi, come Schopenhauer e Nietzsche.   
 Contrariamente all’opinione sostenuta senza fondamento dai cattocomunisti, la Chiesa cattolica di Spagna non s’identificò con la politica culturale d’ispirazione laicista attuata da Carlo III, da Isabella e dalle altre maestà illuminate, ma la contrastò con un’azione lucida e costante. La Chiesa difese la sacra libertà dei fedeli, non le ragioni di una destra bifida e spuria. La vuota albagia delle classi elevate e la devastante ambizione degli emergenti soffocavano la vita della Spagna cattolica e, spesso, le si opponevano apertamente.
 Il ristabilimento di questa scorretta verità da parte di Vitaliano Mattioli scompagina e ridicolizza la dialettica destra-sinistra, intorno alla quale è fiorita la pia leggenda dei poveri comunisti sfruttati dalla borghesia capitalistica, oppressi dal potere retrivo, ingannati dalla chiesa preconciliare e amati solamente dagli intellettuali sedicenti profetici, Maritain, Mounier, La Pira  k Dossetti.
 Invece dell’incantevole idillio cattocomunista, Vitaliano Mattioli descrive due schieramenti irriducibili: l’oligarchia perenne, che tramanda la superstizione del potere dai principi assolutisti ai monarchi illuminati e dai rivoluzionari liberali ai despoti totalitari, e la Chiesa, che difende la libertà popolare in nome di un Regno che non appartiene a questo mondo.
 Davanti a tale evidenza la leggenda nera sulla Chiesa reazionaria si dissolve. La guerra di Spagna appare infine come un episodio della guerra che il potere dispotico (sempre uguale, nel mutare del fondamento ideologico) conduce contro la libertà dei figli di Dio.
 La memoria dei fatti di Spagna è a Rosy Bindi, socia verginale di Scalfatotto e alle pie persone aggrappate agli interpreti della metamorfosi pederastica del comunismo. Agli eredi di Mounier e Maritain, oggi gongolanti e festanti per l'elezione di un piissimo custode dalla sacra Costituzione. 

Piero Vassallo



[1]              Cfr. “L’anticomunismo”, nel giornale “Le voltigeur”, 16 novembre 1938.    
[2]              Cfr.: “Interrogando i silenzi di Pio XII”, nel giornale “Le voltigeur”, 5 maggio 1939.
[3]     Cfr.: “Il martirio della pazienza”, Einaudi, Torino 2000.

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