martedì 3 febbraio 2015

La cultura dopo la destra

Fra gli addetti allo studio della politologia comincia a circolare l'idea che l'estinzione della falsa destra sia stata un evento fortunato e fausto: l'allontanamento di sagome, che gettavano l'ombra di una invadente e tossica insignificanza sulla cultura dell'elettorato benpensante.
 Si chiude una fase storica segnata dallo squilibrio esistente tra la nobiltà della tradizione italiana e la squallida lettura farfugliata o strillata dagli esponenti di una improbabile e surrettizia destra.
 Nel solco, che finalmente separa il comizio degli scappati da casa dal ragionamento intorno alla civiltà,  fioriscono le case editrici sulle quali era seduta la soffocante/insofferente albagia delle menti partitiche in corsa sfrenata verso la comica finale.
 Nell'ingente catalogo dell'infaticabile Marco Solfanelli editore in Chieti, ad esempio, appare in questi giorni il saggio di Riccardo Rosati, Museologia e tradizione, un'appassionante rivendicazione del primato dell'arte italiana, sostenuta da una competenza rara  e capace di sfidare il pensiero conforme al dominio esercitato dal Gruppo Bilderberg e dalla Trilateral.
 Rosati è uno studioso serio e un brillante comunicatore. Non ha peli sulla lingua. Dichiara orgogliosamente l'appartenenza a una cultura  di destra, sfiorata ma non trascinata nel germanico, mortifero gorgo dell'evolismo. Mantiene infatti la distanza di sicurezza dalla destra di esoterico conio e dalle orgogliose brume discendenti dai musei di Francia e Inghilterra. Promuove l'ammirazione dello splendore insuperato dell'arte e della cultura italiana. Rivendica l'originalità e la magnificenza dei mecenati e dei collezionisti, ai quali si deve la conservazione e l'esposizione del più ricco patrimonio artistico esistente al mondo. Getta il ridicolo sugli incensati protagonisti della saga progressista: "Mentre il sindaco Marino pensa di salvare la città andando in bicicletta e pedonalizzando il Centro, le nostre stupende ville storiche sono ormai un bivacco per i rom e discariche a cielo aperto". E osa nominare l'innominabile per eccellenza: "Singolare che in tutto questo scempio si sia salvata la dimora che è stata anche di Mussolini: che sia forse un segnale per capire meglio la nostra storia, attraverso la salvaguardia della memoria?"
 La orgogliosa lettura del patrimonio artistico italiano proposta da Rosati è nutrita dalla volontà di rovesciare la tendenza nazionale all'autocalunnia e all'autodemolizione. E' intesa, ad esempio, a rammentare l'obbligo di giudicare il turismo in base alla qualità, un criterio in base al quale è possibile contestare il culto del Louvre, "museo dal passato oscuro e discutibile, diventato il più importante museo al mondo, solo perché è quello maggiormente visitato". Opinione che penalizza la superiore magnificenza dei Musei Vaticani e della Galleria degli Uffizi.
 In filigrana nelle pagine di Rosati si legge un progetto finalizzato a sollevare la cultura della destra dalla depressione in cui è stata indirizzata da una classe politica vanitosa, insipiente e disarmata: "la sinistra italiana ha impiegato quasi sessanta anni per ridicolizzare e banalizzare l'unicità della nostra cultura, far sapere dunque quanto sia stata al contrario considerata grande l'Italia nei secoli renderebbe vano questo autentico lavoro di demolizione culturale".    
 L'attività dello scrittore Rosati, di conseguenza, è finalizzata alla confutazione dei benpensanti del progresso, attivisti della denigrazione, "intenti a descrivere una Italia provinciale rannicchiata su di un passato ingombrante" e a promuovere la stupida "venerazione per tutto quello che è americano".
 Per cancellare la bugiarda, masochistica calunnia ai danni della cultura nazionale l'autore "dimostra come non solo la Chiesa Cattolica ci abbia regalato Giotto, Michelangelo e Bernini, ma anche un vastissimo proveniente da ogni parte del mondo".
 Di qui l'auspicio che "questa cultura progressista, tanto nichilista quanto bugiarda, la quale si nutre della continua sottovalutazione della nostra nazione, venga sconfitta per sempre. ... ci auguriamo prima o poi di vedere un Paese libero da coloro che hanno di fatto abolito la parola Patria e di poterci finalmente vantare della nostra sterminata ricchezza culturale, senza venire considerati dei reazionari".
 Il saggio di Rosati contribuisce al riscatto della cultura di destra. Intanto cala il sipario sull'adattamento della politica all'Enrico IV di Pirandello - Evola nella veste surreale di papa Gregorio VII e Almirante in quella dell'imperatore Enrico IV - allegro regista il radical chic Armando Plebe. In platea la guerra di tutti contro tutti, moderati contro annamo a menà, neo fascisti contro paleo maghi, cattolici contro massoni, socializzatori contro liberali, camicie nere contro portatori di frac, badogliani contro reduci della Rsi.
 Calato il sipario, chiuso il teatrino sincretista/pirandelliano, allestito da Almirante e trasformato da albergo del libero scambio dai suoi successori, gli studiosi della destra possono riprendere il loro cammino avendo quale criterio la conferenza tenuta da Fausto Gianfranceschi nel 1965: L'arma della cultura nella guerra rivoluzionaria. La guerra rivoluzionaria, che ha issato ultimamente la bandiera della necrofilia si svolge su un campo di battaglia nel quale la chiacchiera politichese è inefficace quando non ridicola.
 In una fase segnata dalla scelta di un pallido crisantemo quale simbolo (giusta la definizione di Gianfranceschi) "dell'alleanza dei comunisti con i peggiori rappresentanti del decadentismo borghese".
 Contro l'alleanza che corre in direzione del sacro vespasiano e del pio obitorio, i discorsi in vetero politichese di Alfano & Lupi, della Meloni e di Toti hanno il timbro del ridicolo prima di quello dell'inutile. Rosati accende un fiammifero nella nuit des dupes. Una piccola luce, un segnale d'arresto indirizzato alla chiacchiera squillante nel vuoto politico a destra.

 Piero Vassalllo

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